Dragonfly su Titano, un approfondimento sul sito di atterraggio
Il drone multirotore NASA, il cui lancio è attualmente previsto per l’estate del 2027, al suo arrivo sul satellite di Saturno dopo 7 anni di viaggio atterrerà tra le dune ghiacciate nella regione Shangri-La a sud del cratere meteorico Selk.
La decisione è stata presa grazie all’analisi dei dati radar della sonda Cassini, che tra il 2004 e il 2017 studiò Saturno e il suo complesso sistema di satelliti naturali, tra cui naturalmente Titano.
Un team internazionale guidato dalla ricercatrice francese Léa Bonnefoy del Cornell Center for Astrophysics and Planetary Science (CCAPS) dell’università Cornell nello stato di New York, per oltre un anno ha analizzato la grande mole di dati di Cassini e recentemente ha pubblicato su The Planetary Science Journal un articolo in cui viene descritta la morfologia e la composizione del terreno nella zona prescelta.
Per approfondire l’argomento abbiamo contattato Valerio Poggiali, membro del team che ha condotto lo studio, esperto di radar, telerilevamento e ricercatore associato presso il CCAPS dell’università Cornell, che gentilmente ha condiviso con noi alcune considerazioni sulla missione.
«Il radar di Cassini è uno strumento che ha sempre parlato italiano, infatti il nostro paese aveva investito molto nel suo sviluppo e nell’analisi dei suoi preziosi dati».
Durante i 127 flyby di Titano che la sonda Cassini effettuò nel corso della sua missione, il radar inviava un segnale verso la superficie da diversi angoli di vista (tra 5 e 72 gradi di inclinazione) e i riflessi di ritorno che riceveva risultavano essere più o meno potenti a seconda della composizione, della rugosità della superficie e dalla sua capacità di assorbire il segnale.
«Le dune di Titano sono composte principalmente da un mix di ghiacci (acqua, anidride carbonica, acetilene, ecc.) e idrocarburi solidi (metano, etano, propano, ecc.) che in gergo scientifico è chiamato tolina. Nell’ultimo anno, analizzando i dati, siamo quindi riusciti a determinare che le dune di Titano sono appunto degli accumuli sagomati dal vento di queste toline, che posano su uno substrato di ghiaccio di acqua che si estende per tutta la superficie di Titano. Andando in direzione dei poli l’umidità aumenta (lì infatti si trovano i famosi mari di Titano) e i granelli di sabbia non riescono più a muoversi liberamente, causando pian piano la scomparsa delle dune».
Quando nel 2034 Dragonfly arriverà su Titano sarà protetto da uno scudo aerodinamico che inizialmente ne rallenterà la corsa grazie all’attrito con l’atmosfera, seguito da una serie di due paracadute e completando la discesa in maniera propulsa.
Se le sonde marziane ci hanno ormai abituato ai famosi “sette minuti di terrore” per tutta la fase di ingresso in atmosfera, frenata e atterraggio, Dragonfly impiegherà invece ben 105 minuti e questo è dovuto alla densa atmosfera e bassa gravità di Titano. Inoltre, a causa del ritardo delle comunicazioni con la Terra stimato nell’ordine dei 70–90 minuti, Dragonfly dovrà essere in grado di analizzare autonomamente il terreno durante gli ultimi minuti della discesa per scegliere il luogo migliore per un atterraggio sicuro.
Una volta atterrato, grazie ai quattro doppi rotori alimentati da batterie al litio ricaricate da un generatore termoelettrico a radioisotopi (RTG), Dragonfly esplorerà Titano in una serie di voli di circa 30 minuti in cui potrà coprire distanze fino a 16 km.
Uno degli obbiettivi primari della missione sarà quello di raggiungere il cratere Selk, la cui formazione dovuta a un impatto di grandi dimensioni, è relativamente giovane e stimata intorno ai 200 milioni di anni.
Entrare all’interno del cratere però non sarà un’impresa semplice, infatti Dragonfly dovrà individuare un varco tra le pendici del bordo, che variano tra i 200 e 600 metri di altezza sopra il livello del campo di dune circostante.
«Trovo che questa missione raccolga a pieno le sfide che ci ha lanciato Cassini quando nel 2017, terminando la sua missione con uno spettacolare tuffo nell’atmosfera di Saturno, ci lasciò con tanti misteri finalmente svelati ma anche tante domande ancora aperte. I mattoni della vita sono tutti presenti su Titano: materiali organici complessi, minerali, gradienti chimici, energia, acqua allo stato ghiacciato (e liquido sotto la superficie). In presenza di un grande impatto meteoritico come quello che può essere avvenuto al cratere Selk, l’immenso calore potrebbe aver sciolto il ghiaccio presente e mantenuto per migliaia di anni un ambiente abbastanza temperato da favorire il compiersi dei primi passi necessari allo sviluppo della vita».
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