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RIME: storia di un dispiegamento

Un modello in scala 1:18 dell'antenna di RIME montato sopra un modello semplificato di JUICE. Credits: ESA–M.Cowan, CC BY-SA 3.0 IGO

Il 14 aprile 2023 uno degli ultimi vettori Ariane è decollato dallo spazioporto di Kourou, nella Guyana Francese, con la sonda JUICE all’interno delle ogive. Il lancio è proceduto senza problemi, con la sonda che si è correttamente distaccata dall’adattatore dopo 26 minuti. Da quel momento in poi sono iniziate le fasi di messa in funzione che prevedono il contatto con la sonda e una prima verifica che tutti i parametri rientrino negli intervalli prestabiliti dagli ingegneri. Seguono quindi le operazioni di dispiegamento dei vari strumenti, raggiungendo così quella che è definita modalità o assetto di crociera, in quanto la sonda si trova in attesa di raggiungere la propria destinazione.

Per JUICE, che studierà le lune ghiacciate di Giove, il viaggio durerà 8 anni, durante i quali effettuerà tre assist gravitazionali con la Terra (agosto 2024, settembre 2026 e gennaio 2029) e uno con Venere (agosto 2025), con l’arrivo previsto a luglio 2031. Le opportunità di raccogliere dati scientifici, comunque, non inizieranno solo con il raggiungimento della destinazione, ma potranno anche verificarsi nel corso del viaggio: motivo per cui gli strumenti dovranno essere già in configurazione operativa e pronti a essere accesi all’occasione. I primi componenti a dispiegarsi sono stati i pannelli fotovoltaici, a circa un’ora e mezza dal lancio, seguiti dal rilascio di due piccole sonde ausiliarie, dal braccio del magnetometro e dalle diverse antenne nel corso dei successivi giorni (da T+16 ore a T+17 giorni). Ed è stata proprio l’antenna RIME a causare le maggiori preoccupazioni agli ingegneri dell’European Space Operations Centre (ESOC) di Darmstadt, in Germania, in quanto il dispiegamento non avveniva. RIME è uno dei dieci strumenti di cui JUICE dispone a bordo e sarà utilizzato per studiare la geologia degli strati immediatamente sotto la superficie delle lune di Giove tramite l’invio di segnali radar, in grado di penetrare fino a 9 km di profondità e rilevare dettagli con una risoluzione compresa tra i 50 m e i 140 m.

Il dispiegamento dell’antenna però, come detto, non si è svolto come previsto. Date le dimensioni notevoli (16 m in lunghezza), l’antenna è stata costruita su due bracci di quattro segmenti ognuno: degli otto complessivi, tre si sarebbero dispiegati su un lato della sonda, tre sull’altro e due sarebbero rimasti collegati alla struttura di JUICE. Il poco spazio a disposizione all’interno delle ogive di Ariane 5, oltre ad aver portato a questa soluzione costruttiva, aveva costretto gli ingegneri a piegare i segmenti mobili al di sopra di quelli fissi, tenendoli fermi con delle staffe. La loro rimozione sarebbe dovuta essere garantita da degli attuatori non esplosivi (NEA, non explosive actuator) attivati dal centro di controllo di ESOC. La conferma del corretto svolgimento di questa operazione sarebbe arrivato, oltre che dalla telemetria, anche da due videocamere posizionate appositamente.

Il 17 aprile, giorno di inizio delle operazioni di dispiegamento, la prima staffa venne rimossa senza alcun problema, come indicato anche dal sistema di mantenimento dell’assetto (Attitude and Orbit Control System, AOCS) in azione per compensare le vibrazioni prodotte dall’apertura del primo segmento.

Con la seconda staffa però le operazioni non sono state altrettanto lineari, con i dati telemetrici che non mostravano le vibrazioni attese e con le immagini il segmento ancora richiuso. Fin da subito venne quindi inviato un nuovo comando all’attuatore, senza però alcun effetto. I team di ingegneri a ESOC e di Airbus Defence and Space a Tolosa, in Francia, responsabili della costruzione e test della sonda, iniziarono da subito ad analizzare la situazione per arrivare a una soluzione il più rapidamente possibile.

Una delle prime ipotesi proposte per spiegare la mancata attivazione del meccanismo indicava nel ghiaccio formatosi per brinamento nel corso del lancio come uno dei possibili responsabili. Nonostante non fossero presenti evidenze dell’effettiva formazione del ghiaccio e le componenti dell’antenna e del lato su cui era installata non fossero state realizzate tenendo in considerazione l’esposizione alla radiazione solare, i tecnici nel corso di due settimane fecero ruotare JUICE otto volte per orientarla verso il Sole e provare quindi a sciogliere il ghiaccio. Date appunto le limitazioni tecniche sulla quantità di calore ricevibile dalle componenti, a ogni rotazione il tempo di esposizione venne aumentato gradualmente, passando da 25 minuti per il primo tentativo fino ai 73 dell’ultimo.

