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Lunga vita ad InSight

Un rendering di InSight su Marte. Credits: NASA/JPL-Caltech

Le ultime notizie pubblicate da NASA risalgono ormai al primo di novembre, quando sono state comunicate le ultime operazioni da compiere con il lander prima che si perdano completamente i contatti. Il continuo depositarsi di polvere sui pannelli fotovoltaici riduce infatti costantemente la produzione di energia e alla sonda sono rimaste poche settimane di limitata operatività, durante le quali il team di Terra cercherà di massimizzare la resa scientifica dei dati in arrivo. Prima di vedere le azioni intraprese da NASA per InSight, è doveroso un passo indietro e capire l’importanza di questa missione in termini scientifici e ingegneristici.

Il viaggio e le peripezie terrestri

Sebbene ora la missione sia conosciuta come InSight, acronimo di Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport, lo studio preliminare del 2011 si chiamava GEMS (Geophysical Monitoring Station). La proposta era in competizione con altre due missioni, rispettivamente un'”imbarcazione” in grado di studiare i mari di Titano e una sonda in grado di scendere ripetutamente sulla superficie di una cometa per studiarne i cambiamenti dovuti all’interazione con il Sole.

La selezione definitiva avvenne nel 2012, rendendo GEMS, che nel frattempo aveva cambiato nome nell’attuale InSight, la dodicesima missione del programma Discovery. Nello stesso anno fu scelto come lanciatore l’Atlas V 401 di United Launch Alliance e come base di lancio quella di Vandenberg: questo avrebbe reso InSight la prima missione interplanetaria a partire dalla costa ovest degli Stati Uniti. Il costo totale dei servizi di lancio fu di 160 milioni dollari, esclusi dal budget di 425 milioni previsto dal programma Discovery.

Nei piani di NASA il lancio era previsto per marzo 2016 e l’atterraggio sei mesi dopo. Gli scienziati cominciarono a individuare i migliori luoghi per lo svolgimento della missione: dal momento che l’obiettivo era lo studio dell’interno del pianeta, gli unici criteri presi in considerazione furono la maggior piattezza possibile del terreno, l’assenza di rocce e la vicinanza all’equatore, per garantire un maggior apporto di luce. Tutti i possibili candidati si trovavano in Elysium Planitia, dal momento che Isidis Planitia e Valles Marineris erano troppo rocciose e ventose, con la seconda senza aree sufficientemente grandi e pianeggianti per permettere un atterraggio sicuro.

Un altro aspetto da considerare era la penetrabilità del terreno, in quanto InSight sarebbe stato equipaggiato con una “talpa” in grado di penetrare nel suolo e raggiungere una profondità tra i 3 e i 5 metri. A questo scopo furono utilizzati Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) e le immagini di Mars Odyssey: nel 2015 si ebbe la decisione finale sul luogo di atterraggio, rappresentato da un’ellisse con semiassi di 130 km e 27 km e centrato a circa 4° N e 136° E.

Il luogo finale di atterraggio di InSight. Credits: NASA/JPL-Caltech/ASU

Nel 2014 fu firmato un accordo di collaborazione tra NASA e CNES, l’agenzia spaziale francese, per la produzione del sismografo SEIS (Seismic Experiment for Interior Structure instrument). Il ruolo della Francia sarebbe stato coordinare un team di scienziati delle agenzie spaziali di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Svizzera e Germania. Lo scopo dello strumento sarebbe stato la misurazione dell’intensità delle onde sismiche che attraversano Marte per determinare la struttura interna del pianeta. Queste informazioni sarebbero poi successivamente state confrontate con i modelli di evoluzione planetaria per i pianeti rocciosi per verificarne la coerenza.

Il contributo francese non fu l’unico da parte di un paese europeo: l’agenzia spaziale tedesca DLR contribuì allo sviluppo di un altro importante strumento, Heat Flow and Physical Properties Package (in breve anche HP³). L’obiettivo era la penetrazione del terreno per misurare il calore in arrivo dall’interno del pianeta e lo studio della conducibilità termica del suolo marziano.

La Spagna, in particolare il Centro di Astrobiologia, fornì invece i sensori del vento e della temperatura, che unitamente a un barometro avrebbero costituito una stazione meteo su Marte.

