Martedì 7 novembre 2023 l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha diffuso pubblicamente le prime immagini scientifiche del telescopio spaziale Euclid, lanciato a bordo di un Falcon 9 il 1º luglio 2023 e il cui scopo sarà studiare la materia oscura e l’energia oscura per cercare di spiegare in maniera più dettagliata l’evoluzione dell’Universo.
Come ISAA siamo stati presenti nella press room dell’European Space Operations Center (ESOC) di Darmstadt, in Germania. Prima e dopo la pubblicazione delle immagini abbiamo avuto la possibilità di intervistare diversi membri del team di Euclid e avere qualche informazione in più sia sul lato scientifico sia su quello ingegneristico.
Nei mesi scorsi Euclid è stato sottoposto a diversi test di calibrazione dei suoi due strumenti, NISP (Near Infrared Spectrometer and Photometer) e VIS (VISible Imager), oltre che alle verifiche a tutti gli altri sistemi di navigazione, controllo termico e comunicazione. Durante queste prove è stato notato che il sensore di guida fine (Fine Guidance Sensor) aveva dei problemi nel mantenimento del puntamento: la causa è stata subito individuata nell’impatto di raggi cosmici (particelle elettricamente cariche prodotte dal Sole) sui sensori del telescopio che ne causavano letture errate e quindi individuavano stelle che nella realtà però non erano presenti. Qualche dettaglio in più ci è stato dato da Paolo Musi, Programme Manager di Euclid per conto di Thales Alenia Space (TAS): i problemi sono stati risolti sviluppando «una patch software in grado di scartare le stelle spurie» generate dall’impatto dei raggi cosmici. I tecnici hanno anche «deciso di aumentare il tempo di esposizione da 1,5 s a 3,5 s in modo tale aumentare il rapporto segnale/rumore: così facendo le stelle “vere” e quindi fisse, aumentano di intensità, mentre quelle causate dai raggi cosmici, distribuite in modo casuale, risultano più deboli». L’eliminazione delle stelle spurie avviene quindi mediando più esposizioni.
La patch «è stata progettata di concerto con Leonardo ed è stata prima validata e testata a Terra e caricata a bordo di Euclid nella seconda metà di settembre» e ad ora sta funzionando egregiamente, come dimostrano le immagini rilasciate. Una costante in tutte le foto è la combinazione di una rapidità di esposizione (poche ore soltanto), unita a un ampio campo di vista e una risoluzione estremamente elevata: Musi ricorda come «l’apertura del telescopio e l’accuratezza di un telescopio siano due caratteristiche in conflitto», nel senso che per avere una accuratezza elevata è necessario ridurre il campo di vista e viceversa.
Musi ha anche parlato del cambio di vettore che è avvenuto quando la costruzione del satellite era oramai terminata e come Thales Alenia Space abbia gestito un passaggio così delicato. Come sappiamo, infatti, il lancio di Euclid sarebbe dovuto avvenire a bordo di un razzo Sojuz, gestito dall’agenzia spaziale russa (Roskosmos): l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha però causato un deterioramento nei rapporti con alcune agenzie spaziali, tra cui quella europea e l’interruzione di progetti scientifici esistenti o futuri, tra cui appunto Euclid. Il cambio di un vettore, soprattutto se avviene quando il satellite è in una fase avanzata della progettazione o è addirittura quasi completo, comporta molto spesso dei problemi: la struttura, le ottiche, gli strumenti e le varie componenti vengono infatti costruite sulla base delle caratteristiche del razzo che verrà usato e sul conseguente profilo di missione adottato. Nel caso di Euclid fortunatamente non è stato necessario ricertificare l’intero satellite dall’inizio, ma solamente eseguire qualche test supplementare, grazie alla similarità, in termini di vibrazioni e rumori, tra il Falcon 9 e il Sojuz.
Nel frattempo, ESA e TAS si sono attivate per poter cercare un vettore che avesse le capacità di immettere il telescopio nell’orbita desiderata: Musi ha descritto positivamente l’approccio avuto dall’agenzia nella stesura del contratto di lancio con SpaceX, una situazione che dal punto di vista politico era molto delicata. Prima di scegliere l’azienda statunitense era stata infatti cercata una soluzione interna al mercato europeo: sfortunatamente, Vega e tutte le sue varianti ed evoluzioni non avrebbero avuto le prestazioni richieste, mentre Ariane 6 sarebbe risultato pronto troppo in ritardo. Un analogo discorso è valso anche per il vettore giapponese H3, anche se questo nel frattempo ha debuttato, seppur con un fallimento, il 7 marzo 2023.
