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La Scienza di Samantha: DOSIS-3D

Un rilevatore di radiazioni posizionato nel modulo Columbus. Credit: NASA

Talvolta capita di domandarsi se il vero limite per l’esplorazione umana dell’universo siano le radiazioni cosmiche e i loro effetti sull’organismo, quindi nell’ambito della fisiologia, oppure di tipo ingegneristico, non avendo ancora sviluppato tecnologie all’altezza della sfida più grande: superare in sicurezza l’orbita terrestre e lunare. Si sa, l’essere umano – al pari di tutti gli organismi viventi – si è evoluto e adattato per vivere sulla Terra e dovrà fare altrettanto per riuscirvi nell’ambiente aspro del cosmo. Sulla superficie della culla natia e nella regione di spazio più prossima a essa gli esseri viventi sono protetti, o per meglio dire schermati, dalla magnetosfera terrestre per mezzo dell’interazione elettromagnetica tra il nucleo ricco di ferro e le particelle ad alta energia: le radiazioni. Gli effetti di questa influenza reciproca sono visibili a tutti noi sotto forma di giochi di luci dell’aurora boreale.

Come la fisica ha dimostrato, l’interazione è tanto più forte quanto i corpi sono vicini. Dunque, man mano che si ci si allontana dalla Terra, lo scudo naturale offerto dalla magnetosfera va via via scemando, rendendo l’uomo più vulnerabile. Ne consegue che l’esposizione alle radiazioni è un fattore di rischio tenuto in seria considerazione sia durante la pianificazione delle missioni sia nel regolare svolgimento delle operazioni a bordo degli avamposti spaziali, soprattutto quando si registra un aumento sensibile dell’attività solare. La radioattività non influenza soltanto la salute delle persone, anche perché è ben sotto la soglia di allerta istituita a livello internazionale che tutela gli astronauti, ma può falsare gli esiti delle ricerche scientifiche.

Le agenzie spaziali e gli enti (pubblici e privati, grandi e piccoli) con i quali queste collaborano sono attenti alla problematica delle radiazioni e investono in una moltitudine di progetti di ricerca per comprendere a fondo il mondo che ci circonda. Le tematiche oggetto di studio riguardano aspetti diversi. Tra questi troviamo i modelli di previsione del meteo spaziale strettamente legato all’attività del Sole, metodi di schermatura e dispositivi per la protezione individuale (un esempio è la giacca sperimentale di acqua PERSEO provata da Paolo Nespoli nel 2017), l’impatto nel lungo periodo della radiazione spaziale sul DNA degli esseri viventi (questo è il fine del CubeSat Biosentinel lanciato con Artemis I). In tale gruppo rientrano le missioni di lunga durata in generale, tra le quali spicca lo studio comparativo dal 2015 sugli astronauti gemelli Mark e Scott Kelly.

Anche l’imprenditore statunitense Jared Isaacman, promotore del progetto Inspiration4, darà il suo apporto alla comunità scientifica in questo ambito con la missione Polaris Dawn che orbiterà per qualche giorno a un’altitudine doppia rispetto alla Stazione Spaziale Internazionale, al confine delle fasce di Van Allen.

Oggi l’avamposto umano è il centro di acquisizione quotidiana di innumerevoli parametri biometrici sull’equipaggio e di dati ambientali, dentro e fuori i moduli abitati. Appartiene a questa prospettiva il progetto DOSIS-3D, l’argomento che trattiamo in questo appuntamento de La scienza di Samantha.

Matthias Maurer tiene in mano due rilevatori DOSIS. Credit: NASA/ESA

Di cosa si tratta

Nelle missioni spaziali non è una novità misurare i livelli di radioattività, ma lo è farlo con costanza e in modo meticoloso per anni, lustri, decenni, visto che variano ciclicamente nel tempo e nella traiettoria dell’orbita. Ecco che la Stazione Spaziale Internazionale, così come è stata la sua antenata Mir, diventa una risorsa preziosa. Man mano che la tecnologia progredisce, con la prototipazione di strumenti di misura più precisi, il settore scientifico è pronto a coglierne i benefici e le opportunità.

L’indagine DOSIS-3D, forma compatta in inglese di distribuzione della dose all’interno della Stazione Spaziale Internazionale in 3D, mira a visualizzare attraverso una mappa tridimensionale con quale intensità le radiazioni permeano lo scafo dei moduli dell’avamposto, oltre a discernere il tipo di particelle radioattive. Questo genere di analisi permette di localizzare nello spazio sia i luoghi in cui la schermatura è più efficace, sia la direzione della principale sorgente, e di conoscere punto per punto il valore numerico sul livello di radioattività. Ciò si completa con gli strumenti che hanno il compito di monitorare il flusso elettromagnetico in cui è immersa la Stazione, grazie ai quali è possibile commisurare relazioni ed effetti con l’ambiente circostante.

Un rilevatore DOSIS-3D nel modulo Columbus. Credit: ESA/NASA via l’account Flickr di Matthias Maurer.

