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SpaceX porta in orbita Cygnus NG-20

Il braccio robotico Canadarm2 si appresta ad afferrare Cygnus NG-20. Credit: NASA

Cygnus NG-20 è parte integrante della Stazione Spaziale Internazionale! L’equipaggio di Expedition 70 stava aspettando l’arrivo del veicolo di rifornimento per rimpolpare l’inventario dell’avamposto con beni di consumo per la vita quotidiana degli astronauti e non solo, pezzi di ricambio per la manutenzione degli equipaggiamenti di bordo, materiali da utilizzare nelle prossime attività extraveicolari, che comprende la struttura di supporto per i pannelli fotovoltaici iROSA da installare nel corso del 2024. Non è trascurata la scienza, come sempre al centro di queste missioni di supporto, con alcuni progetti di ricerca che saranno avviati subito dall’attuale equipaggio, sebbene per Crew-7 (Jasmin Moghbeli, Andreas Mogensen, Konstantin Borisov e Satoshi Furukawa) tra una manciata di settimane è l’ora di tornare a casa. Un ultimo sprint per chiudere in bellezza la spedizione di sei mesi in orbita e per passare la palla ai colleghi di Crew-8 (Matthew Dominick, Michael Barratt, Jeanette Epps e Aleksandr Grebënkin) impazienti per il lancio, per il momento fissato per il 22 febbraio, e che proseguiranno le attività di ricerca sotto Expedition 71.

Northrop Grumman come tradizione desidera commemorare la memoria di alcune persone che si sono contraddistinte nell’astronautica per il loro impegno e per il lascito trasmesso alle generazioni future. Probabilmente il nome Patricia Hilliard Robertson suonerà nuovo per molti, una persona in realtà parecchio nota. Era una candidata astronauta, tra i 25 piloti e specialisti di missione selezionati da NASA nel 1998, una rispettata dottoressa e aviatrice con la passione del volo acrobatico, nonché rinomata istruttrice con esperienza con diversi aerei. Era in procinto di andare nello spazio nel 2002, si stava preparando alla sua prima missione alla stazione spaziale svolgendo la preziosa attività di supporto delle attività in orbita nella divisione Crew Healthcare System dell’Ufficio Astronauti per l’equipaggio di Expedition 2, quando rimase vittima nel 2001 in un incidente aereo a soli 38 anni.

I preparativi e la partenza

Era noto da agosto 2022 l’accordo raggiunto tra Northrop Grumman e SpaceX per i servizi di lancio di tre Falcon 9. Ciò è stato necessario per superare il periodo di transizione tra il ritiro dal servizio dell’Antares 230+, forzato dalla conclusione di fornitura dei propulsori russi RD-181 di NPO Energomaš, e il debutto nel 2025 del nuovo Antares 330, realizzato in compartecipazione di Firefly Aerospace. Dunque momentaneamente la campagna di lancio si trasferisce dallo spazioporto di Wallops a Cape Canaveral e per Cygnus si tratta di un ritorno. Tre dei quattro voli successivi al fallimento dell’Antares 130 nel 2014 sono stati assegnati al vettore Atlas V di United Launch Alliance, tutti decollati dal complesso di lancio SLC-41.

Storicamente Cygnus si è dimostrato un veicolo molto flessibile, compatibile con diversi lanciatori e il Falcon 9 di SpaceX ne è soltanto l’ultima testimonianza. Per l’occasione l’ogiva è stata modificata ricavando un’apertura rettangolare nella copertura aerodinamica, grande circa 1,5 × 1,2 metri. Aggiustamenti specifici per le esigenze del cliente che comportano l’introduzione di nuove funzionalità sono all’ordine del giorno fa sapere su X Jon Edward, vicepresidente Falcon Launch Vehicles di SpaceX. È un servizio che l’azienda offre nell’ottica di ottenere il miglior risultato possibile nel successo della missione. Per Northrop Grumman è un aspetto importante, poiché a poche ore dal lancio può inserire attraverso la botola nella stiva di Cygnus beni deperibili, che gli astronauti preleveranno immediatamente dopo l’aggancio del veicolo alla stazione spaziale. A titolo di esempio: i campioni biologici per gli esperimenti scientifici che devono essere conservati a bassissima temperatura che i freezer per il trasporto non raggiungono, organismi viventi, cibo fresco e così via.

