Draco
I recenti rientri di Aeolus e di SALSA, due satelliti non più operativi dell’agenzia spaziale europea (ESA), e con quelli che saranno programmati nei prossimi anni, come ad esempio quello di Sentinel-1B, hanno riportato l’attenzione sul rientro in sicurezza di questi oggetti dall’orbita terrestre bassa (LEO). Se le procedure per permettere che questo avvenga sono oramai consolidate e diventate addirittura uno standard (come ad esempio l’espulsione di tutto il propellente a bordo o lo scaricamento delle batterie, per minimizzare le probabilità di esplosioni in orbita), meno chiare sono le dinamiche di quello che accade durante le fasi di rientro e distruzione del satellite stesso.
È per questo motivo che ESA ha firmato con Deimos, un’azienda spagnola con interessi nel settore marittimo, aeronautico e spaziale, un contratto del valore di 3 milioni di euro per lo sviluppo di Draco, acronimo di Destructive Reentry Assessment Container Object: si tratta di un satellite con una capsula appositamente progettata per resistere alle condizioni del rientro e trasmettere successivamente i dati raccolti. Sebbene il lancio sia previsto non prima del 2027, nè il vettore nè la tipologia di viaggio (se in rideshare con altri satelliti o come unico carico pagante) sono stati comunicati.
La missione fa parte del programma Zero Debris Approach dell’agenzia, che punta a ridurre significativamente la produzione di detriti spaziali delle missioni in orbita bassa terrestre e dirette verso la Luna entro il 2030, ed è particolarmente importante perché dovrebbe permettere di validare e migliorare i modelli utilizzati per stimare la dinamica del rientro. Non è infatti possibile replicare sulla Terra le esatte condizioni sperimentate dai satelliti, ma solo effettuare delle simulazioni sui materiali in scala ridotta in gallerie del vento. Gli strumenti maggiormente utilizzati dagli scienzati sono le simulazioni al computer, che però necessitano di dati reali su cui basarsi ed essere calibrati.
Draco sarà dotato quindi di una camera e di 200 sensori che raccoglieranno informazioni, come ad esempio temperatura, pressione e sforzi meccanici sul satellite, il più a lungo possibile, per poi trasmetterle alla capsula, che dovrà a sua volta essere sufficientemente resistente per sopravvivere al rientro e proteggere il computer al suo interno. Ci saranno anche quattro videocamere che osserveranno il satellite per documentarne la distruzione e fornire una rappresentazione visuale di quello che accadrà.
Non sarà un satellite molto grande: peserà tra i 150kg e i 200kg e avrà le dimensioni di una lavatrice, all’incirca, mentre la capsula sarà di circa 40cm. Non sarà dotato di un sistema di comunicazione con Terra, di navigazione e di propulsione, in modo da simulare il rientro passivo di un satellite e quindi la maggior parte di quelli che avvengono in questi anni.
La missione in orbita di Draco sarà molto corta: il piano prevede che non più di 12 ore dopo la partenza e un’altitudine massima raggiunta di non più di 1000 km, il satellite rientrerà sopra un oceano, in un’area disabitata. Dopo che il satellite si sarà distrutto, la capsula dovrà essere in grado di aprire un paracadute, in modo da diminuire la propria velcoità di discesa e permettere l’invio della telemetria raccolta alle stazioni di Terra, sfruttando i satelliti in orbita geostazionaria. La finestra per la trasmissione sarà di circa 20 minuti, al termine dei quali la capsula ammarerà, ponendo fine alla missione. Non è stato comunicato se ne verrà tentato il recupero da parte di un team o se verrà lasciata affondare nell’oceano.
Lo scopo finale è quello di implementare eventuali accorgimenti che possano essere dedotti sui satelliti di nuova costruzione, che sono progettati fin dall’inizio con un approccio orientato ad uno smaltimento attivo al termine della loro vita operativa.
Draco permetterà anche di raccogliere dati su come i rientri dei satelliti influiscano sull’atmosfera e in particolare su quali sottoprodotti vengono creati dall’interazione tra le varie componenti della sonda e le particelle presenti nell’ambiente.
LightShip
Sebbene nei prossimi decenni la protagonista dell’esplorazione spaziale sarà molto probabilmente la Luna, le agenzie spaziali e le compagnie private stanno già pensando e sviluppando idee e progetti per quello che è ritenuto essere il passaggio successivo, ovvero l’arrivo su Marte dell’essere umano. Questa colossale impresa richiederà sforzi ingegneristici e logistici signficativi, soprattutto per portare e preparare tutte le attrezzature e infrastrutture necessarie per sostenere la vita umana.
A questo proposito, ESA sta sviluppando LightShip, un rimorchiatore riutilizzabile basato sulla propulsione elettrica in grado di accomodare uno più carichi scientifici verso Marte: la scelta di questo tipo di propulsione permetterebbe una maggior capacità di carico, oltre ad una maggior flessibilità nel rilascio in orbite diverse o diversi profili di rientro per carichi diretti verso la superficie.
Il primo passeggero a bordo di LightShip sarà chiamato SpotLight orbiterà attorno a Marte da una distanza di 300 km, producendo mappe della superficie ad alta risoluzione.
Il nome scelto deriva dalla tradizione marittima: le navi-faro erano navi destinate verso porzioni di mare distanti, pericolose o troppo profonde per la costruzione di un faro, e ne assumevano quindi le funzioni. Fu proprio con una nave faro, a East Goodwin, che nel 1899 il capitano inviò il primo segnale radio di soccorso utilizzando la tecnologia sviluppata da Guglielmo Marconi, a cui è stato intitolata l’infrastruttura di comunicazione di LightShip (MARs COmmunication and Navigation Infrastructure, MARCONI).
Una volta terminato il trasporto della capsula con all’interno un equipaggio di massimo 12 persone, Lightship si riposizionerebbe sulla propria orbita operativa e funzionerebbe come servizio di comunicazione e navigazione attorno al pianeta, diventando il primo esemplare di una potenziale rete per il rilevamento della posizione, come il GPS terrestre. Avrà anche a bordo un payload dedicato allo studio dell’atmosfera marziana, monitorando i venti, la circolazione della polvere e il meteo da circa 6000 km di distanza. Quando in orbita ci saranno diversi LightShip sarà quindi possibile avere un sistema di monitoraggio del meteo continuo.
Per ora la missione è ancora allo stadio di concept e a breve entrerà nella fase A/B1, dove diverse aziende partecipano per proporre le proprie idee di design della missione. Ulteriori sviluppi però saranno devisi al prossimo Consiglio dell’ESA alla Ministeriale di novembre 2025: se approvata, LightShip dovrebbe essere pronta nel 2032, con partenza fissata nel 2035 o nel 2037.
Fonti: Draco (ESA), LightShip (ESA blog)