L’ESA e l’Italia accelerano sul VEGA E e lo Space Rider
Oggi 30 novembre l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha siglato con AVIO e Thales Alenia Space Italia (TAS-I) il contratto per lo sviluppo del VEGA E – terzo step evolutivo del vettore dell’azienda di Colleferro – e dello Space Rider, un veicolo riutilizzabile basato sull’IXV.
Il valore complessivo dei contratti – che seguono le decisioni prese nel corso della Ministeriale dell’ESA di Lucerna del dicembre del 2016 – è di 89,7 milioni di euro, somma che permetterà alle due aziende di proseguire lo sviluppo dei due veicoli.
Oltre al completamento della fase di progettazione, in ogni caso, i finanziamenti dell’ESA consentiranno alle due realtà industriali italiane di lavorare su settori come la stampa 3D, l’uso del perossido di idrogeno come propellente per sistemi di propulsione a bassa tossicità e sull’impiego di avionica avanzata. Si tratta di tecnologie che una volta collaudate garantiranno costi operativi e di produzione più contenuti e, di conseguenza, una maggiore competitività sul mercato dell’intero sistema di lancio VEGA.
Qui VEGA E
Il contratto tra l’ESA e AVIO (siglato tramite ELV, la joint venture con l’Agenzia Spaziale Italiana, ASI) vale 53 milioni di euro, cifra che sarà utilizzata dall’azienda di Colleferro per completare gli studi sul nuovo MIRA, il motore alimentato da metano liquido e ossigeno che spingerà il futuro stadio superiore del VEGA E (Evolution).
Il nuovo upper stage sostituirà lo Zefiro 9 a combustibile solido e il quarto stadio liquido AVUM oggi sul VEGA (e dal 2019 sul VEGA C) e, oltre a garantire un bassissimo impatto ambientale, grazie alla capacità di riaccensione multipla, consentirà al lanciatore maggiore flessibilità nelle manovre orbitali. La fase iniziale di volo del VEGA E sarà garantita, come nel precedessore C, dal P120C al primo stadio e dallo Zefiro 40 al secondo, entrambi alimentati a solido.
Come ci aveva spiegato quest’estate Paolo Bellomi, responsabile progetti sviluppo di AVIO, per l’azienda il futuro vettore sarà in grado di trasportare in orbita bassa terrestre circa 2,8 tonnellate di carico, una capacità sufficiente sia per singoli satelliti di medie dimensioni e sia, grazie al sistema Small Spacecraft Mission Services (SSMS), intere costellazioni di piccoli spacecraft.
Per il VEGA E l’obiettivo è soprattutto spingere su una riduzione dei costi, così da mantenere il vettore italo-europeo competitivo sul mercato: grazie alle nuove tecnologie produttive e il futuro lanciatore sarà infatti in grado di garantire le medesime prestazioni del precedessore ma a costi più contenuti.
L’orizzonte temporale di riferimento per il primo volo del VEGA E è la seconda metà del prossimo decennio.
Lo Space Rider
Lo Space Rider è invece un’evoluzione dell‘IXV (Intermediate Experimental Vehicle), il veicolo sperimentale sviluppato in Italia da TAS-I e lanciato nel febbraio del 2015 in volo suborbitale proprio da un VEGA. Il contratto per lo sviluppo del veicolo è stato siglato sia da AVIO e sia da TAS-I per un valore complessivo di 36,7 milioni di euro.
Le due aziende lavoreranno infatti sui due principali moduli dello Space Rider. AVIO, in particolare, fornirà l’AOM (AVUM Orbital Module), di fatto la sezione di servizio del veicolo, un’evoluzione dell’attuale upper stage del VEGA – l’AVUM – che fornirà allo Space Rider l’energia e il controllo d’assetto durante la fase orbitale
La divisione italiana della joint venture tra Thales e Leonardo, invece, lavorerà sul modulo di rientro (Re-entry Module, RM), la sezione che ospiterà fino a 800 Kg di carico pagante e che, una volta conclusa la missione, tornerà direttamente sulla Terra. Secondo quanto finora emerso, una delle zone candidate al rientro dello Space Rider si trova sull’isola di Santa Maria, nell’arcipelago atlantico delle Azzorre.
Partecipa attivamente al progetto dello Space Rider – dalle nostre parti chiamato finora PRIDE – anche il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (CIRA) di Capua, che sta lavorando sulle superfici di controllo in materiale ceramico e sulla struttura interna in composito del veicolo.
Per quanto riguarda le applicazioni, lo Space Rider fornirà all’ESA e ai potenziali clienti una piattaforma in grado di svolgere una vasta gamma di servizi direttamente in orbita. Il veicolo, in particolare, potrà rimanere nello Spazio fino a due mesi e permettere quindi studi avanzati sulla microgravità, nel campo della validazione e della dimostrazione di tecnologie per l’osservazione della Terra, ma anche essere utile nella scienza applicata, nelle telecomunicazioni e nell’esplorazione robotica. Completato il rientro sulla Terra, lo spacecraft garantirà la possibilità di riconsegnare i carichi utili agli utenti finali – istituzionali o commerciali che siano- e potrà essere ricondizionato e riutilizzato fino a sei volte per ulteriori voli.
Si tratta di finalità e caratteristiche in parte simili all’X-37B, lo spazioplano “segreto” dell’US Air Force utilizzato finora come piattaforma sperimentale per tecnologie di applicazione militare. Sviluppato da Boeing, l’X-37B è lungo 9 metri e largo 4,5, dimensioni dunque doppie rispetto a quelle previste per il veicolo europeo. Rispetto allo Space Rider, inoltre, l’X-37B è in grado di atterrare autonomamente su una pista come un normale aereo, caratteristica questa che – almeno secondo quanto emerso – è assente sullo Space Rider, che invece tornerà a terra con un paracadute.
In merito ai tempi, l’ESA prevede la Critical Design Review dello Space Rider – l’ultimo passaggio progettuale prima della produzione – nel 2019, con il primo volo che dovrebbe poi arrivare nel giro di un biennio a bordo di un VEGA C.
«Space Rider rappresenta per l’Europa un passo avanti considerevole nell’ambito dei veicoli di rientro», ha spiegato Donato Amoroso, CEO di Thales Alenia Space Italia. «Sarà riutilizzabile, e spianerà la strada ad applicazioni ancora più sfidanti, che includono stadi riutilizzabili, voli point-to-point, aerei spaziali e anche turismo spaziale. Il contratto siglato quest’oggi conferma il ruolo guida di Thales Alenia Space nell’ambito del rientro atmosferico, unendo le capacità di piattaforme satellitari orbitali alle possibilità del riutilizzo», ha aggiunto Amoroso.
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