Lo stivaggio a ridosso del lancio, effettuato a meno di 24 ore dalla partenza, è un’operazione delicata con gli stessi elevati standard di sicurezza nelle altre fasi di preparazione. Come accadeva con il vettore Antares da Wallops, Northrop Grumman e SpaceX hanno allestito una camera bianca climatizzata, preceduta da una zona di decontaminazione per non portare all’interno sporcizia. La pulizia è essenziale, gli addetti dalla botola nella copertura aerodinamica aprono il grande boccaporto dal quale entreranno anche gli astronauti in orbita. Per tale ragione non devono esserci corpi estranei che potrebbero compromettere la tenuta nelle guarnizioni del portello del vano pressurizzato, oltre ad avere un’atmosfera controllata sicura.

Una differenza si nota confrontando l’apertura dell’ogiva dell’Antares con quella del Falcon 9. Nel primo caso era di forma semisferica ricavato dalla zona sommitale della carenatura tale da consentire un accesso frontale sul boccaporto. Nel secondo, invece, la botola rettangolare si trova nella superficie laterale cilindrica della copertura, grossomodo ortogonalmente dal portello della stiva, che si affaccia nel volume vuoto tra il veicolo e l’ogiva.

Il 30 gennaio alle 17:07 il decollo del Falcon 9 con Cygnus NG-20 dal complesso di lancio SLC-40 di Cape Canaveral, che torna operativo dopo due settimane di fermo per manutenzione programmata all’infrastruttura di terra. Ascesa da manuale su ogni fronte. Per la missione SpaceX ha scelto il booster B1077 con già all’attivo nove voli, questo è il decimo. Finita l’azione propulsiva il primo stadio ha invertito la rotta per far ritorno a Cape Canaveral alla piazzola di atterraggio – Lannding Zone – LZ-1, complice anche l’indisponibilità della chiatta-drone A Shortfall of Gravitas impegnata nel recupero in mare di un altro booster, la sola attiva nella costa Atlantica dopo il rimessaggio per riparazioni di Just Read the Instructions. Per B1077 inoltre è il primo atterraggio sulla terra ferma e SpaceX chiude il mese di gennaio con 10 lanci, il miglior inizio d’anno di sempre, quando mai si era spinta oltre i 7.

La scienza

Ci sono volute quasi 41 ore di viaggio intorno alla Terra affinché Cygnus NG-20 arrivasse nei pressi dell’avamposto. Il 1º febbraio dalla vista privilegiata della Cupola le astronaute statunitensi, Loral O’Hara e Jasmin Moghbeli hanno seguito l’avvicinamento di Cygnus fino alla zona preposta alla cattura a una quindicina di metri di fronte a loro. Il contatto con la solida presa del braccio robotico Canadarm2 alle 10:59 in Italia e due ore e un quarto più tardi il veicolo è stato connesso al boccaporto inferiore di Unity, con il processo di aggancio affidato agli operatori del Centro di Controllo Missione sulla Terra. Altre tre ore di attesa per uniformare la pressione tra la cabina dell’avamposto e il veicolo e le consuete verifiche di tenuta, che gli astronauti di Expedition 70 hanno potuto aprire il portello di Cygnus e iniziare a disfare il carico.

Tra le dozzine di progetti c’è Metal 3D Printing, uno studio sponsorizzato dall’Agenzia Spaziale Europea che come suggerisce il nome è incentrato sullo stampaggio in 3D in microgravità. Finora sono stati impiegate matrici di polimeri plastici per la realizzazione di piccoli oggetti, mai leghe metalliche. Il macchinario troverà spazio nel laboratorio europeo Columbus, più precisamente dentro un modulo di European Drawer Rack Mark Ⅱ fornisce le interfacce meccaniche, idrauliche ed elettriche per differenti carichi utili. L’equipaggio si occuperà del suo primo montaggio, dopodiché la stampante verrà operata da remoto dal Centro operativo e di supporto all’Utente CADMOS di Tolosa (Francia).

Lo stampaggio, la fusione di un filo di acciaio inossidabile austenico in una camera satura di azoto, è un processo lento e rumoroso sia per ventole che per il motore che aziona il piatto girevole. Ciò limita le ore di stampa giornaliere a quattro, anche per non trasmettere eccessive vibrazioni che potrebbero interferire con altri studi. Ne consegue che la realizzazione di piccoli oggetti, come la prima prova di stampa di quattro elementi, può richiedere alcune settimane.

