L’UE non vuole essere tagliata fuori dal settore dei lanciatori
Una Commissione Europea (CE) più presente nel campo dei lanciatori spaziali e, magari, meno schiacciata dall’industria di settore. È questo, in sintesi, l’auspicio del direttore della Commissione per l’economia e lo sviluppo della CE Philippe Brunet, intervenuto lo scorso martedì 12 gennaio a un panel sul mercato dei lanciatori nel corso dell’ottava conferenza sulle Politiche spaziali europee appena terminata a Bruxelles.
Secondo Brunet, la CE dovrebbe avere un ruolo più diretto nello sviluppo della prossima generazione di vettori e, in generale, nell’organizzazione del settore continentale dei lanciatori, considerando anche che non ha partecipato alle decisioni sul nuovo Ariane 6.
La CE, ha sottolineato Brunet, ha il diritto di far sentire la sua voce in proposito perché nel corso degli anni è diventata la principale acquirente dei lanci di Arianespace (l’azienda che commercializza i razzi europei) con decine di missioni per le costellazioni Copernicus e Galileo. Ad oggi, in particolare, come ha ricordato recentemente anche il numero uno di Arianespace Stephane Israel, la CE è il più grande cliente dell’azienda con un backlog di lanci pari a 835 milioni di euro.
«Senza gli ordini che l’Unione Europea ha messo sul tavolo, non ci sarebbe nessun nuovo lanciatore», ha detto Brunet, aggiungendo: «In quale altro settore il principale cliente non ha voce sui progetti in corso? Guardate bene, non ne troverete uno – se non il settore europeo dei lanciatori»
Brunet ha anche rimarcato il differente approccio tecnologico tra Airbus Safran Launchers (ASL), che sta sviluppando l’Ariane 6, e i principali competitor del razzo europeo, tra cui SpaceX. Lo scorso 21 dicembre l’azienda di Elon Musk è riuscita a far atterrare il suo Falcon 9 a Cape Canaveral dopo la missione Orbcomm-2. Un mese prima, era stata la volta del New Sherpard della Blue Origin di Jeff Bezos.
«Blue Origin e SpaceX hanno condotto prove sulla riusabilità dei razzi che devono farci chiedere se siamo di fronte ad un grande cambiamento tecnologico» ha detto Brunet a Bruxelles. «Se questo fosse il caso, abbiamo bisogno di prepararci fin da ora», ha aggiunto.
Più volte Musk ha sottolineato che i razzi riutilizzabili possono far scendere i costi di lancio di «due ordini di grandezza». Se così fosse l’Ariane 6, che non prevede la tecnologia per il ritorno a Terra, sarebbe probabilmente tagliato fuori dal mercato.
A Brunet ha fatto eco Franck Proust, membro francese del Parlamento Europeo e Vicepresidente della commissione parlamentare per lo Spazio e l’Aviazione.
Il parlamentare ha specificato che, sebbene sia vero (come ha sempre sostenuto ASL) che il mercato europeo non sia abbastanza grande per fornire un ritmo di lancio vantaggioso per sviluppare una tecnologia di razzi riutilizzabili (come accade negli Stati Uniti), se quest’ultimi dovessero prendere piede l’Ariane 6 rimarrebbe «nella polvere».
Le affermazioni di Brunet e Proust hanno tuttavia sorpreso i presenti al panel, tra cui cui il numero uno di ASL, Alain Charmeau, che si è detto favorevole ad un maggiore sostegno economico della CE.
«Se compro mille Mercedes, l’azienda mi chiamerà poi per progettarle? I clienti devono essere consultati, non invitati a progettare», ha commentato un funzionario dell’industria spaziale europea rimasto anonimo al sito americano SpaceNews.com.
Negli ultimi due anni il settore dei lanciatori europei è stato ampiamente ridisegnato, con un maggior potere dato proprio a ASL.
L’azienda è nata dalla fusione dei comparti lanciatori dei due gruppi francesi, Airbus e Safran, che già costruivano insieme l’Ariane 5. Inoltre ASL ha annunciato di voler acquisire le quote di Arianespace dell’Agenzia spaziale francese CNES, concentrando a sé produzione e commercializzazione. Si tratta in sostanza di una sorta di privatizzazione parziale, pensata per dare maggiore libertà d’azione ad ASL durante la fase di sviluppo del nuovo vettore.
Evidentemente la CE si sta accorgendo (con un po’ di ritardo) di essere stata tagliata fuori, e ora vorrebbe rimettere la politica al centro, spostando in secondo piano le pretese industriali. È bene ricordare però che sia Airbus che Safran sono aziende miste pubblico/private. Nella prima il 24% del capitale è posseduto dal patto tra Francia, Germania e Spagna (il resto è flottante in borsa), mentre nella seconda il governo di Parigi è azionista di riferimento con il 34% delle quote.
Quindi va bene il ritorno della politica al centro, ma di chi?
(Foto: rappresentazione artistica di un Ariane 6; Credits: ESA)
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