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Tutto quello che sappiamo sul veicolo che deorbiterà la ISS

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Un rendering dell'USDV attraccato alla ISS. Credits: SpaceX via X

Il 28 giugno 2024 l’agenzia spaziale statunitense (NASA) pubblicava un comunicato all’interno del quale si rendeva noto che SpaceX avrebbe costruito, sviluppato e lanciato lo US Deorbit Vehicle (USDV) che, come dice il nome stesso, avrà il compito di deorbitare l’intera Stazione Spaziale Internazionale (ISS) quando verrà decretata l’interruzione delle sue attività scientifiche. Si tratterà di un momento storico, in quanto la ISS sarà in orbita da più di 25 anni: il primo modulo, Zarja, venne lanciato nel 1998 e dal novembre 2000 è stata abitata continuamente da un totale di più di 280 astronauti in rappresentanza di 23 nazioni.

Del destino finale della ISS se ne è discusso molto, sia tra gli appassionati che tra gli addetti ai lavori, anche e soprattutto per il valore simbolico dell’avamposto e delle sue dimensioni: la Stazione ha infatti una superficie pari a quella di un campo da calcio e una massa di poco meno di 500.000 kg, e il deorbiting deve essere svolto con particolare attenzione, per evitare di causare danni a cose o persone. Nei piani iniziali sarebbe avvenuto tramite l’utilizzo di tre navette Progress russe: l’opzione era però stata scartata in quanto il segmento russo non è in grado di mantenere l’assetto con un tale quantitativo di navette, ma anche perché le capacità delle tre capsule non sarebbe stata quella necessaria.

Nel corso degli anni la fine della ISS è stata più volte posticipata e ad oggi è fissata per il 2030: intorno a questa data NASA prevede che in orbita bassa terrestre (LEO) vi saranno diverse stazioni spaziali commerciali, gestite interamente da privati per i più diversi scopi. Potranno infatti essere adibite a strutture turistiche o a stazioni di ricerca scientifica, alle quali le varie industrie mondiali potranno accedere tramite astronauti privati formati appositamente.

Il comunicato in cui veniva annunciata SpaceX come fornitrice dello US Deorbit Vehicle non entrava però nei dettagli tecnici del veicolo né tantomeno ne forniva un rendering: si specificava solo che, una volta in orbita, il controllo dello USDV sarebbe passato a NASA e che il costo complessivo, escluso il lancio, sarebbe stato di 843 milioni di dollari. Con la teleconferenza di mercoledì 17 luglio sono stati sciolti questi dubbi, e SpaceX sul proprio account X ha pubblicato anche un rendering del veicolo attraccato alla ISS.

Ed è proprio durante la conferenza che Jeff Foust ha posto una domanda in merito al vettore che verrà utilizzato: Dana Weigel, manager del programma ISS per conto della NASA, non ha specificato quale verrà utilizzato, ma ha soltanto sottolineato che il quantitativo di propellente è elevato e servirà quindi un razzo di classe pesante. Il contratto per il lancio verrà firmato verosimilmente poco più di tre anni prima del lancio previsto e non è detto che venga automaticamente assegnato a SpaceX, che comunque si è detta disponibile a partecipare.

Le aziende che inizialmente avevano partecipato al bando erano tre: Northrop Grumman, SpaceX e AlphaSpaces. La proposta di quest’ultima però non è stata nemmeno valutata in quanto o «non rappresentava un tentativo adeguato per soddisfare i requisiti minimi del bando» oppure «dimostrava chiaramente che l’azienda proponente non avesse capito i requisiti».

Solo le proposte di SpaceX e Northrop Grumman sono state esaminate: hanno ricevuto rispettivamente 822 punti e 589 punti a fronte di 1000 disponibili, assegnati in base a valutazioni tecniche e manageriali. La suddivisione era infatti sulla base di tre categorie: approccio tecnico (fino a 650 punti), approccio manageriale (fino a 200), coinvolgimento delle piccole imprese (fino a 150). Nel documento non vengono specificati i punti per ogni sezione per ogni azienda, ma solo il totale accumulato.

SpaceX

Il Source Evaluation Board (SEB), l’organo incaricato di valutare le proposte ricevute, ha valutato molto positivamente la proposta di SpaceX, individuando ben tre punti di forza significativi, cinque elementi importanti, un solo punto debole, ma nessun elemento di forte rischio o criticità.

In merito ai punti di forza, il SEB ha individuato nell’utilizzo di hardware e software flight proven un approccio molto efficace, in grado di produrre un veicolo altamente affidabile, dal momento che le fasi di produzione e test sarebbero significativamente ridotte. L’aspetto dei test è anche un altro dei punti di forza: basandosi su design, costruzione e test in-house, ma anche su iterazioni molto rapide del modello, SpaceX è in grado di ottimizzare molti processi, risultando così anche più veloce nella consegna dello USDV. L’unico punto debole del design è relativo a un approccio incompleto alla mitigazione dei rischi nel sistema di propulsione, che però può essere facilmente risolto nel corso dello sviluppo.

