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Sono atterrati i campioni dell’asteroide Bennu

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La capsula nel deserto dello Utah. Credits: NASA/Keegan Barber

Nel pomeriggio italiano del 24 settembre 2023, la capsula contenente del materiale proveniente dall’asteroide Bennu è atterrata in sicurezza nel deserto dello Utah, più precisamente nello Utah Test and Training Range di proprietà del Dipartimento della Difesa statunitense (DoD). Per l’agenzia spaziale americana (NASA) si tratta di un grande successo, trattandosi infatti del suo primo caso di campioni riportati a Terra da un asteroide.

Come vedremo, non si è trattato però di un viaggio senza intoppi, né durante le fasi di campionamento né durante l’atterraggio.

Un rapido e robotico sguardo al passato

La capsula che è arrivata a Terra rappresenta solo una piccola parte della missione scientifica gestita da NASA: essa faceva parte infatti della sonda robotica OSIRIS-REx, acronimo per Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security and Regolith Explorer, progettata per studiare e raccogliere un campione di suolo da 101955 Bennu, noto informalmente solo come Bennu, asteroide near-Earth del gruppo Apollo, ovvero quelli caratterizzati da un afelio e perielio rispettivamente maggiori a una unità astronomica e a 1,017 unità astronomiche, pari all’afelio dell’orbita terrestre.

Il lancio è avvenuto il 9 settembre 2016 alle 00:05 italiane a bordo di un Atlas V 411 di United Launch Alliance (ULA), dal pad SLC-41 di Cape Canaveral, in Florida.

Dopo un gravity assist con la Terra nel settembre 2017, OSIRIS-REx ha iniziato un periodo di crociera di circa 11 mesi, durante i quali ha individuato otticamente Bennu. Il rendez-vous è avvenuto nell’ottobre 2018, a cui è seguito un mese di lento approccio per permettere il controllo e l’attivazione di tutti i sistemi della sonda. In questo periodo OSIRIS-REx ha mappato Bennu da distanze diverse, selezionando i candidati migliori per la raccolta del materiale da riportare a Terra ed effettuando delle simulazioni della manovra di campionamento, chiamata Touch And Go (TAG), effettuata poi il 20 ottobre 2020.

Molto brevemente, il braccio robotico di OSIRIS-REx, chiamato anche TAGSAM, è stato esteso e la zona di raccolta situata alla sua estremità si è appoggiata sulla superficie dell’asteroide. Un getto di azoto, contenuto in una bombola, ha permesso di sollevare il materiale e di raccoglierlo in due contenitori.

La sonda poi è ritornata in orbita attorno a Bennu, effettuando il trasferimento dei materiali nella Sample Return Capsule (SRC). Ed è durante questa manovra che si sono presentati degli inconvenienti: dei sassi di dimensioni più grandi del previsto impedivano la corretta chiusura del meccanismo di raccolta, causando la perdita di qualche grammo di materiale. Va ricordato che Bennu è un asteroide con una massa così ridotta, almeno nel contesto astronomico, da avere una gravità significativamente bassa, all’incirca 10 000 volte meno di quella terrestre. L’importanza della tenuta stagna del contenitore era necessaria anche per la misurazione della massa dello stesso: la procedura infatti ne prevedeva il calcolo a partire dalla differenza di momento d’inerzia della sonda. Dal momento che qualsiasi accelerazione avrebbe comportato una perdita di materiale, il team della missione, guidato da Dante Lauretta, decise di non procedere alla misurazione ma di sigillare il contenuto il più velocemente possibile, facendo affidamento ad altri dati che suggerivano una significativa quantità di suolo fosse stata raccolta, intorno ai 250 g, seppure con un’incertezza di 101 g.

La partenza dall’asteroide è stata poi rimandata da marzo 2021 a maggio 2023, per questioni di risparmio di carburante e della possibilità di un ultimo sorvolo di Bennu e del sito di campionamento.

Il lavoro preparatorio dei team a Terra

Se finora le decine di persone che lavoravano alla missione avevano agito a milioni di chilometri di distanza, con l’avvicinarsi del 24 settembre sempre più persone vennero coinvolte direttamente nel lavoro sul campo: al momento dell’atterraggio, infatti, la capsula sarebbe dovuta essere portata al più presto presso un ambiente sterile e protetto, per evitare contaminazioni con l’atmosfera terrestre. Durante i sei mesi antecedenti l’arrivo dei campioni, diverse persone e squadre con compiti ben specifici si sono allenate per eseguire alla meglio il compito loro assegnato: chi al monitoraggio e correzione della traiettoria, chi al recupero e al trasporto della capsula, chi alla sua apertura in appositi ambienti chiamati glovebox, chi infine preparando le procedure per le analisi scientifiche da effettuare sui campioni.

Membri del curation team si addestrano usando una glovebox di prova. Credits: NASA Johnson/Bill Stafford

Le squadre deputate alla raccolta della capsula (e noti anche come recovery crew) hanno effettuato sette simulazioni di recupero da aprile 2023 a poco prima del 24 settembre, verificando di volta in volta se tutte le operazioni svolte necessitassero di modifiche o approcci diversi. Ad ogni simulazione il livello di realismo è cresciuto sempre di più, passando da un semplice posizionamento a mano di un simulacro della capsula fino a un rilascio da un elicottero in un’area dalle dimensioni simili di quelle reali.

