I CubeSat di Artemis I

L'interstadio di Orion con gran parte dei CubeSat installati. Credit: NASA

Il via alla missione Artemis I, nonché il volo inaugurale del lanciatore SLS con la capsula Orion, era atteso da tempo e vissuto con trepidazione sotto diversi aspetti. In primo luogo il ruolo chiave in Artemis, il programma di esplorazione lunare con equipaggio, ma anche robotico, istituito dalla NASA con il contributo delle agenzie spaziali, governi e aziende (pubbliche e private) del mondo. È vero che nel 2022 saranno trascorsi cinquant’anni da quando l’uomo lasciò con Apollo 17 il suolo della Luna nel dicembre 1972, e sarà necessario attendere ancora qualche anno prima di potervi camminare nuovamente sulla superficie, ma nel frattempo grazie in gran parte alla ricerca sulla Stazione Spaziale Internazionale sono state gettate le basi per una presenza a lungo termine.

Il secondo motivo per cui c’è tanto interesse dietro il lancio di Artemis I, relativamente meno importante rispetto al viaggio di Orion verso la Luna ma altrettanto nobile, risiede nel destino dei 10 CubeSat, tutti ospitati nell’interfaccia di connessione tra la capsula e il vettore, che rappresentano la missione secondaria di SLS. Non capita tutti i giorni un lancio che preveda l’inserimento del carico utile in un’orbita (o una traiettoria di trasferimento) diversa da quelle geocentriche. Figuriamoci verso la Luna o un qualsiasi altro corpo celeste d’interesse! NASA ha concesso l’opportunità ai soci internazionali e alle università di usufruire della sovrabbondante capacità di carico del lanciatore e del volume inutilizzato nell’interstadio. La sfida è stata accolta con la costruzione di dieci CubeSat, satelliti aventi peso e dimensioni ridotte, semplici da realizzare e con tecnologie d’avanguardia, che impiegano materiali reperibili in commercio per abbattere sensibilmente i costi. Per queste ragioni si prestano bene a essere impiegati come laboratori e dimostratori tecnologici in scala sulla falsariga di CAPSTONE e LightSail, per citare due esempi.

Il fenomeno dei CubeSat è esploso negli ultimi 5–7 anni con i satelliti miniaturizzati che si sono affermati nell’orbita terrestre bassa. Ne consegue che chi lavora nel settore mira a conoscere il loro potenziale nell’esplorazione dello spazio profondo! Non tutti e dieci i CubeSat di Artemis I hanno come meta finale il nostro satellite naturale: alcuni tenteranno di inoltrarsi nello spazio interplanetario o di avvicinarsi a uno degli asteroidi che orbita nei pressi della Terra, detti Near-Earth Asteroid, per studiarli meglio. Per perseguire in autonomia la loro missione dopo il dispiegamento dall’interstadio di Orion, NASA ha previsto tre luoghi di rilascio nel percorso tra la Terra e la Luna. I satelliti metteranno alla prova diverse tecnologie propulsive innovative, guidati da sensori che riconoscono la posizione di stelle e galassie. Durante il viaggio e l’operatività i CubeSat acquisiranno immagini ad alta risoluzione del nostro pianeta e della Luna, nonché informazioni sulle radiazioni e sul meteo spaziale. Con la condivisione dei dati raccolti da questi piccoli esploratori si auspica di poter stilare delle priorità e stanziare finanziamenti per la ricerca e l’esplorazione umana e robotica.

Complice la ridefinizione della data di lancio rispetto alle iniziali previsioni, i CubeSat sono rimasti nella loro sede – all’interno dell’interstadio di SLS – connessi al meccanismo di dispiegamento per più di un anno, a fronte di alcuni mesi inizialmente preventivati. In relazione alla loro collocazione sul lanciatore, non tutti hanno potuto ricevere agevolmente assistenza attraverso i vani di accesso né c’è stata la possibilità di ricaricare le batterie. Ovviamente ciò ha generato preoccupazione da parte delle squadre che li hanno progettati, nonostante fossero aggiornati sullo stato di salute delle componenti. Infatti non vi era alcuna garanzia che la carica residua negli accumulatori fosse sufficiente per accendere il software di volo o che il CubeSat dopo il rilascio avrebbe assunto un assetto tale da generare elettricità dai pannelli fotovoltaici.