Il design scelto da SpaceX si basa molto sul modello della Dragon, sviluppata inizialmente nella versione Cargo V1 nell’ambito del contratto Commercial Orbital Trasportation Services (COTS), Cargo V2 per il Commercial Resupply Services (CRS e CRS-2) e infine per il trasporto di esseri umani per il Commercial Crew Program (CCP). La capsula vera e propria sarà una Dragon, presa dalla flotta a disposizione di SpaceX, mentre il trunk sarà di nuova progettazione, dovendo svolgere funzioni completamente diverse da quelle avute finora.

Il veicolo avrà una potenza quattro volte superiore a quella della Dragon stessa e ben sei volte il quantitativo di propellente, in modo da fornire il ∆v (delta v) necessario al rientro. Ci saranno ben 46 motori Draco: 16 utilizzati per il mantenimento dell’assetto e 30 per fornire il Δv e potranno essere accesi a gruppi, in base al momento del rientro in cui la ISS si troverà. Il veicolo avrà una massa di circa 30.000 kg, propellente incluso: per confronto una Dragon al lancio ha una massa di 12.000 kg.

Alla domanda di Jonathan O’Callaghan di Aerospace America riguardo l’utilizzo di una versione di Starship anziché di un derivato della Dragon, Sarah Walker, direttrice delle missioni Dragon presso SpaceX, ha risposto dicendo che Starship avrebbe generato troppa potenza rispetto ai requisiti di NASA: sebbene possa sembrare strano, un veicolo con troppa potenza potrebbe causare stress strutturali alla ISS e causarne una rottura anticipata e la possibilità di non poter più governare correttamente i vari pezzi.

Infine è stato riportato che, nel caso in cui la vita utile della ISS venisse prolungata ulteriormente, nel contratto tra SpaceX e NASA vi è l’opzione di mettere in magazzino lo USDV, effettuando manutenzioni periodiche. Allo stesso tempo però SpaceX deve essere pronta a fornire il veicolo con un preavviso di poco più di sei mesi.

Northrop Grumman

Il costo totale stimato per lo USDV proposto da NG non è stato reso pubblico: nel report viene solo indicato come «significativamente più alto» di quello di SpaceX. La valutazione complessiva non è stata poi positiva: il SEB ha individuato due punti di forza e ben sette punti deboli.

Come per SpaceX, l’aspetto positivo del design è l’utilizzo di componenti flight-proven o derivate da altre progettate per esserlo, permettendo così, nuovamente, una riduzione dei costi e delle tempistiche necessarie.

I problemi sorgono relativamente al recupero dell’hardware di ricambio, giudicato come «incompleto», ma anche una limitazione a specifici valori di β-angle durante gli ultimi quattro giorni di rientro, limitando di fatto le opzioni per la distruzione della ISS, e, ancora una volta, in merito al sottosistema di propulsione, il cui approccio durante le fasi di test e verifica non è stato considerato sufficientemente completo.

Tra le altre cose, NG avrebbe avuto tempo fino a maggio 2029 per consegnare lo USDV, ben 8 mesi dopo SpaceX, la cui consegna è prevista nell’agosto 2028.

Come funzionerà il deorbiting

La stazione comincerà la serie di manovre per il deorbiting a 270 km di quota e per altri 50 km interverranno i Control Momemnt Gyroscope (CMG), i giroscopi utilizzati in combinazione con i thruster del segmento russo per mantenere l’assetto della stazione. Superata questa quota, solo i thurster saranno efficaci. Infine, lo USDV inserirà la ISS in un’orbita ellittica con perigeo a 145 km e apogeo a 200 km, attraverso una serie di accensioni pianificate in modo da minimizzare l’utilizzo dei thruster russi. La Stazione rimarrà abitata fino a circa sei mesi dal rientro, in modo tale da permettere agli astronauti di fornire il supporto necessario in tutte le fasi.

Da alcuni documenti pubblicati (in seguito poi aggiornati nell’ottobre 2023) da NASA si evince che lo USDV attraccherà al Nodo 2 Forward circa un anno e mezzo prima del rientro: il rendez-vous avverrà a una quota tra i 460 km e i 330 km. Il decadimento dell’orbita della ISS avverrà sfruttando sia l’attrito con l’atmosfera sia le capacità del modulo russo, che fornirà anche il mantenimento dell’assetto: lo USDV interverrà solo per fornire il Δv necessario per il rientro controllato. Se non vi fosse un intervento da parte dello USDV, il decadimento naturale a questa quota (270 km) è stato stimato in circa un mese.