La procedura definitiva ha previsto la misurazione della temperatura della capsula, per verificare che si fosse raffreddata sufficientemente per essere maneggiata dagli operatori, e la ricerca di eventuali gas in uscita dalla stessa. Dopo questi due primi controlli di sicurezza, il terreno nelle circostanze è stato delimitato e marcato come non calpestabile da persone non appartenenti al team di recupero, che hanno raccolto alcuni campioni di suolo, aria e acqua. La capsula è stata poi ricoperta con diversi strati di un materiale plastico e non reattivo ed elitrasportata fino a una clean room temporanea approntata all’interno del deserto dello Utah. Da lì è stata poi trasferita al Johnson Space Center di Houston, in Texas.

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Le attività del team dedicato all’analisi della telemetria invece si è protratta molto a ridosso dell’effettivo arrivo della capsula: attraverso simulazioni numeriche al computer, hanno previsto la traiettoria di rientro tenendo in considerazione diversi fattori, tra cui l’attività solare o la presenza di detriti spaziali già tracciati. In questo modo hanno potuto permettere l’ingresso in atmosfera della capsula alle 16:41 italiane, con un conseguente atterraggio circa 13 minuti dopo all’interno di un’ellisse di 59 km × 15 km. I team sono anche stati addestrati ad affrontare molti possibili scenari, tra cui l’entrata in safe mode di OSIRIS-REx o la mancanza di elettricità e di comunicazioni nella sala di controllo di Lockheed Martin, responsabile delle operazioni della sonda.

Le manovre di correzione di rotta sono invece iniziate quasi un anno esatto prima dell’effettivo arrivo: il 21 settembre 2022 la sonda OSIRIS-REx ha acceso i suoi motori per 30 secondi, modificando la propria traiettoria in direzione della Terra. Quella di settembre 2022 è stata l’unica correzione di rotta effettuata fino a luglio 2023: da quel momento in poi altre ne sono state eseguite, per correggere eventuali imprecisioni nella determinazione della traiettoria e assicurare il corretto angolo di ingresso alla capsula. Nel caso questo fosse stato troppo elevato, avrebbe causato un rimbalzo della capsula sull’atmosfera e la sua conseguente perdita nello spazio; mentre se fosse stato troppo piccolo, avrebbe causato il bruciamento della capsula in atmosfera. Come risultato di tutte queste operazioni, OSIRIS-REx è passata a una distanza di circa 2 200 km dalla Terra, terminando così la sua missione e iniziandone un’altra, OSIRIS-APEX, dedicata allo studio dell’asteroide Apophis.

Il rientro e il possibile problema al paracadute

Il rilascio della capsula dalla sonda OSIRIS-REx è avvenuto alle 12:42 italiane, quando ancora era a circa 100 000 km dalla superficie terrestre, impattando l’atmosfera alle 16:42 e atterrando circa 10 minuti dopo. Non c’è ancora certezza sul dispiego nominale del paracadute freno, il cosiddetto drogue chute: da un lato NASA ha affermato che i due paracadute si sono aperti nominalmente, dall’altra è stato riportato da alcune testate giornalistiche che l’apertura del paracadute principale sia avvenuta a una quota maggiore di quella prevista, comportando un atterraggio della capsula al di fuori della zona originariamente preventivata. A parte questo inconveniente, che verrà quasi sicuramente investigato da NASA per valutare eventuali azioni correttive per future missioni simili, tutto è proceduto per il meglio: la capsula è stata ritrovata alle 17:07 e in circa un’ora e dieci minuti era già stata impacchettata per il trasporto verso la clean room.

Prospettive future

Ora che i campioni sono al sicuro in un ambiente controllato e ad alta concentrazione di azoto (un gas inerte e che quindi non contamina il contenuto della capsula), inizieranno le procedure per la spartizione tra i vari centri di ricerca con cui l’agenzia spaziale statunitense ha stretto degli accordi: in totale saranno 223 gli scienziati al mondo a beneficiarne. I primi campioni verranno spediti a partire da gennaio 2024 e nel mentre gli scienziati statunitensi avranno l’esclusiva per l’analisi, lo studio e la caratterizzazione del suolo di Bennu. Non tutto il contenuto verrà però utilizzato in questi anni: come fatto per le missioni Apollo, quasi il 75% del totale verrà stoccato e non analizzato per permettere alle future generazioni di poterlo studiare, eventualmente sfruttando nuove tecnologie o per validare teorie emergenti fra qualche decina di anni.

L’importanza dello studio degli asteroidi, ancor di più se diretta, è fondamentale per capire la formazione dei pianeti e la possibile presenza di precursori molecolari della vita. Solitamente lo studio di questa classe di oggetti avveniva tramite la raccolta e l’analisi di meteoriti o frammenti a essi associati: l’inevitabile ablazione della superficie esterna impediva o comunque limitava la quantità di studi di astrobiologia disponibili; è per questo che i campioni di suolo di Bennu, come quelli di Ryugu recentemente portati a Terra da Hayabusa-2 (JAXA, l’agenzia spaziale giapponese), risultano di fondamentale importanza per la validazione o lo sviluppo di nuove teorie in questo campo.

Tra le analisi che verranno effettuate al Goddard Spaceflight Center di Huntsville, in Alabama, ci sarà lo sbriciolamento delle parti più grandi e il successivo trattamento con acidi o acqua bollente, al fine di ottenere quante più informazioni possibili sulla composizioni chimica delle rocce.

Mappa globale dei centri di ricerca che riceveranno una parte dei campioni raccolti da OSIRIS-REx su Bennu. Credits: NASA/Goddard/University of Arizona.

Fonti: NASA (1), NASA (2), NASA (3), NASA OSIRIS-REx blog.

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