Ad oggi, data di pubblicazione di questo articolo, i radiotelescopi e radioamatori sono stati in grado di captare il segnale emesso da otto CubeSat e in sei casi di instaurare una connessione stabile: un ottimo segno sulle loro condizioni. Ecco cosa sappiamo.

ArgoMoon

Partiamo da ArgoMoon, il contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana. Con un sospiro di sollievo si può dire che il CubeSat costruito da Argotec, azienda torinese fondata da David Avino e divenuta fiore all’occhiello dell’industria aerospaziale italiana, gode di ottima salute. ArgoMoon è stato tra i primi satelliti a essere rilasciati dopo il lancio, esattamente alle 11:34 italiane del 16 novembre, circa tre ore e mezza dalla partenza. Al centro di controllo missione di Argotec, a Torino, gli ingegneri hanno agganciato il segnale radio emesso dal CubeSat e instaurato un corridoio stabile di comunicazione.

https://twitter.com/Argotec_Space/status/1593937195592818688?s=20&t=0lyqkMbZ-6prjVLRqQjnOg
Due fotografie della Luna e della Terra scattate da ArgoMoon

Il ruolo di ArgoMoon in Artemis I consiste nel fornire una dettagliata documentazione fotografica del secondo stadio di SLS, meglio noto con Interim Cryogenic Propulsion Stage (ICPS), grazie a sorvoli ravvicinati e un software di riconoscimento sperimentale, oltre che scattare immagini della Terra e della Luna. Al pari di LICIACube, il “fotografo” incaricato di immortalare l’impatto della sonda DART con l’asteroide Didymos, anche ArgoMoon è nato intorno alla piattaforma satellitare HAWK 6 di Argotec ed entrambi hanno dimostrato la solidità e le capacità della tecnologia italiana in ambienti difficili. Il successo della missione è testimoniato dai primi scatti di messa a punto ricevuti dal CubeSat mentre la squadra ultima il processo di commissioning, che renderà pienamente operativo il satellite.

Per il nostro paese significa tanto visto che l’Italia riveste un ruolo in primo piano nel panorama spaziale!

https://twitter.com/ASI_spazio/status/1595116209976270849?s=20&t=yBYPmWRIW-bvpA02iYu_Rg

LunaH-Map

Tra i CubeSat che stanno proseguendo senza problemi il loro viaggio verso la Luna c’è LunaH-Map, il satellite sviluppato dall’Università dell’Arizona, promosso dal Direttorato per le missioni scientifiche della NASA. Può considerarsi una piacevole sorpresa essendo tra i cinque veicoli spaziali non ricaricati sulla Terra e sul quale c’erano più perplessità sulla sua sopravvivenza al lancio. Con una missione stimata in una sessantina di giorni, LunaH-Map focalizzerà la sua attenzione sulla scoperta dei depositi di acqua e di ghiaccio nel Polo Sud lunare attraverso l’analisi della distribuzione dell’idrogeno, andando oltre dove precedenti missioni non sono arrivate. Infatti, se non è un mistero la presenza di acqua sulla Luna, con una concentrazione più marcata nelle zone in ombra e ai poli, fino a oggi non è stato possibile quantificarne la disponibilità né tanto meno elaborare una mappa accurata dei giacimenti.

LunaH-Map ovvierà a queste necessità mentre sorvolerà a bassa quota l’intero Polo Sud. I rilevatori del satellite registreranno l’energia dei neutroni emessi dal suolo lunare, che è un indicatore della quantità di idrogeno nascosta. La sensibilità e l’accuratezza del metodo di misurazione, la spettroscopia neutronica, è tale da riuscire a mappare la porzione superficiale di un metro della Luna.

