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Terminate le operazioni per il rientro di Sentinel-1B

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Rendering grafico di Sentinel-1B. Credits: ESA/ATG medialab

Due anni dopo aver dichiarato ufficialmente conclusa la missione Sentinel-1B, l’Agenzia spaziale europea (ESA) ha completato le procedure necessarie per permettere un rientro più rapido del satellite, rispettando così le proprie direttive sul fine vita delle sonde.

La missione era stata lanciata a bordo di un Sojuz STA il 25 aprile 2016 alle 23:02 italiane dal Sojuz Launch Complex del Centre Spatial Guyanais (CSG), lo spazioporto situato nella Guiana Francese, ed era la seconda di due della costellazione Sentinel, dopo Sentinel-1A, lanciato il 3 aprile 2014 sempre da un Sojuz STA.

Caratteristiche

I due satelliti hanno operato da due punti opposti dell’orbita a una quota di 693 km dalla superficie terrestre fino al problema occorso a Sentinel-1B, avvenuto quasi al termine della durata minima prevista di sette anni. Grazie a questa separazione, i due satelliti erano in grado di mappare l’intera Terra in soli sei giorni e in meno di tre l’Europa e il Canada, con lo scopo finale di fornire immagini di alta qualità della superficie, monitorare l’estensione dei ghiacci artici, sorvegliare l’ambiente marittimo individuando perdite di carburante dalle navi o tracciando le imbarcazioni, oltre a poter fornire supporto in caso di crisi umanitarie o catastrofi naturali. I due satelliti sono stati i primi del programma Copernicus, finanziato dall’Unione Europea.

Sono due esemplari uguali, dal peso di 2.300 kg quando completamente riforniti dei 130 kg propellente e che implementano soluzioni e accorgimenti dalle missioni Cosmo-SkyMed italiano e Radarsat-2 canadese. Sono dotati di un radar ad apertura sintetica (SAR) in banda C di 12 metri e due pannelli fotovoltaici di 10 metri l’uno. A bordo è anche installato un laser per trasmettere dati ai satelliti dell’European Data Relay System (EDRS), un sistema simile a quello dei Tracking and Data Relay Satellite System (TDRSS) dell’agenzia spaziale statunitense (NASA).

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Animazione dell’orbita seguita da Sentinel-1A e Sentinel-1B. Credits: ESA/ATG medialab
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Animazione dell’apertura del satelliti una volta in orbita. Credits: ESA/ATG medialab

L’utilizzo del radar ha consentito di poter osservare la Terra in qualsiasi condizione climatica e di illuminazione, risultando quindi particolarmente efficace per le regioni polari, che rimangono al buio durante l’inverno. Sempre grazie al radar è possibile effettuare misure di interferometria: combinando due o più immagini della stessa porzione di Terra si possono ricostruire i cambiamenti occorsi tra i vari passaggi, permettendo anche il monitoraggio dei movimenti del suolo.

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Animazione sul funzionamento del radar ad apertura sintetica di Sentinel-1A e Sentinel-1B. Credits: ESA/ATG medialab

Il problema di Sentinel-1B

Quattro anni e mezzo dopo il lancio, il 23 dicembre 2021, l’unità elettronica della piattaforma del satellite incaricata di fornire potenza subì un guasto, impedendo la distribuzione dei dati raccolti. Per quasi un anno i tecnici e gli ingegneri di ESA lavorarono per provare a risolvere il problema e permettere al satellite di tornare operativo: gli sforzi però non bastarono e il 3 agosto 2022 la missione venne dichiarata formalmente conclusa.

In occasione della fine della missione, ESA diffuse un dettagliato report sull’anomalia occorsa: nel documento viene spiegato che il componente interessato è stato fin da subito individuato nel bus regolato a 28 V e in quello di backup del C-SAR Antenna Power Supply (CAPS). Si tratta di un pezzo del sottosistema elettrico della piattaforma su cui è installato il satellite e che fornisce energia alle componenti del radar ad apertura sintetica, elettronica inclusa. I due sistemi operano in una configurazione parallela, la cosiddetta hot redundancy: in questi casi l’unità di back up è accesa e pronta ad intervenire.