La costruzione della sonda iniziò nel maggio del 2014 e già nel novembre dello stesso anno si passò alla fase di assemblaggio e integrazione delle varie componenti, con HP³ primo strumento installato.

Tutto procedeva secondo la tabella di marcia. Nel maggio 2015 iniziarono le verifiche, inizialmente con la sonda in modalità di crociera, racchiusa all’interno della capsula che l’avrebbe protetta dall’ambiente spaziale e nelle prime fasi di rientro. Seguirono poi test sulle batterie, ambientali e vibrazionali per verificare la corretta operatività e robustezza della sonda alle varie condizioni che avrebbe incontrato dal momento del lancio.

Durante i test ambientali emerse però che il contenitore di SEIS non riusciva a mantenere le condizioni di vuoto necessarie per far funzionare lo strumento correttamente: SEIS era in grado di distinguere movimenti del terreno dell’ordine di un atomo ed era quindi necessario il miglior isolamento possibile da fattori esterni quali il vento, cambi di pressione e vibrazioni. Il sismometro rimase quindi negli stabilimenti francesi, dove era stato prodotto, per ulteriori test e tentativi di risoluzione del problema. Nel frattempo il lander era stato completamente assemblato, testato e il 17 dicembre 2015 trasportato verso la base di Vandenberg: l’installazione di SEIS sarebbe dovuta avvenire nel mese di gennaio dell’anno successivo.

Tuttavia, nonostante un primo tentativo riuscito di riparazione, successivi test a basse temperature (–45°C) mostrarono come il problema non fosse stato risolto e la tenuta ermetica non garantita. L’assenza di ulteriore tempo per trovare una soluzione costrinsero NASA a spostare la data di lancio della sonda alla finestra successiva, prevista circa 26 mesi dopo.

Il JPL e il CNES si misero subito al lavoro per risolvere il difetto: la soluzione a cui si arrivò fu una completa riprogettazione dello strumento, affidata assieme alla certificazione del nuovo sigillo ermetico e dei collegamenti elettrici al JPL, mentre all’agenzia francese sarebbe spettato il compito di sviluppare, consegnare e integrare i sensori del sismometro, oltre che montare l’intero strumento sul lander.

Parallelamente alla costruzione di InSight, al JPL un team di scienziati era al lavoro sullo sviluppo di un paio di CubeSat 6U (36,6 cm × 24,3 cm × 11,8 cm) chiamati MarCO, che avrebbero volato assieme alla sonda. Al momento dell’arrivo su Marte avrebbero funzionato da ripetitori per le comunicazioni con la Terra, effettuato un flyby con il pianeta per poi rimanere in orbita eliocentrica. Il ruolo di questi due microsatelliti era perlopiù dimostrativo: disponevano infatti di un’antenna operante in due frequenze in grado di ricevere e inviare i segnali contemporaneamente. Questo avrebbe permesso una più rapida conferma dell’atterraggio di Insight, dal momento che MRO non poteva operare simultaneamente in ricezione e trasmissione. La missione dei due CubeSat è stata poi dichiarata conclusa nel febbraio 2020, dopo che i contatti erano stati persi a inizio gennaio 2019 a causa dell’allontanamento dal Sole, e mai più ripresi.

In preparazione all’arrivo della sonda, anche il team di MRO cominciò ad attivarsi, comandando al satellite un cambio di orbita per permettere una copertura migliore della fase di discesa in atmosfera di InSight.

Una volta completate le verifiche su SEIS, nel 2016 arrivò l’approvazione ufficiale per la partenza nel 2018: la finestra di lancio si sarebbe aperta il 5 maggio e chiusa l’8 giugno, con l’arrivo su Marte fissato in qualsiasi caso al 26 novembre. Non ci furono più eventi significativi nello sviluppo di InSight, che partì come previsto dalla rampa 3E il 5 maggio 2018 alle 13:05 italiane e atterrò il 26 novembre 2018.

L’Atlas V 401 di ULA decolla dalla rampa 3E della Vandenberg Air Force Base. Credits: NASA/JPL-Caltech

La complicata vita marziana

Dopo le normali attività di commissionamento (apertura dei pannelli solari, verifica dello stato di tutte le componenti elettroniche e scientifiche, ripresa del panorama circostante), InSight si apprestò a iniziare l’attività scientifica. Se però SEIS aveva causato ritardi significativi durante la fase di test, fu HP³ a causare i primi grattacapi post-lancio.

