Lo scorso 11 novembre la Stazione Spaziale Internazionale ha visto l’attracco della Cargo Dragon C211 per la 29ª missione di SpaceX (SpX-29) nell’ambito del Commercial Resupply Services di NASA per il sostentamento dell’avamposto, partita due giorni prima dal Kennedy Space Center. Le astronaute statunitensi Jasmin Moghbeli e Loral O’Hara hanno supervisionato l’avvicinamento automatizzato del veicolo di rifornimento, pronte a intervenire se la situazione l’avesse reso necessario. A circa 200 metri dalla meta, però, uno dei computer di supporto (SSC – Station Support Computer) in uso nella Cupola si è improvvisamente riavviato. Grazie al perfetto lavoro di squadra con il Centro di Controllo Missione di Houston è stato possibile configurare per lo scopo uno dei computer della postazione di riserva di Destiny, di solito adibita alle sessione di addestramento, dal quale monitorare la telemetria della Cargo Dragon, ricevere i segnali video o eventualmente impartire comandi al veicolo.
Nonostante l’inconveniente, l’aggancio alla porta di attracco anteriore di Harmony si è concluso regolarmente alle 11:07 da noi in Italia, in anticipo sul cronoprogramma. Per l’equipaggio di Expedition 70 si tratta della seconda missione di supporto destinata al segmento statunitense, dopo l’arrivo ad agosto di Cygnus NG-19 di Northrop Grumman. La missione, oltre a dare agli astronauti quanto necessitano in funzione delle attività calendarizzate nei prossimi mesi, ha la funzione di riportare a Terra gli studi scientifici elaborati nelle scorse settimane, essendo ad oggi l’unico veicolo cargo (aspettando nel 2024 il Dream Chaser di Sierra Space) pensato per superare il rientro atmosferico. Così facendo la scienza fatta in microgravità torna disponibile ai rispettivi ricercatori, istituti di ricerca, laboratori sulla Terra che hanno realizzato lo studio, affinché vengano tratte le conclusioni alla base dell’indagine scientifica. Per NASA, invece, è la possibilità di avere indietro equipaggiamenti dall’avamposto da ricondizionare, o perché guasti o perché funzionanti ma oggetto di manutenzione programmata, per poi essere riportati nuovamente in orbita.
Dal resoconto di NASA sulla missione, sono circa 2.950 i chilogrammi di carico utile stipati nella stiva e nella sezione non pressurizzata esterna della Cargo Dragon, massa in larga parte derivata da indagini scientifiche e dimostratori tecnologici. Tra questi si enumera ILLUMA-T che fa il paio con il progetto LCRD – Laser Communications Relay Demonstration – lanciato nel 2021 come parte di un satellite nell’ambito del programma di test spaziali del Dipartimento della Difesa statunitense situato in orbita geosincrona. NASA desidera dimostrare la fattibilità delle comunicazioni laser bidirezionali tra due terminali nello spazio e la trasmissione del segnale alle stazioni riceventi sulla Terra. L’impiego della tecnologia laser, con un invisibile raggio luminoso emesso nell’infrarosso, rispetto ai sistemi di comunicazioni tradizionali con ponte radio ha come vantaggio la possibilità di trasportare più dati, immagini e video per singola trasmissione. Inoltre il sistema è più leggero e compatto in termini di peso e volume, ha una richiesta di energia per il funzionamento inferiore, che può essere pertanto destinata ad altri carichi utili. Ne consegue che ciò assume un ruolo di rilievo per le missioni robotiche verso Luna e Marte, dove l’ottimizzazione della massa e l’efficienza delle comunicazioni è tanto più cruciale che nell’orbita terrestre bassa.
Con SpaceX SpX-29 l’astronauta danese di ESA Andreas Mogensen prende in consegna Aquamembrane-3, un’evoluzione dello studio da lui condotto per la prima volta nel 2015 durante la missione di breve durata IRISS e adesso riproposto per Huginn. I principi di funzionamento sono i medesimi del precursore: sfruttare per il filtraggio dell’acqua speciali proteine chiamate acquaporine presenti in natura in alcune cellule e tessuti, a titolo di esempio nei reni e membrane dei vacuoli delle cellule vegetali il cui scopo è regolare per osmosi il flusso idrico. Gli attuali sistemi di filtrazione e di potabilizzazione dell’acqua sono grossi, pesanti, richiedono una frequente manutenzione per la sostituzione dei filtri e non ultimo sono energivori.
L’azienda danese Aquaporin Space Alliance ha brevettato la tecnologia oggetto di test: una membrava costituita da proteine di acquaporina inglobate in fibre cave. Per effetto dell’osmosi diretta l’acquaporina lascia passare l’acqua tra le due interfacce della membrana, ma blocca con una carica elettrostatica il transito di ioni e di altri contaminanti a livello molecolare. L’aspetto positivo è che la membrana è meno soggetta a occlusioni di quanto non lo sia un filtro macroscopico a maglie. Inoltre gli intervalli di manutenzione di allungherebbero, senza compromettere la stabilità nel tempo. Ciò torna utile in missioni di esplorazione spaziale oppure in frangenti ostili sulla Terra, si pensi a situazioni di emergenza dopo un cataclisma o in luoghi disagiati.
Tra gli studi ricorrenti fatti dentro e fuori, la Stazione Spaziale Internazionale vede come protagonisti i batteri e la caratterizzazione delle specie che popolano le superfici. Ricreare in laboratorio la somma degli effetti delle radiazioni e della variabilità nel tempo (mesi, anni e decenni) di queste sui microorganismi non è fattibile. È assodato che in microgravità il sistema immunitario degli astronauti è più vulnerabile di quanto non lo sia sulla Terra, ciò è dovuto all’attenzione nel garantire un ambiente più sterile e sicuro possibile affinché la salute della persona non venga minata. Non per questo le minacce per l’organismo mancano! Sulle superfici si annidano microbi e agenti patogeni nonostante le precauzioni prese. Boeing, in collaborazione con ISS National Lab e altri partner, confronterà la carica batterica sui rivestimenti più comuni presenti nei veicoli spaziali con campioni comparativi trattati con una patina polimerica antibatterica.
Fonte: NASA