Come già detto, le prove dell’effettiva formazione di ghiaccio non erano disponibili e mentre le operazioni di riscaldamento venivano portate avanti, gli ingegneri valutavano altre cause come responsabili, tra cui il semplice incastro della staffa. La soluzione a questo tipo di scenario venne individuata in una vibrazione controllata della sonda grazie all’ausilio dei motori a bordo: non si poteva trattare di una manovra troppo violenta in quanto altre componenti avrebbero potuto subire danni e anche perché il movimento necessario per lo sblocco del meccanismo era probabilmente di pochi millimetri.

L’accensione dei motori venne quindi tentata, anche in questo caso dopo attente simulazioni e considerazioni, in congiunzione con le esposizioni alla luce solare, senza però provocare alcun miglioramento nella situazione.

Tornati quindi alla situazione iniziale, senza alcun risultato e con le prime ipotesi scartate, venne valutato il piano proposto dagli ingegneri della compagnia produttrice dell’antenna, la tedesca SpaceTech. La procedura era molto semplice e supportata da alcune simulazioni effettuate su un modello di antenna utilizzato per i test: si trattava di continuare il dispiegamento come se non ci fossero stati intoppi, facendo affidamento sul fatto che a ogni dispiegamento del segmento si veniva a creare una piccola vibrazione nella struttura e che potenzialmente avrebbe aiutato la rimozione del pin bloccato. SpaceTech suggeriva inoltre di riscaldare l’antenna esponendola alla luce solare: questa raccomandazione venne segnalata in quanto, nonostante i test sul il modello fossero stati svolti in ambienti a temperature basse, queste non raggiungevano quelle dell’ambiente in cui JUICE si trovava e che avrebbero potuto influire sull’attuazione dei NEA.

Come in tutte le valutazioni ingegneristiche effettuate fino a quel momento, vennero considerati anche i possibili rischi che questo tipo di manovra avrebbe potuto portare alla sonda. In particolare si notò che, se il dispiegamento fosse proseguito come se non ci fossero stati problemi, due segmenti sarebbero potuti entrare in contatto e causare altri danni. Come soluzione si decise di cambiare l’ordine di dispiegamento, facendo però prima un ultimo, infruttuoso, tentativo con la sola esposizione al Sole.

L’opzione degli ingegneri di SpaceTech rimaneva quindi l’unica, con la notevole controindicazione che i NEA potessero essere attivati solo una volta. Alle 14 del 12 maggio venne quindi inviato il comando, a cui seguì la ricezione della telemetria che indicava del movimento di JUICE. Non sarebbe stato però possibile concludere se la procedura fosse andata a buon fine fino al download delle immagini, che giunse pochi minuti dopo. Come mostrarono le foto, tutti e tre i segmenti si erano dispiegati correttamente.

GIF che mostra il corretto dispiegamento di tre segmenti dell’antenna di RIME. Credits: ESA/Juice/JMC, CC BY-SA 3.0 IGO

Ne rimanevano però altri tre, situati sul secondo braccio, con un solo NEA da attivare prima che l’antenna potesse finalmente raggiungere la configurazione finale. Ma proprio perché mancava un solo attuatore, le possibilità di un’altra staffa incastrata rendevano la situazione molto critica: nel caso precedente infatti sarebbe bastato attivare il successivo attuatore per produrre la vibrazione necessaria. Prima di ripetere la procedura appena sperimentata, testata a una determinata temperatura, gli ingegneri decisero di ruotare JUICE e raffreddare la parte rivolta verso il Sole. Il periodo di esposizione infatti aveva superato i 73 minuti raggiunti nel corso dell’ultimo tentativo di scioglimento del ghiaccio, portando così a temperature superiori a quelle raggiunte nei laboratori in Germania. La sonda e l’antenna rimasero così per circa tre o quattro ore a raffreddarsi: al termine il comando di rotazione e dispiegamento venne inviato.

I dati di telemetria prima e le immagini visive poi mostrarono che la procedura aveva avuto pieno successo e l’antenna si era dispiegata correttamente.

A questo punto gli ingegneri di volo di stanza a ESOC inviarono i comandi necessari al dispiegamento degli altri nove strumenti, che avevano aspettato nell’attesa della risoluzione dei problemi all’antenna di RIME. In questo caso non si ebbero significativi problemi e ora JUICE è operativa e in attesa di effettuare i 35 sorvoli previsti delle lune gioviane ghiacciate. Nel frattempo, i team dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), Airbus e SpaceTech sono al lavoro per capire le cause del mancato dispiegamento e nello sviluppo e implementazione di procedure, tecniche e analisi per ridurre e potenzialmente eliminare il rischio che capiti nuovamente in futuro.

GIF che mostra il dispiegamento completo di RIME. Credits: ESA/Juice/JMC, CC BY-SA 3.0 IGO

Fonti: ESA.

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