A questo punto i lanciatori disponibili per Euclid erano veramente pochi: probabilmente solamente il Falcon 9 di SpaceX e qualche variante del Lunga Marcia cinese. Anche United Launch Alliance (ULA) non è stata presa in causa: la produzione dei vettori Delta e Atlas è terminata in favore di quella di Vulcan, il cui esordio al momento della rinuncia al Sojuz era ancora incerto. La scelta dei lanciatori cinesi è stata probabilmente scartata per via della presenza di strumentazione statunitense a bordo di Euclid e la inevitabile violazione delle leggi sull’esportazione delle tecnologie verso nazioni considerate ostili dagli USA. Con il solo Falcon 9 rimasto, ESA si è rivolta direttamente a SpaceX per la firma del contratto, senza passare attraverso la mediazione di NASA: questo aspetto rappresenta una prima assoluta nel panorama europeo.
I tecnici di SpaceX si sono quindi interfacciati con quelli di Thales Alenia Space e con quelli dell’Agenzia Spaziale Europea per sviluppare un profilo di missione in grado di rispettare alcuni requisiti particolari, come «l’assenza di un’eclisse durante il lancio», avere «[il Falcon 9] sempre in vista di una stazione di Terra di ESA», o che dopo la separazione delle ogive «il telescopio non puntasse mai direttamente verso il Sole per non danneggiare i sensori». E sono state queste limitazioni a «ridurre la finestra di lancio a pochi minuti ogni giorno per circa un mese». In aggiunta a quanto appena detto da Musi, Frank Grupp, Project Leader delle ottiche dello strumento NISP presso il Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics di Monaco di Baviera, ha aggiunto che «l’inserzione nel punto lagrangiano L₂ non è avvenuta da parte di SpaceX direttamente», ma è stata eseguita da Euclid stesso: tuttavia la precisione nel rilascio del carico da parte del Falcon 9 ha permesso di evitare una delle due manovre di correzione di rotta previste. L’unica leggera complicazione che si è verificata è stata il «passaggio in una posizione leggermente meno favorevole al di sopra di una stazione di Terra a causa dello spostamento della base di lancio da Kourou a Cape Canaveral».
Grupp ha poi continuato parlando del suo coinvolgimento nella progettazione delle ottiche di NISP e delle difficoltà incontrate. Una delle maggiori è stato cercare di coniugare il grande campo visivo delle stesse con lo spazio a disposizione a bordo del satellite: NISP dispone infatti di un campo visivo di 0,763° × 0,722° (0,55 deg²), il più grande per uno strumento a infrarossi. I primi tentativi di fabbricazione delle ottiche però non sono stati un successo: Grupp ricorda che uno dei primi esemplari prodotti è stato «letteralmente raccolto spazzando il supporto di test», in quanto troppo fragile e quindi distrutto. Si è proceduto quindi a una «riprogettazione» delle ottiche in modo da renderle più robuste: come conseguenza però sono anche risultate «troppo pesanti».
Grupp e colleghi sono stati quindi costretti a ridurne progressivamente il peso, prestando attenzione però alla loro fragilità: il telescopio sarebbe stato infatti lanciato a bordo di un razzo, subendo vibrazioni e accelerazioni importanti che avrebbero sollecitato la strumentazione installata. Ovviamente il tutto è stato testato sia «nelle simulazioni che sugli shaker [appositi strumenti per simulare le vibrazioni al lancio, NDR]», ma ovviamente «rimaneva dell’apprensione al momento del lancio». Apprensione svanita quando sono «arrivate le prime immagini» di test e in seguito quelle scientifiche.
Per quello che accadrà nei prossimi mesi qualche informazione in più ci è stata data da Andrea Zacchei, dirigente di ricerca all’Osservatorio Astronomico di Trieste e responsabile del segmento di Terra per la missione Euclid, e quindi di tutti i dati prodotti. Ci ha rivelato che il «processing delle prime immagini di Euclid è stato particolare, in modo tale da poterle mostrare il prima possibile al pubblico». Il satellite è ancora però nella «Performance and Verification Phase: sono in corso una serie di analisi per modellare gli strumenti, rimuovendone l’impronta lasciata sui dati raccolti. Alla fine della Perfomance and Verification Phase, che terminerà il 27 novembre, inizierà la Early Survey Operation, di sei mesi, durante la quale i dati verranno analizzati normalmente, utilizzando i codici e le procedure sviluppate nel corso degli anni».