Lo strumento avrebbe dovuto infatti penetrare nel terreno marziano a una profondità tra i 3 e i 5 metri, fermandosi ogni 50 centimetri per misurare la conducibilità termica del suolo. Nonostante l’assenza di rocce in superficie portasse a ipotizzarne l’assenza anche nel sottosuolo, fin dai primi tentativi di penetrazione la talpa incontrò diverse difficoltà, giungendo soltanto a 30 cm di profondità. I team responsabili dello strumento si attivarono fin da subito: durante le successive settimane vennero eseguite diverse ore di analisi, simulazioni e prove tecniche in laboratorio, utilizzando una copia di HP³ disponibile a Terra. Furono tentate anche osservazioni simultanee con fotocamere e con il sismometro durante l’attività della talpa, per ricevere più informazioni possibili sulla causa del blocco.

La soluzione finale adottata fu l’utilizzo del braccio robotico per rimuovere la struttura che aveva permesso il deposito della talpa. In questo modo una ricollocazione dello strumento sarebbe stata impossibile, dal momento che il braccio non avrebbe avuto alcun supporto su cui fare presa. Anche se questo processo fosse stato praticabile, tuttavia, non avrebbe verosimilmente migliorato la situazione: dall’analisi delle fotografie venne stabilito che le difficoltà incontrate fossero da imputare alla minor friabilità del suolo rispetto alle attese e al conseguente rinculo che la talpa subiva a ogni tentativo di penetrazione. I successivi tentativi non portarono ad alcun successo significativo, costringendo i responsabili a soluzioni sempre più estreme. Inizialmente venne utilizzato il braccio robotico per compattare il terreno vicino allo strumento, ma la distanza della talpa dal lander non permetteva al braccio di esercitare la forza necessaria. Si arrivò quindi alla soluzione più rischiosa, ma a quel punto considerata opportuna, ovvero far pressione con il braccio sulla talpa stessa.

Con il fallimento di questo ultimo tentativo, la missione di HP³ divenne secondaria e infine terminata ufficialmente il 14 gennaio 2021. Nonostante lo scopo primario non sia stato raggiunto, le inaspettate caratteristiche del terreno hanno fornito agli scienziati altri interrogativi sulla composizione del suolo marziano e agli ingegneri dei dati sulla costruzione di eventuali nuove talpe per il pianeta.

Le problematiche emerse con HP³ non erano state previste in alcun modo. Ciò che invece era già stato preso in considerazione era l’accumulo di polvere sui pannelli fotovoltaici. A differenza di Curiosity, il lander non disponeva infatti di un generatore a radioisotopi.

La produzione nominale di energia elettrica era di 5.000 Wh per sol, a fronte di una richiesta di 1.500 Wh giornalieri per le operazioni scientifiche e il mantenimento della temperatura della strumentazione. Già a sei mesi dall’atterraggio, però, la quantità di energia generata era calata a 2.700 Wh per sol, in parte per l’accumulo di polvere e in parte per l’allontanamento di Marte dal Sole. A differenza della Terra, l’orbita di Marte presenta infatti un’eccentricità più marcata e conseguentemente la riduzione di luce nei diversi momenti dell’anno è significativa.

Al normale deposito di polvere si aggiunsero nel corso degli anni le tempeste di sabbia, in grado di trasportare molto più materiale sopra ai pannelli: in alcuni casi, a gennaio e ottobre 2022, la sonda è andata anche in safe mode, spegnendo tutti gli strumenti.

Come già detto, questa situazione era stata ampiamente prevista: il team della missione si aspettava che la pulizia dei pannelli sarebbe avvenuta da parte dei venti che soffiavano nella zona, come era accaduto con le missioni di Phoenix e Opportunity. Nonostante InSight abbia registrato diversi dust devil passare, nessuno di essi si è però avvicinato sufficientemente per pulire i pannelli.