In poco più di sei mesi dal problema si erano già tenute 20 riunioni del gruppo di esperti incaricato di risolvere l’anomalia, l’Anomaly Review Board (ARB), e a cui parteciparono membri di ESA e delle aziende coinvolte nella costruzione del satellite e dello strumento. Tra i possibili scenari che portarono al fallimento quello relativo alla potenziale perdita da un capacitore di ceramica venne giudicato come il più plausibile: il condensatore fu infatti sostituito a causa del mancato raggiungimento delle prestazioni previste durante la fase di produzione e test. Per le riparazioni venne saldato seguendo una procedura che potrebbe averlo danneggiato, nonostante il pezzo avesse in seguito passato i test di controllo effettuati. Sebbene questo particolare tipo di operazione sia stato rimosso dalle procedure standard, il condensatore su Sentinel-1A presenta lo stesso tipo di saldatura e solo i CAPS di Sentinel-1C e Sentinel-1D non sono stati affetti da questa procedura.

Per risolvere il problema furono tentati diversi approcci: dai più semplici, come l’invio di un comando per l’accensione nominale dello strumento, ad altri più innovativi, che previdero l’accensione di entrambi i regolatori mentre veniva variata la loro temperatura o utilizzando una serie di manovre diverse rispetto a quelle solitamente eseguite.

In merito a Sentinel-1A, lanciato due anni prima e quindi affetto dallo stesso problema del gemello, il report di ESA scriveva che al momento della pubblicazione, ad agosto 2022, il CAPS non mostrava alcun problema e aveva funzionato in maniera nominale per tutta la durata della missione, che era già superiore ai 7 anni previsti. Non è stato però possibile verificare lo stato del sistema di backup.

Per sopperire alla mancanza di dati forniti da Sentinel-1B, ESA ha collaborato e collabora ancora con altre agenzie spaziali per utilizzare i dati di altri satelliti, come ad esempio quelli della costellazione canadese Radarsat, la tedesca TerraSAR-X, l’italiana COSMO-SkyMed e la spagnola PAZ.

Preparativi per il rientro

Le operazioni preliminari al rientro in atmosfera del satellite sono iniziate un mese dopo la fine formale della missione e hanno previsto l’abbassamento dell’orbita di Sentinel-1B di qualche chilometro per evitare interferenze all’arrivo di Sentinel-1C e Sentinel-1D, il cui lancio è attualmente previsto rispettivamente per novembre 2024 e per giugno 2025. Sono poi state testate nuove manovre, in aggiunta a quelle già effettuate in passato, e abbassata ulteriormente l’orbita fino a quella finale, raggiunta nell’aprile 2024 e che decadrà naturalmente per via dell’attrito con le molecole dell’atmosfera presenti a quella quota. Il satellite è stato passivato nei mesi successivi: è stata rimossa quanta più energia possibile dalle batterie e sono stati svuotati i serbatoi dal carburante, per minimizzare le possibilità di rottura accidentale e la conseguente formazione di detriti. Il satellite è comunque rimasto in controllo da parte del team per tutto il tempo e nessun componente, eccezion fatta per CAPS, hanno mostrato problematiche.

L’ultimo segnale inviato dal satellite è stato del 12 settembre: da quel momento in poi Sentinel-1B è stato spento ed è quindi soggetto solamente alle forze di attrito presenti alla quota a cui sta orbitando. Verrà comunque costantemente tracciato dai sistemi europei e statunitensi, che forniranno aggiornamenti sulla data prevista di rientro e sulla finestra di incertezza temporale. Questa operazione non è fondamentale solo per avere informazioni sul luogo sopra a cui il satellite si disintegrerà – non è previsto che alcun pezzo rientri a Terra – ma anche per eventuali manovre che dei satelliti in orbita a quote più basse devono effettuare. La nuova generazione di Starlink, la megacostellazione di satelliti sviluppata, gestita e lanciata da SpaceX con l’intento di portare connettività internet in tutto il mondo, orbita intorno ai 350 km.