Guadalupe Cañas Herrera, cosmologa teorica del Conosorzio Euclid, ha invece spiegato nel dettaglio la parte scientifica della missione di Euclid. Il telescopio nel corso dei suoi 6 anni – e probabilmente più – di operatività, osserverà mille miliardi di galassie: un numero così elevato, ci dice Herrera, è necessario perché «più dati si hanno, più si riduce l’incertezza sui modelli cosmologici. Quello che attualmente segue meglio i dati disponibili (misure della radiazione cosmica di fondo e informazioni tratte dalle supernovae) e le simulazioni disponibili si chiama ΛCDM»: Λ, la lettera gamma maiuscola dell’alfabeto greco, rappresenta la costante cosmologica necessaria a descrivere un Universo in espansione accelerata, mentre CDM sta per cold dark matter, materia oscura fredda. Lo scopo di Euclid sarà «ridurre le incertezze che attualmente esistono nei dati ottenuti, in modo tale da poter poter scartare modelli alternativi dell’Universo che non prevedano la presenza di energia oscura ma che comunque sono ammissibili sulla base dei dati ad oggi disponibili. Il numero di galassie che Euclid osserverà è stato quindi determinato dagli scienziati in modo tale da permettere una riduzione nelle barre d’errore. Anche la costruzione del telescopio è avvenuta seguendo questo criterio fin dalla sua progettazione, nel 2007, come fusione di due missioni separate, DUNE (Dark UNiverse Explorer) e SPACE (SPectroscopic All-Sky Cosmology Explorer)».
Per osservare così tante galassie però è necessaria anche rapidità: cosa «impossibile con il James Webb Space Telescope (JWST) o Hubble, con quest’ultimo che avrebbe impiegato più di 100 anni per osservare la stessa area di cielo coperta da Euclid in sei anni». Herrera ha continuato dicendo che «il livello dei dati raccolto da Hubble nei suoi 30 e oltre anni in orbita è paragonabile a quello di Euclid in soli tre mesi».
Entrando poi ancora di più nella parte scientifica della missione, Euclid osserverà la distribuzione degli ammassi di galassie nello spazio e in diverse fasi evolutive dell’Universo, combinando assieme a questo misure di lensing gravitazionale, il fenomeno per cui la luce proveniente da una galassia distante può venire deviata dalla presenza di una massa significativa lungo il suo percorso, distorcendo l’immagine della galassia più lontana. Studiando la distribuzione degli ammassi di galassie è possibile avere informazioni sulla situazione delle perturbazioni che l’Universo aveva nelle sue prime fasi di vita.
Le fotografie
Le fotografie scattate, vero fulcro dell’evento, sono cinque e sono state scelte per dimostrare le capacità del telescopio: i soggetti sono l’ammasso di Perseo, la galassia a spirale IC 342 e la irregolare NGC6822, l’ammasso globulare NGC 6397 e la nebulosa testa di cavallo.
L’ammasso di Perseo
L’immagine dell’ammasso di Perseo è importante perché non era mai stato possibile scattarne una così grande ma allo stesso tempo così dettagliata: si possono osservare circa 1 000 galassie appartenenti al cluster stesso e oltre 100 000 sullo sfondo, molte delle quali non erano mai state osservate in precedenza. Si tratta di galassie molto distanti, a circa 10 miliardi di anni luce e quindi in una fase evolutiva che vedeva un Universo relativamente giovane. Quelle di maggior interesse sono estremamente deboli e piccole, chiamate dwarf galaxies: sono dominate da stelle molto vecchie che emettono soprattutto nell’infrarosso e, in base alle simulazioni cosmologiche, l’Universo dovrebbe contenerne molte di più di quelle che abbiamo osservato finora. Con Euclid si cercherà di capire se effettivamente le simulazioni siano corrette o se sarà necessario rivedere i modelli evolutivi.
Studiare l’ammasso di Perseo, ma in generale gli ammassi di galassie, è importante in quanto queste strutture si sono formate solo grazie alla presenza della materia oscura, che impedisce una distribuzione omogenea delle galassie nell’Universo. Le osservazioni osservazioni cosmologiche suggeriscono che la materia oscura sia organizzata in strutture filamentari, che prendono il nome di cosmic web, o ragnatela cosmica, amplificando l’attrazione gravitazionale e la formazione di queste strutture.
IC 342 (Caldwell 5)
Molto simile – è una spirale barrata – e molto vicina – 11 milioni di anni luce – alla Via Lattea, la galassia IC 342 è anche nota come la galassia nascosta, in quanto posizionata dietro il centro della nostra galassia, una regione particolarmente densa di polveri e gas, osservabile nel dominio infrarosso. Ancora una volta, la risoluzione delle immagini non è compromessa dall’ampio campo di vista e permette di distinguere le singole stelle e i loro ammassi, rendendo possibile ciò che prima non lo era, ovvero lo studio della storia della formazione stellare, la formazione e l’evoluzione delle singole stelle.