A circa 110–120 km di altitudine i pannelli solari e i radiatori del lato USOS dovrebbero separarsi: la stima è stata fatta basandosi sul rientro della MIR. La rottura dei moduli dovrebbe invece avvenire tra gli 84 km e i 100 km di quota. Il perigeo dell’ultima orbita dovrebbe essere intorno ai 50 km, in modo da ridurre il più possibile l’area all’interno della quale i frammenti si possano disperdere. Il luogo esatto sopra cui la ISS verrà fatta deorbitare non è ancora stato individuato: una decisione in merito verrà presa nei prossimi anni, anche se l’oceano Indiano e l’oceano Pacifico rimangono i due posti più indicati, sia per assenza di insediamenti umani, sia per dimensione.

Durante tutta questa fase, e a partire dai 220 km di quota circa, molti sistemi della ISS, come l’alimentazione e le comunicazioni, si interromperanno, rendendo quindi necessario allo USDV di operare in autonomia, anche da quei punti di vista.

Va ricordato che i numeri finora presentati sono frutto di stime e calcoli, e possono variare per via di tanti fattori non governabili, tra cui l’attività solare, in grado di aumentare o diminuire la densità negli strati dell’atmosfera in cui avviene il rientro.

Prima dell’arrivo dello USDV, la porta di attracco anteriore verrà convertita da porta di docking a una di berthing: la differenza tra i due significati è insita nella capacità di un veicolo in arrivo di effettuare, rispettivamente, l’attracco in maniera autonoma o assistita, tramite ad esempio l’utilizzo di un braccio robotico.

Lo USDV sarà a tutti gli effetti trattato come una capsula in arrivo alla Stazione, che fornirà ad esempio le interfacce per lo scambio dei dati, dei comandi e dell’energia necessaria, mentre a bordo gli astronauti monitoreranno la situazione.

Sollecitato più volte nel corso della teleconferenza, Ken Bowersox, amministratore associato del Direttorato per le missioni delle operazioni spaziali di NASA, ha ribadito che molto probabilmente non ci sarà un ripensamento nella scelta del destino finale della ISS, ma al massimo un aggiustamento della timeline. Bowersox ha inoltre confermato che l’idea dello USDV è stata presentata a tutti i partner della stazione, ognuno responsabile per il rientro in sicurezza della Stazione.

Le ipotesi alternative al rientro della ISS

I piani finora considerati da NASA sono diversi, alcuni dei quali non praticabili per ovvi motivi, ma comunque studiati e analizzati.

Rientro incontrollato

Per motivi legati all’incertezza sul luogo di distruzione questo scenario non può essere accettato per la ISS, mentre viene comunemente scelto per piccoli componenti, come pannelli, batterie o altri elementi troppo grandi da riportare all’interno della Stazione.

Smantellamento e ritorno a Terra

Bowersox, sollecitato da diverse domande, ha risposto che molto probabilmente diversi elementi, dai più simbolici a quelli più tecnologicamente importanti, potranno essere riportati a Terra, tramite i voli cargo o con equipaggio che saranno effettuati. NASA ha anche intrapreso una collaborazione con lo Smithsonian Air and Space Museum per la creazione di un piano per il recupero di piccoli elementi significativi. Bowersox ha però escluso di dedicare interi lanci di Dragon per il “trasloco” della ISS a Terra: sia per progetto iniziale che per effetto di oltre 20 anni in orbita, la Stazione non può essere separata nei vari moduli di cui è composta, a meno di non investire centinaia di attività extraveicolari (EVA) e un quantitativo elevato di denaro, oltre a necessitare di un veicolo in grado di accomodare i moduli e trasportarli in sicurezza a Terra.

Smantellamento e nuovo utilizzo in LEO

Dal momento che diversi moduli della stazione hanno potenzialmente ancora una decina di anni di vita utile, essendo stati lanciati molto più tardi degli altri, si potrebbe pensare di poterli staccare e utilizzare per un altro scopo, evitando così di perdere la Stazione nella sua interezza. I problemi però sono identici, se non maggiori a quelli di un eventuale trasporto a Terra: alcuni moduli dipendono da altri per funzionare, rendendo quindi necessario aggiornarli, con un ulteriore dispendio di soldi e tempo.

Sviluppare e lanciare dei nuovi moduli con le tecnologie attuali sarebbe quindi più conveniente rispetto a un nuovo utilizzo in LEO.

