Cubesat e piccoli satelliti, il mercato è sempre più vivace
Il fallimento del razzo giapponese SS-520-4 avvenuto lo scorso gennaio ed il contemporaneo successo del lancio record dell’agenzia spaziale indiana con 104 satelliti lanciati in un solo colpo ha dato modo al mercato dei piccoli satelliti di interrogarsi su quale sia la soluzione migliore per immettere in orbita i propri prodotti: in gruppo o singolarmente? I privati devono essere coinvolti? In che modo? Cosa fanno le agenzie spaziali come ESA, NASA e le altre?
Accedere allo spazio non è mai né facile né banale. La tecnologia, sebbene consolidata, è di altissimo livello e richiede un’approfondita e costosa sperimentazione e messa a punto. Il fallimento del lancio del 15 gennaio del vettore sperimentale a tre stadi SS-520-4 dimostra però che c’è la volontà di rendere accessibile lo spazio a chi non dispone di budget milionari ma vuole realizzare semplici esperimenti scientifici.
Il vettore è un’evoluzione del razzo-sonda bistadio della JAXA: tre stadi con 52 cm di diametro, per circa 10 m di lunghezza.
In linea con le scelte effettuate da altre agenzie spaziali a partire dalla la NASA, anche la JAXA (Japan Aerospace eXploration Agency) ha avviato collaborazioni con il settore privato per abbattere i costi ed accrescere il livello tecnologico dei prodotti, che si tratti di satelliti o lanciatori.
Nello specifico, Canon Electronics e IHI Aerospace hanno fornito un importante contributo per realizzare un lanciatore a basso costo per la messa in orbita di microsatelliti “off-the-shelf“, cioè kit standardizzati e non specificamente progettati per una sola missisone. La prima azienda fornisce i meccanismi di controllo del volo attingendo ai suoi componenti già impiegati nell’elettronica di consumo; la seconda gestisce l’integrazione con i meccanismi di separazione degli stadi propulsivi ed il controllo del carburante dei propulsori.
Qualcosa però non ha funzionato dopo 20 secondi dal decollo dal Centro Spaziale di Uchinoura, nella Prefettura di Kagoshima, il sistema di telemetria del vettore ha smesso di trasmettere dati ed il controllo missione ha dovuto dirigere il vettore verso sud-est in mare aperto, interrompendo l’accensione del secondo stadio e facendolo precipitare in mare 3 minuti dopo.
Questo insuccesso ha causato la perdita del satellite TRICOM-1, un mini payload di 3 kg di peso, lungo 12 cm e largo 35 progettato da una scuola superiore giapponese con la finalità di fotografare la Terra e consentire semplici comunicazioni.
Le parti in causa non si sono scoraggiate e, forti dei costi contenuti (circa 3,5 milioni di dollari), contano di avere una versione aggiornata del razzo, già pronta per il prossimo autunno.
Satelliti “fai da te”
Nel settore dei piccoli satelliti sono state identificate alcune categorie: i mini satelliti (200 – 400 kg), micro satelliti (60 – 200), nano satelliti (25 – 60) ed i cubesat (1 – 25 kg). Da anni sono presenti sul mercato dei kit per realizzare cubesat con un costo di acquisizione di circa 7 mila euro, che include anche quello del lancio. E’ la filosofia COTS (Components Off The Shelf), che in sostanza significa che i componenti utilizzati per assemblare i satelliti sono scelti fra le componenti di microelettronica di consumo con un livello qualitativo equivalente a quello militare.
In questo senso è fondamentale il contributo delle università, che possono accedere a competenze di assoluto livello e creare spinoff che sanno già muoversi nel mercato. E’ il caso della britannica Università del Surrey, che dal 1985 opera con la Surrey Satellite Technology Ltd. con un tasso di crescita molto importante.
In Italia, sotto la spinta dell’ASI e grazie sinergie con l’industria privata, sono nate diverse realtà interessanti che fanno capo, ad esempio, al Politecnico di Torino e di Milano, all’Università di Bologna, di Roma e di Napoli. L’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), con l’approccio COTS, ha trasferito al settore spaziale la sua enorme competenza nella realizzazione di sensori per l’individuazione delle radiazioni ionizzanti. L’agenzia spaziale del nostro paese ha recentemente messo in campo una strategia più dinamica ed aggressiva nel campo dei mini satelliti, inserendola fra i punti principali del piano triennale approvato di recente.