ESA confronterà questo campione con altri identici realizzati sulla Terra, lo scopo è sia di ampliare la conoscenza sulla stampa additiva o additive manufactoring sia di marcare eventuali differenze qualitative (nel manufatto e nel processo) dovute alla presenza o meno della gravità. Da queste analisi comparative potrebbero trarre giovamento pure le stampanti terrestri migliorandone la tecnologia in uso. L’ambizione è dare agli astronauti uno strumento per produrre in autonomia pezzi di ricambio o utensili da lavoro senza dover dipendere dal sostentamento con un veicolo cargo.

Spesso innovazione è sinonimo di dimostratore tecnologico. Con missioni spaziali sempre più lunghe e lontano dalla Terra, è concreta la possibilità che gli equipaggi possano stare male o involontariamente ferirsi così tanto da necessitare una prestazione chirurgica d’emergenza che vada oltre le abilità del medico-astronauta della spedizione. Si spera ovviamente di non farne uso ma, se ciò dovesse accadere, l’Università del Nebraska ha brevettato un piccolo robot MIRA – Miniaturized Robotic Assisted Surgery (letteralmente Chirurgia Robotica Assistita Miniaturizzata) da collaudare nell’avamposto.
MIRA è pensato per operare in due modalità: da remoto in diretta dalla Terra oppure eseguendo in automatico un ciclo programmato di istruzioni precaricate. Proprio il ritardo nella risposta dall’invio del comando (latenza) è uno degli aspetti che i ricercatori desiderano valutare: dove si trova l’avamposto è di circa mezzo secondo ma, andando verso Marte, è nell’ordine della decina di minuti. Così come la mobilità di una persona in microgravità è differente da quella terrestre venendo meno gli effetti dell’accelerazione di gravità, anche per i robot vanno calibrate le tarature di alcuni parametri e l’algoritmo con cui vengono calcolate le forze/coppie da applicare, acquisendo maggiore precisione negli spostamenti e nell’elaborazione dei compiti.
In prospettiva, le performance di MIRA potrebbero segnare lo sviluppo di una nuova generazione di robot chirurghi miniaturizzati non solo per l’impiego nello spazio. Concretamente si parla di destinarli alle aree rurali della Terra, dove la presenza di medici nella popolazione si è ridotta drasticamente. Oggi la chirurgia robotica non è più un’utopia, si stanno facendo sforzi per poter operare dei pazienti a distanza. Rendere questa sofisticata tecnologia accessibile e disponibile nel globo aiuterà a salvare tante vite, spesso spezzate per la mancanza di accesso alle prestazioni sanitarie più basilari.

Si prevede che Cygnus NG-20 resti in orbita per alcuni mesi, fino a maggio grossomodo. La durata della missione è variabile e strettamente dipendente dalle necessità della stazione. I serbatoi del veicoli sono pieni di carburante che può essere consumato o per il mantenimento orbitale della stazione spaziale parallelamente alle Progress russe oppure per svolgere una missione secondaria dopo il distacco mentre orbita in volo libero intorno alla Terra.

In laboratorio si hanno difficoltà nel replicare in modo fedele particolari condizioni nonostante i migliori strumenti di modellazione; niente è più probante di una prova sul campo. Il rientro distruttivo in atmosfera è anche lo scenario ideale per un ultimo studio che NASA ha predisposto per questa missione con la collaborazione dell’Università del Kentucky: Kentucky Re-entry Probe Experiment-2 (KREPE-2). Ciò fa seguito a KREPE-1 che ha avuto luogo nel 2021 con Cygnus NG-16 con l’obiettivo di raccogliere dati sulla resistenza degli scudi termici e di affinare i modelli di simulazione. A differenza del recente passato ci saranno due capsule in più, cinque totali, per valutare la protezione offerta da differenti materiali sia in uso che sperimentali. Le sonde sono provviste di sensori che registrano svariati parametri d’interesse dall’avvenuto rientro al contatto dopo la caduta nell’Oceano Pacifico insieme ai resti incombusti di Cygnus. Adesso i dati compressi in pacchetti vengono trasmessi alla costellazione di satelliti Iridium per essere messi a disposizione dei ricercatori.

Fonte: NASA

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