OMOTENASHI

Non giungono invece buone notizie da parte di JAXA su OMOTENASHI, il secondo contributo del Giappone ad Artemis I (l’altro è il CubeSat EQUULEUS) che insieme ad ArgoMoon costituiscono i tre nanosatelliti dei partner internazionali di NASA lanciati con SLS. Sfortunatamente le persone coinvolte nel progetto hanno sì dichiarato di ricevere il segnale radio di ritorno da parte del loro CubeSat, tuttavia sembrerebbe che dopo aver lasciato lo stadio superiore di SLS non sia riuscito a rimanere in un assetto stabile. Di fatto il satellite sta ruotando su sé stesso con l’impossibilità di orientarsi verso il Sole per produrre elettricità. La squadra tiene viva ogni flebile speranza di recuperare il controllo di OMOTENASHI ogni qualvolta si connette alla rete internazionale di radiotelescopi provando a inviare nuovi comandi, ma il segnale è disturbato e debole.

Gli addetti preparano OMOTENASHI per essere collocato nell’interstadio di Orion. Credit: NASA

Se la missione avesse preso una piega ben diversa, OMOTENASHI sarebbe dovuto atterrare sulla superficie lunare e avrebbe reso il paese del Sol Levante la quarta nazione a riuscire nell’intento dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina. Il minuscolo lander di appena 715 grammi della sonda, protetto da un airbag e un ammortizzatore metallico, è stato pensato per resistere a un impatto semiduro col suolo a una velocità non superiore a 50 metri al secondo o 180 chilometri orari.

Come già accennato, il team di OMOTENASHI non ha ancora del tutto abbandonato le speranze, per cui rimane una remota possibilità che questo possa avvenire. Il flebile lumicino si è però spento: il 21 novembre la squadra di OMOTENASHI ha comunicato con tristezza che anche l’ultimo tentativo di recupero per un allunaggio controllato è fallito. La missione non è del tutto finita, si pensa dunque al “piano B” nel caso in cui il CubeSat torni operativo nei prossimi mesi: usare gli strumenti di bordo per approfondire la comprensione delle radiazioni lontano dall’influenza della magnetosfera terrestre.

Nonostante l’esito infelice, la squadra ha tenuto ringraziare l’affetto e il supporto degli appassionati sulle vicissitudini del lander giapponese. Con franchezza, inoltre, i progettisti di OMOTENASHI hanno riconosciuto che essere giunti nello spazio cislunare è un grande traguardo, essendo stati tra i progetti selezionati ed essere riusciti a certificare per tempo il CubeSat per volare su SLS. A tal proposito va ricordato che in origine i satelliti scelti fossero 13, ma tre di loro hanno non hanno ottemperato alla scadenza fissata da NASA per il perfezionamento dei preparativi al lancio.

NEA Scout e LunIR

Purtroppo non ci sono né buone né cattive notizie certe su NEA Scout, perché il satellite è silente. Ne abbiamo già parlato in precedenza in modo più approfondito. Si tratta di un CubeSat sul quale erano state riposte tante speranze e aspettative, pensato per raggiungere uno della moltitudine di Near-Earth Asteroid con la sola forza del vento solare e sarebbe stato il più piccolo veicolo spaziale a farlo. Gli studi recenti sulle famose vele solari desiderano dare una risposta sull’efficacia di tali sistemi di propulsione, capaci di imbrigliare le perturbazioni cosmiche. NEA Scout porta in dote una vela di 86 metri quadrati di superficie, quasi il triplo più estesa rispetto al dimostratore LightSail-2 da poco rientrato in atmosfera.

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La vela solare di NEA Scout completamente dispiegata. Credits: NASA

Anche l’azienda statunitense Lockheed Martin ha un passeggero a bordo di SLS: è il CubeSat LunIR. Non si conosce il reale stato del satellite benché le antenne di terra abbiano ricevuto segnali dallo spazio, più deboli di quanto atteso. A LunIR è stato assegnato il compito di fungere da precursore in miniatura sulla tecnologia dei criorefrigeratori, peraltro già usata sul telescopio James Webb (JWST) e che sarà implementata su Psyche e Europa Clipper. Durante la vita operativa il CubeSat mapperà e scatterà molteplici fotografie del Luna grazie a un sensore a infrarossi, mantenuto freddo e alla corretta temperatura da uno scambiatore di calore criogenico estremamente compatto dal peso inferiore ai 375 grammi. Questo perché il sensore si scalda parecchio mentre è attivo e la sua temperatura di esercizio varia a seconda del soggetto fotografato.