Poiché a bordo non erano stati predisposti dei sistemi di pulizia, che avrebbero aggiunto complessità e peso al lander, il team di Terra utilizzò il meccanismo di dispiegamento dei pannelli per indurre vibrazioni e cercare di far trasportare un po’ di polvere dal vento. Con il passare delle settimane però la situazione peggiorò sempre di più tanto da indurre il team a sperimentare nel giugno 2021 una tecnica controintuitiva: con l’ausilio del braccio robotico venne depositata della sabbia vicino ai pannelli, con il vento successivamente in grado di trasportarne via una quantità maggiore del solito e permettere al lander di guadagnare circa 30 Wh per sol.

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Il deposito della polvere vicino ai pannelli da parte del braccio robotico. Credits: NASA/JPL-Caltech

Le scoperte scientifiche

Nonostante le difficoltà di HP³ e l’accumulo di polvere sui pannelli, le operazioni scientifiche non hanno quasi mai subito delle interruzioni.

Il 6 aprile 2019 SEIS registrò il primo evento sismico su Marte, con una intensità non sufficientemente alta per riuscire a fornire informazioni sull’interno del pianeta. Negli anni successivi SEIS avrebbe individuato oltre 1.300 terremoti, evidenziando anche una certa stagionalità del fenomeno: in alcuni periodi era in grado di rilevarne uno o due al giorno, mentre in altri solo uno a settimana. Tra i più intensi vi furono alcuni eventi di intensità tra il terzo e quarto grado, ma fu solo a maggio 2022 che venne registrato il primo evento di magnitudo 5, considerato il massimo statisticamente individuabile nel periodo di operatività di InSight.

In aggiunta ai dati forniti da SEIS, la missione è stata in grado di permettere nuove scoperte e risolvere alcuni interrogativi su Marte e la sua storia.

È stato trovato che gli eventi sismici sono più frequenti ma meno intensi di quanto inizialmente previsto e che la distribuzione di questi fenomeni, come già detto, è stagionale. In relazione ai terremoti non sono mai state osservate le onde di superficie, utilizzate sulla Terra per ricavare informazioni sulla struttura interna del pianeta: i sismologi avevano previsto che su Marte sarebbero state in grado di fornire informazioni sugli strati fino a circa 400  km di profondità, dove è situato il mantello. Non è comunque inusuale che vi siano terremoti senza la produzione di onde di superficie: è quanto accade sulla Luna, che presenta una crosta superficiale molto più fratturata e in grado quindi di disperdere diffusamente le onde in arrivo. Un’ipotesi simile è stata quindi avanzata anche per Marte, che potrebbe presentare un vasto sistema di crepe nei primi di 10  km sotto la superficie. Tuttavia, la causa potrebbe anche essere collegata a un ipocentro a maggior profondità e quindi una produzione di onde superficiali molto meno intense.

Va ricordato che Marte, come la Luna, non ha un sistema di placche tettoniche, che sulla Terra sono la causa dei terremoti. La superficie del pianeta può essere vista come un’unica placca in continuo raffreddamento e quindi contrazione: questo causa fratture e gli eventi sismici individuati da InSight.

Nonostante l’assenza di onde superficiali, gli scienziati sono comunque riusciti a caratterizzare meglio la struttura interna del pianeta. Le stime per l’ampiezza della crosta superficiale sono inferiori rispetto alle precedenti e variano da 20 km nel caso siano presenti due sottostrati a 37 km nel caso di tre. Al di sotto della crosta si estende il mantello, con una dimensione di circa 1.560 km, dopo il quale si trova un nucleo di circa 1.830 km.

Sempre SEIS si è reso protagonista dell’individuazione di alcuni impatti meteorici sul pianeta, avvenuti nel 2020 e nel 2021: al momento dell’ingresso in atmosfera e del successivo schianto, il meteoroide genera un’onda di pressione che raggiunge il suolo e viene quindi registrata dal sismografo. L’elevata sensibilità dello strumento ha permesso agli scienziati di determinare precisamente la direzione di ingresso degli oggetti e avere quindi anche la possibilità di osservare i crateri da impatto con gli orbiter. L’evento del 24 dicembre 2021 fu così importante (magnitudo 4) da essere inizialmente scambiato per un terremoto anziché un impatto meteorico.

