Un «super-radar» per la spazzatura spaziale
Hanno perlustrato per ben due ore il luogo dell’incidente alla ricerca di sei frammenti, fino a che non sono riusciti a rinvenirli tutti. Questa volta, però, non si tratta della Polstrada, bensì dei ricercatori dell’Istituto di Radioastronomia di Bologna e dell’Osservatorio Astronomico di Torino, entrambe strutture dell’INAF (l’Istituto Nazionale di Astrofisica). E il «sinistro» che hanno osservato non ha avuto luogo qui sulla Terra: è quello avvenuto il 10 febbraio scorso, a 800 chilometri sopra le nostre teste, quando il satellite americano Iridium 33 e quello russo Cosmos 2251 sono entrati in collisione. Dando origine al primo «scontro spaziale» documentato, nonché a una pericolosissima scia di frammenti di svariate dimensioni.
L’occasione ideale per mettere a punto un progetto italiano per il monitoraggio dei detriti spaziali, finanziato dall’ASI (l’Agenzia Spaziale Italiana), basato sull’utilizzo di due radiotelescopi, strumenti dedicati di solito alla ricerca astrofisica, come se fossero un cosiddetto «radar bistatico»: costituito cioè da un trasmettitore e un ricevitore indipendenti.
«Come trasmettitore abbiamo usato il radiotelescopio di Evpatoria, in Ucraina, e come ricevitore la parabola da 32 metri di Medicina, nei pressi di Bologna», spiega Stelio Montebugnoli, responsabile della Stazione radioastronomica di Medicina. Il test, condotto nel tardo pomeriggio del 23 marzo scorso, ha avuto pieno successo. «Tutti e i sei i detriti da noi scelti», conferma Emma Salerno, ricercatrice presso l’Istituto di Radioastronomia, «sono stati registrati con rapporti segnale/rumore molto elevati. Tutti piccoli frammenti che viaggiano a velocità elevatissime, attorno ai 25mila chilometri all’ora».
«Il problema della spazzatura spaziale è sempre più pressante, come ha dimostrato anche l’episodio avvenuto il 12 marzo scorso, quando il rischio di una collisione ha costretto a evacuare d’emergenza per alcuni minuti la Stazione spaziale internazionale», commenta Claudio Portelli, responsabile del progetto per l’Agenzia Spaziale Italiana. «L’esperimento di Medicina dimostra che i radiotelescopi possono essere un valido aiuto per monitorare i detriti in orbita, destinati a essere sempre più numerosi».
Proprio in questi giorni, tra l’altro, è in corso a Darmstadt, in Germania, la riunione dell’Inter Agency Space Debris Coordination Commitee, che vede riunite 11 agenzie spaziali di tutto il mondo, tra cui l’ASI, per elaborare soluzioni per il problema di detriti spaziali.
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