Gli scatti del suolo lunare aiuteranno la NASA a comprendere la sua composizione, la struttura e di come questo interagisce con l’ambiente circostante.

BioSentinel

Tra i CubeSat di Artemis I c’è ne uno incentrato sulle ricerche nel campo della biologia: è BioSentinel. Sappiamo tutti le radiazioni cosmiche rappresentano un’ostacolo di non poco conto per l’uomo e le sue ambizioni di conoscenza dello spazio e dei corpi celesti. In mancanza di opportuni metodi di schermatura, al tempo di esposizione e alla dose radioattiva assorbita le radiazioni degradano (causano dei danni) al DNA degli esseri viventi. Attraverso l’osservazione della crescita e dell’attività metabolica di due ceppi di Saccharomyces cerevisiae, il nome scientifico del lievito di birra, i ricercatori cercheranno di capire il comportamento del DNA al variare delle condizioni dell’ambiente circostante. Sono stati appositamente selezionati due differenti campioni di controllo: il primo ceppo è il comune lievito presente in natura, il secondo invece è caratterizzato dalla scarsa efficacia dei meccanismi di autoriparazione del proprio codice genetico. Adesso che BioSentinel ha oltrepassato ed è uscito dal raggio d’influenza della magnetosfera terrestre, la scienza all’interno di BioSentinel potrà iniziare. In tempi diversi della missione verranno idratate due piastre per colture cellulari da 16 pozzetti, divisi equamente per ciascun ceppo di lievito. A queste si affianca una terza piastra di riserva da attivare quando si registrerà un evento protonico solare, uno degli effetti dell’attività del Sole, che causa un aumento delle particelle di particelle ad alta energia.

BioSentinel sottoposto al controllo qualità sulla compatibilità elettromagnetica. Credit: NASA

Oltre ai campioni processati dal CubeSat nello spazio profondo, NASA ha condotto nel primo semestre del 2022 il medesimo studio sulla Stazione Spaziale Internazionale, chiamato Biosentinel ISS Control experiment. Una terza indagine di riferimento ha avuto luogo parallelamente qui sulla Terra presso i laboratori del centro di ricerca Ames della NASA. Incrociando i dati dei tre studi condotti in condizioni radioattive differenti si mira a colmare le lacune sugli effetti delle radiazioni.

Gli altri

All’appello mancano CuSP (stazione meteorologica spaziale che monitora il flusso di raggi cosmici), Lunar IceCube (cerca tracce di acqua in qualsiasi forma sulla Luna), EQUULEUS (dimostratore sulle tecniche di navigazione verso il punto lagrangiano L₂ del sistema Terra-Luna) e Team Miles.
I primi tre CubeSat non hanno avuto malfunzionamenti dopo il distacco da SLS e sono in costante comunicazione con la rete di radiotelescopi del Deep Space Network sparsi nel mondo. Non si hanno invece notizie ufficiali sul quarto satellite sviluppato dalla startup statunitense Miles Space che con questo satellite vuole dare una dimostrazione del proprio brevetto sui propulsori al plasma, i quali convertono l’acqua in condizioni estreme di temperatura e pressione (stato supercritico) in spinta.

La mancata sopravvivenza di alcuni CubeSat al lancio era uno scenario già messo in conto da Mike Sarafin, responsabile di NASA per la missione Artemis I. Infatti in una conferenza stampa tenuta per il tentativo di lancio nella finestra di agosto-settembre, incalzato dalle domande dei giornalisti, aveva ricordato che la priorità è il volo della coppia SLS-Orion, benché riponesse piena fiducia in ciascuno dei progetti. «I CubeSat hanno un costo di realizzazione relativamente basso, possiedono livelli di ridondanza minimi e un tasso di guasto piuttosto alto. Pertanto prevediamo che uno o più di questi CubeSat non avranno successo nella loro missione proprio a causa della loro natura costruttiva».

Fonti: Parabolic Art, Spaceflight Now, NASA.

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Vincenzo Chichi

Ho riscoperto la passione dello spazio e dell'astronautica in età più "matura", la Stazione Spaziale Internazionale era in orbita da appena qualche mese quando sono nato, e ciò mi ha permesso di vedere il mondo da un'altra prospettiva.