Lanci dedicati o “piggyback”?
I costi per la messa in orbita di satelliti sono influenzati, principalmente, da due fattori: il tipo di orbita a cui operano, bassa (LEO) o geostazionaria (GTO), e la provenienza del lanciatore. Le valutazioni di massima possono essere riassunte nella tabella seguente:
Dimensione lanciatore / tipo orbita |
LEO Occidentale (USA-ESA) |
LEO India, Cina, Giappone, Russia |
GTO Occidentale (USA-ESA) |
GTO India, Cina, Giappone, Russia |
Piccolo |
18.500 € |
7.100 € |
41.500 € |
N/D |
Medio |
11.000 € |
5.300 € |
26.700 € |
21.700 € |
Grande |
9.800 € |
4.300 € |
37.500 € |
15.300 € |
Costo per kg messo in orbita – Fonte: ASI, Roberto Battiston “Piccoli satelliti crescono”
Le possibilità di scelta per ottenere una riduzione dei costi sono due. La prima prevede di scegliere fra vettori già in commercio, in grado di gestire carichi utili medio-piccoli ma realizzati e gestiti dalle principali agenzie spaziali. In questo caso si possono prendere in esame lanci multipli, composti da un congruo numero di piccoli satelliti, oppure un lancio di tipo “piggy-back”, dove i satelliti più piccoli vengono lanciati insieme ad un carico principale considerevolmente più grande con il quale condividono il periodo di lancio, il sito di partenza, ilvettore e tipo di orbita.
La seconda prevede l’uso di un vettore decisamente più piccolo ma sviluppato per questo settore, magari partendo da razzi sonda come nel caso giapponese o la RocketLab americana. Da molti anni l’americana Interorbital System, basata nel deserto del Mojave in California, effettua lanci di piccoli satelliti con un servizio “chiavi in mano”. Basta comprare uno dei loro kit per micro satelliti chiamati Tubesat e Cubesat per riceverlo a casa. Lo si assembla con l’esperimento che si vuole realizzare e lo si rispedisce ad Interorbital che provvede a lanciarlo da un sito di loro proprietà. Tubesat è un modulo cilindrico alimentato da pannelli solari e corredato di batterie, antenna, ricetrasmettitore ed un microcomputer, in grado di ospitare carichi utili di 250 g.
La sua vita utile in orbita bassa (circa 300 km) è di circa due mesi, dopo i quali rientra in atmosfera disintegrandosi.
Molto interessante è anche essere l’iniziativa dell’ASI chiamata DIDO2: si tratta di un laboratorio spaziale sperimentale basato sul kit CubSat da 30 x 10 x 10 cm3 dotato di sistema radio e alimentato a celle solari. Arrivato in orbita con il lancio record dell’ISRO del 13 febbraio, rimarrà a 530 km di quota per i prossimi tre anni per eseguire eseguirà una serie di test. DIDO2 è parte della piattaforma di nano satelliti (inferiori a 10 kg di peso) “mGnify” per sperimentazioni in condizioni di microgravità sviluppata dall’azienda svizzera Spacepharma.
Il mercato mostra segni di grande vitalità in questo settore e molti stanno predisponendo soluzioni che possano portare ad un’ulteriore crescita del settore. In tal senso è particolarmente interessante la proposta avanzata poche settimane fa dall’ESA per un nuova opzione di lancio finalizzata al pieno sfruttamento del vettore VEGA C.
Si tratta del sistema di rilascio SSMS (Small Spacecraft Mission Service) è un distributore che supporta una serie di configurazioni in grado di ospitare fino a 15 satelliti contemporaneamente, anche di diverse dimensioni, che vanno dai Cubesat ai mini satelliti. L’offerta di lancio denominata LLL o L3 (Low Level Launch) è stata definita a livello ministeriale nel dicembre 2016 ed è stata lanciata dall’ESA sul finire di febbraio, con l’obiettivo di raccogliere i potenziali utenti interessati e pianificare un lancio del VEGA C nella seconda metà del 2018.
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