In questa orbita finale il satellite rientrerà in 24 anni, uno in meno dei 25 previsti dalle normative di ESA per il rientro dei satelliti dall’orbita bassa: si tratta tuttavia di una stima che verrà costantemente rivista in funzione di fattori esterni che possono alterare le condizioni in cui il satellite si trova.

Zero Debris approach

Tutte queste operazioni rientrano all’interno delle policy adottate dall’agenzia stessa. L’obiettivo dichiarato di ridurre significativamente la produzione di detriti spaziali, il cosiddetto Zero Debris approach, entro il 2030 non solo per le missioni intorno alla Terra, ma anche dirette verso la Luna. ESA ha quindi sentito il parere di 270 esperti e del personale dei suoi centri in Europa: il risultato è stata la formulazione di otto raccomandazioni, alcune più scontate e altre più tecniche, per provare a raggiungere l’obiettivo prefissato. Si tratta solamente di suggerimenti, che dovranno diventare concreti nei prossimi anni.

Garanzia del corretto smaltimento

Lo smaltimento del satellite può avvenire in due modi diversi, principalmente a seconda della quota a cui sta orbitando: in caso di satelliti in orbita bassa terrestre (LEO), il metodo più efficace è il rientro distrutttivo in atmosfera, mentre per satelliti in orbite più alte, come quelli della costellazione GPS, il suggerimento è di innalzarne ulteriormente l’orbita verso una definita cimitero.

Indipendentemente dal metodo scelto, la probabilità di riuscire ad effettuare questa manovra deve essere valutata ancora prima del lancio e risultare superiore al 90%. Al contempo, il satellite deve essere dotato di interfacce in grado di permettere l’agevolazione dello smaltimento, nel caso ci fossero problemi, da parte di elementi esterni.

Migliorare la pulizia dell’orbita

La proposta prevede la riduzione da 25 anni a soli 5 anni per la permanenza massima in orbita al termine della propria missione: in questo modo, essendoci molti meno oggetti in orbita verrebbero ridotte anche le probabilità di collisione con altri satelliti.

Migliorare le strategie per evitare le collisioni in orbita

Sebbene le collision avoidance manoeuver siano oramai parte delle operazioni quotidiane dei team che gestiscono i satelliti, un miglioramento nelle strategie per la loro gestione permetterebbe di risparmiare carburante e di ridurre le perdite dei dati dovute allo spegnimento degli strumenti scientifici a bordo.

Evitare rotture della struttura del satellite

Il miglioramento nel monitoraggio dello stato di salute e una corretta passivazione permettono di ridurre il rischio di rotture interne dovute all’esplosione di carburante rimasto nei serbatoi o da un eccesso di energia proveniente dai pannelli solari.

Prevenire il rilascio volontario di detriti spaziali

Nonostante sia un accorgimento piuttosto scontato, la presenza di cover protettive o coperture per degli strumenti implica la formazione di ulteriori detriti spaziali, nonostante in alcuni casi siano necessari per mantenere al sicuro il satellite durante le fasi di lancio.

Migliorare la valutazione dei rischi a Terra

L’utilizzo di strumenti standarizzati e metodologie condivise permette una miglior stima delle probabilità di incidenti al suolo e durante la fase di rientro, oltre a fornire informazioni più omogenee sul comportamento della missione.

Ridurre la luminosità dei satelliti e l’impatto nelle diverse frequenze

La presenza di un elevato numero di satelliti in orbita, utilizzanti diverse bande dello spettro elettromagnetico, può ridurre le possibilità di effettuare osservazioni scientifiche da Terra e quindi avere un impatto diretto. È quindi necessario ridurre il più possibile l’impatto dei satelliti.

Estensione anche ad altre orbite

Le considerazioni finora esposte devono essere applicabili anche ad altri tipi di orbita, come ad esempio quelle geostazionarie o lunari, in modo da preservare quelle regioni dalla presenza di detriti spaziali.

Fonti: ESA, sito web della missione Sentinel-1, report di ESA sull’anomalia di Sentinel-1B, ESA – Zero Debris Policy

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