Si è inoltre trovato che il campo magnetico delle rocce vicine ad InSight è maggiore di circa 10 volte rispetto ai dati ottenuti dagli orbiter, sebbene relativi a una zona più estesa. L’intensità pare inoltre essere variabile su scala giornaliera, con delle pulsazioni rilevabili intorno alla mezzanotte, forse dovute all’interazione del vento solare con l’atmosfera marziana. Inoltre l’età delle rocce non è compatibile con una magnetizzazione da parte del campo magnetico del pianeta, ed è dovuta quindi alle rocce degli strati sottostanti.

La produzione di dati scientifici è pertanto continuata finché le capacità di produzione di energia elettrica lo ha concesso, operando talvolta solo in determinati periodi della giornata. NASA aveva infatti iniziato a spegnere progressivamente alcuni strumenti, come ad esempio la stazione meteo e aveva l’obiettivo la totale disattivazione di tutto l’apparato scientifico entro l’estate del 2022.

Nel maggio 2022 l’agenzia però ha ripensato la propria decisione, decidendo di mantenere attivo il sismometro e utilizzarlo nei momenti meno ventosi e quindi più favorevoli per la rilevazione di qualche sisma. Durante la tempesta di sabbia di ottobre 2022 il sismometro è stato poi spento e non più riacceso.

Al 27 di novembre 2022 la produzione di energia elettrica si attestava tra i 285 Wh per sol e i 295 Wh per sol: si sta quindi avvicinando sempre di più la fine della missione e NASA, come anticipato in apertura, ha predisposto alcune operazioni da svolgere prima della perdita di comunicazione con la sonda.

Conservazione dei dati

Come in tutte le missioni scientifiche sotto l’egida di NASA, anche i dati prodotti da InSight sono stati resi pubblici dall’agenzia, in modo da poter essere utilizzati dai ricercatori di tutto il mondo e contribuire a una miglior comprensione della struttura interna di Marte. Tra i dati di maggior interesse ci sono sicuramente gli oltre 1.300 eventi sismici rilevati, ma anche quelli relativi alla pressione, temperatura e direzione del vento. Verranno conservati all’interno di un archivio internazionale gestito dall’Incorporated Research Institutions for Seismology e all’interno del Planetary Data System di NASA: in quest’ultimo sono anche contenuti i dati degli unici altri due sismometri extraterrestri mai utilizzati, ovvero quelli delle missioni Apollo e delle sonde Viking atterrate su Marte negli anni ’70.

Gli ultimi passi

Gestione dell’energia

Come già detto in precedenza, quest’estate è stato deciso di spegnere tutti gli strumenti scientifici a eccezione del sismometro e della fotocamera, per prolungare l’operatività il più a lungo possibile. Lo strumento ha funzionato fino a settembre, quando è stato brevemente spento a causa del sopraggiungere di una tempesta di sabbia. Tra gli altri sottosistemi disattivati c’è anche la protezione automatica che sarebbe intervenuta spegnendo il sismometro per la mancanza di energia sufficiente al funzionamento. Della suite di sensori in uso da parte di SEIS solo i più sensibili sono rimasti attivi.

Mettere in soffitta ForeSight

Come in quasi tutte le missioni, anche InSight aveva un gemello a Terra, perfettamente identico in quanto a dimensioni, peso e strumenti. È stato ampiamente utilizzato dagli scienziati per la risoluzione dei problemi occorsi e per la validazione delle tecniche necessarie. Il nome dato è stato ForeSight, anche per creare un gioco di parole con InSight.

Fine della missione

La missione verrà ufficialmente dichiarata conclusa quando il lander non risponderà consecutivamente a due tentativi di comunicazione con i satelliti in orbita intorno a Marte. Successivamente, il Deep Space Network di NASA rimarrà in ascolto per un limitato periodo di tempo in attesa di eventuali comunicazioni da parte di InSight. Non ci saranno ulteriori tentativi di salvare la missione, che potrebbe proseguire solo nel caso di un’improbabile raffica di vento in grado di pulire i pannelli: qualora dovesse succedere e il lander fosse entrato in safe mode, sarebbe programmato per riaccendersi in autonomia e verificare lo stato di salute della strumentazione e dell’elettronica e in caso comunicare con Terra.

Fonti: InSight news, NASA.

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