NGC 6822
Si tratta di una galassia nana irregolare a circa 1,6 milioni di anni luce dalla Terra e appartiene allo stesso ammasso di galassie della Via Lattea, il Gruppo Locale. Nonostante sia già stata osservata in passato più volte, l’ultima delle quali con il JWST, non era mai stato possibile ottenere una foto così dettagliata in una sola ora di osservazione: i telescopi a Terra infatti non garantirebbero la necessaria risoluzione, mentre JWST è in grado di osservare solo piccole porzioni di galassia.
NGC 6822 è una galassia con stelle a bassa metallicità: questo significa che il contenuto di elementi più pesanti di idrogeno ed elio, chiamati dagli astronomi metalli, è molto più basso rispetto a quello in altre stelle. Gli elementi più pesanti, fino al ferro, vengono prodotti da bruciamenti successivi all’interno delle stelle e rilasciati durante le ultime fasi di vita o attraverso il vento stellare, nel corso di miliardi di anni. Si tratta quindi di elementi non abbondanti nelle primissime fasi di vita dell’Universo e lo studio di questi soggetti nelle vicinanze della Via Lattea è in grado di fornire informazioni sull’evoluzione delle galassie.
Anche in questo caso, sono stati identificati degli ammassi stellari non presenti in altre osservazioni: l’importanza di questa classe di oggetti è data dalle informazioni che possono rivelare sulla formazione di galassie. Gli ammassi stellari sono raggruppamenti di centinaia di migliaia di stelle, tenute insieme grazie alla gravità, e sono tra gli oggetti più antichi dell’Universo: molte delle stelle al loro interno si sono formate a partire dalla stessa nube di materiale primordiale.
NGC 6397
NGC 6397 è il secondo ammasso globulare più vicino alla Terra, ed essendo tra gli oggetti più antichi dell’Universo, contiene informazioni sulla storia e sull’evoluzione delle galassie in cui sono ospitati, in questo caso la Via Lattea.
La difficoltà principale nello studio degli ammassi stellari è nella loro osservazione: contengono infatti molte stelle nelle vicinanze del centro, alcune delle quali così luminose da sovrastare completamente quelle più deboli, impedendo una caratterizzazione corretta della composizione. Nelle regioni esterne, molto estese, si trovano invece stelle molto deboli e di piccola massa, difficili quindi da individuare: sono però queste quelle che forniscono informazioni sulle interazioni dell’ammasso con la Via Lattea.
Euclid si riconferma ancora una volta fondamentale in questo tipo di analisi: con solo un’ora di osservazione è in grado di caratterizzare dettagliatamente l’intero ammasso globulare, cosa impossibile per Hubble, Gaia o i telescopi da Terra. Il primo infatti necessiterebbe di molte ore di osservazione per mappare le regioni più esterne, mentre Gaia, pur essendo in grado di tracciare i movimenti degli ammassi, non riesce a fornire dati sulle stelle più deboli che vivono in quelle regioni. Infine, i telescopi a Terra pur coprendo un’area maggiore soffrono della presenza dell’atmosfera, che degrada le immagini e quindi la risoluzione.
Euclid verrà utilizzato per cercare le tidal tail – traducibile senza rendere troppo con code di marea – negli ammassi globulari: si tratta di una striscia di stelle che si estende molto al di fuori della regione dell’ammasso a causa di un’interazione passata con la galassia ospite. Nel caso specifico della Via Lattea, le previsioni indicano che tutti gli ammassi debbano avere delle tidal tail, ma fino ad oggi solo poche sono state osservate. La presenza e la caratterizzazione di queste strutture permetterà di studiare nel dettaglio le orbite degli ammassi e quindi derivare la distribuzione della materia oscura nella Via Lattea.
Nebulosa testa di Cavallo (Barnard 33)
Parte della costellazione di Orione – a sud di Alnitak, la stella più a est della cintura di Orione – e una delle strutture cosmiche più riconoscibili in assoluto, si trova a soli 1 375 anni luce dalla Terra ed è la più vicina regione di formazione stellare. L’immagine, come per tutte le altre, è stata ottenuta in tempi molto rapidi: con una sola ora di osservazione Euclid è riuscito a catturare l’intera nebulosa ad altissimo dettaglio. Una delle speranze dei team al lavoro su Euclid è quella di poter individuare pianeti delle dimensioni di Giove, nane brune e stelle appena formate: la regione è peculiare per la radiazione proveniente da Sigma Orionis, posizionata appena sopra la struttura a forma di testa di cavallo, una stella così luminosa da risultare l’oggetto dominante di quella regione. La radiazione ultravioletta proveniente da Sigma Orionis illumina le nubi dietro la Testa di cavallo, mentre le nubi dense della Testa stessa ne bloccano il passaggio, rendendo la Testa così scura. La nebulosa stessa è composta da idrogeno molecolare a bassa temperatura, che impedisce un efficiente scambio di calore e del passaggio della luce.
Fonti: ESA, ESA – The dark cosmic web.