Smantellamento e rientro dei singoli moduli

Come già discusso, l’interdipendenza dei diversi moduli costringerebbe a un aggiornamento con i sistemi mancanti degli altri moduli: aggiornamento possibile tramite diverse EVA, ore di lavoro e denaro investito. A questo si aggiungerebbero considerazioni di tipo strutturale, per la tenuta della ISS, ma anche di sviluppo di veicoli in grado di deorbitare moduli più o meno grandi, come ad esempio i truss, necessari per il corretto funzionamento della Stazione.

I benefici di uno smantellamento prolungato nel tempo e quindi con meno probabilità di generare detriti al suolo, sono minori dei costi che i partner della Stazione dovrebbero sostenere per uno smantellamento in un’unica volta.

Innalzamento dell’orbita

L’innalzamento dell’orbita, sperato da molti in modo tale da poter preservare la Stazione e renderla potenzialmente visitabile come un museo, presenta lo stesso dei problemi: i veicoli utilizzati per il trasporto degli astronauti e del materiale cargo sono certificati per operare intorno alla quota della ISS, non centinaia di chilometri più in alto e l’eventuale equipaggio a bordo si troverebbe esposto a una maggior quantità di radiazioni. A questo va aggiunto il maggior rischio di impatti catastrofici con micrometeoriti, che cresce significativamente dopo l’altezza a cui orbita la ISS ora: è stato stimato che a 700 km di quota il tempo medio tra due eventi di impatto scenda a meno di 4 anni, oltre 10 volte in meno rispetto al valore attuale di circa 51 anni.
NASA ha comunque effettuato degli studi per stimare il tempo di decadimento orbitale della Stazione a diverse quote, ovvero il tempo in cui la Stazione rientrerebbe in modo incontrollato a Terra.

Tempo di decadimento
(anni)
Altitudine
(km)
ΔV richiesto
(m/s)
Propellente richiesto
(kg)
100640–680120–14018.900–22.300
200690–730150–17023.200–26.700
500770–810190–21030.200–33.700
700800–840210–23032.800–36.400
1.000835–875225–25036.000–39.600
5.0001.025–1.075320–34652.000–56.200
> 10.0002.000760132.570

Distruzione della ISS in orbita

Sembrerà strano, ma tutte le opzioni devono essere previste: se anche un solo satellite che si rompe genera migliaia di detriti, è stato calcolato che la completa distruzione e frammentazione della ISS genererebbe circa 220 milioni di pezzi più grandi di 1 mm: per fare un paragone, la stima del totale dei detriti più grandi di questo limite attualmente in orbita è di circa 100 milioni di elementi. Come conseguenza, l’accesso all’orbita bassa terrestre verrebbe limitato o impedito per decenni.

Anche la distruzione totale a una quota più bassa crea problemi: nonostante alcuni pezzi rientrerebbero e si disintegrerebbero senza problemi in atmosfera, altri verrebbero spediti verso orbite con apogei molto alti, causando seri problemi ad altri satelliti in orbita.

Passaggio a un operatore commerciale

Questa ipotesi, suggerita da un giornalista nel corso della teleconferenza, prevederebbe il passaggio di proprietà a entità commerciali di alcune parti della Stazione o addirittura dell’intero avamposto. Nonostante NASA abbia provato a sondare le possibili aziende interessate, non c’è stato un effettivo interesse a causa principalmente dell’età e della complessità della ISS, che oggi viene gestita in cooperazione tra cinque agenzie spaziali, con migliaia di ingegneri addetti al monitoraggio e alla cura della Stazione.

Proseguimento delle attività oltre il 2030

Da un punto di vista legale, NASA ha ricevuto mandato per operare la ISS fino ad almeno il 30 settembre 2030, quando, come detto, dovrebbero essere operative le prime stazioni spaziali commerciali. Tra le varie aziende inserite in questo settore del mercato, Axiom Space con l’omonima stazione, sembra quella più in grado di rispettare le tempistiche: i primi due moduli sono in costruzione presso gli impianti di Torino di Thales Alenia Space. Le altre, come il consorzio tra Blue Origin, Sierra Nevada Corporation, Boeing, Redwire e l’Arizona State University (ASU) con la stazione Orbital Reef, Nanoracks in collaborazione con Voyager Space e Lockheed Martin con Starlab, Northrop Grumman con vari partner tra cui Dynetics (stazione senza nome ufficiale) e VAST (anch’essa senza un nome ufficiale), appaiono invece più in ritardo per il 2030.

I moduli della ISS potranno comunque continuare a operare dopo il 2030: le analisi preliminari sembrano indicare che sia possibile estendere la vita utile della Stazione e NASA ha già avviato delle analisi dettagliate in merito.

Fonti: Conferenza stampa NASA, NASA, ISS Deorbit USOS Concept of Operations overview, source selection statement, SAM.gov, ISS deorbit summary

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