DOSIS-3D è frutto dell’idea dell’Istituto di Medicina Aerospaziale dell’agenzia spaziale tedesca (DLR), uno degli enti governativi nazionali a cui fa capo l’ESA, l’agenzia spaziale europea, e rappresenta lo step evolutivo di DOSIS condotto nel biennio (2009–2011). La nuova strumentazione debutta per la prima volta nel maggio 2012 che per mezzo della Sojuz TMA-04M viene recapitata all’astronauta europeo André Kuipers, in servizio per Expedition 31.
Si compone di 11 rilevatori passivi aventi le dimensioni di un mazzo di carte da gioco, ben riconoscibili per il colore arancione delle buste in cui sono avvolti, e di 2 rilevatori attivi. Il compito dei rilevatori passivi è fornire indicazioni sul quantitativo di radiazioni assorbite nell’intero arco di sei mesi, la durata canonica di una Expedition, la stessa frequenza con la quale avviene la rotazione tra i rilevatori nuovi appena arrivati e quelli precedenti, che vengono rispediti sulla Terra per le analisi approfondite. Il compito dei rilevatori attivi, i quali sono installati in una posizione fissa nel modulo europeo Columbus, è di fornire informazioni temporali riguardo a come variano le radiazioni nel breve termine, per esempio in caso di eruzioni solari (Solar Particle Events) o cambi di orbita o di assetto della stazione spaziale.

I dosimetri passivi PDP (Passive Detector Package) non sono tutti uguali: possiedono differenti tecnologie pensate appositamente per “vedere” determinati effetti di rilevanza scientifica, poiché la natura e il comportamento delle radiazioni è vario. Principalmente le tipologie sono due: a termoluminescenza, efficaci per i raggi cosmici secondari “molli” (particelle che difficilmente superano lo scafo), e rilevatori in materiale assorbente plastico in grado di “fermare” i raggi cosmici secondari “duri”, particelle capaci di filtrare in profondità attraverso materiali densi impiegati nella struttura dei moduli.

I due dosimetri attivi DOSTEL (DOSimetry TELescope) sono invece dei rilevatori al silicio (silicon detector telescopes). Questi sono stati installati in Columbus nel lontano 2012, e da allora forniscono quasi ininterrottamente dati agli scienziati a Terra.

Sulla destra (di colore arancione) un rilevatore DOSIS-3D sistemato nella Cupola. Credit: ESA/NASA via account Flickr di Matthias Maurer

Con la missione Cosmic Kiss di Matthias Maurer del 2021–2022, il progetto DOSIS-3D ha ampliato il suo raggio d’azione. Fino a questo momento gli 11 rilevatori passivi, affiancati da una coppia di rilevatori attivi capaci di registrare nel tempo la fluttuazione della dose di radiazione assorbita, erano distribuiti lungo le pareti del laboratorio europeo Columbus e attaccati in posizioni strategiche con del velcro. Recenti accordi di cooperazione scientifica con ESA hanno permesso l’estensione dello studio anche nei restanti moduli della Stazione di proprietà dei partner internazionali (NASA e Roskosmos). Nasce così DOSIS-3D MINI che porta in dote ulteriori 10 sensori oltre a quelli già presenti in Columbus, portando il totale a 21 pacchetti arancioni. Del nuovo set di rilevatori passivi, ben sei sono stati sistemati nei moduli del segmento statunitense/internazionale, i rimanenti quattro sono stati destinati al segmento russo.

Con la missione Minerva di Samantha Cristoforetti, si è invece tornati solo a Columbus, con i dosimetri passivi che sono arrivati a bordo insieme a Samantha e sono stati installati da Matthias Maurer poco prima del suo rientro, in concomitanza con la rimozione dei PDP che avrebbe poi portato con sé, nei primi giorni di maggio 2022. Compito di Samantha sarà di riportare a Terra i PDP relativi alla sua missione e, presumibilmente, anche di installare quelli nuovi che arriveranno a bordo con l’equipaggio successivo poco prima del suo rientro.

In aggiunta, come ogni astronauta ESA prima di lei, Samantha è coinvolta in qualunque attività riguardo ai dosimetri attivi, come ad esempio supportare il team di terra con le investigazioni, in caso di anomalie.

Utilità pratica

L’importanza del loro impiego nel settore aerospaziale e scientifico è stata spiegata. Non va mai dimenticato che la ricerca nello spazio ha una ricaduta sulla nostra vita quotidiana, qui sulla Terra, in ambienti con condizioni altrettanto particolari. All’inizio della trattazione si è detto che la dose assorbita di radiazioni dipende da quanto si è vicini/lontani dalla sorgente. Gli aerei di linea e militari, i voli ad alta quota, gli abitanti delle catene montuose sono maggiormente esposti (seppur di poco) rispetto a chi si trova al livello del mare, così come chi vive o sorvola i poli, zone dove la magnetosfera è meno forte. Dispositivi derivati da DOSIS-3D potrebbero fornire un quadro dell’ambiente elettromagnetico che li circonda.

Tuttavia non serve necessariamente volare in alto per trovare un’altra applicazione perfetta per questi dispositivi. I centri di radiologia e le centrali nucleari, ad esempio, sono luoghi che potenzialmente possono nuocere a lungo andare alla salute dei dipendenti che vi prestano servizio per via dell’esposizione alle radiazioni. Qui essere in grado di digitalizzare una mappa tridimensionale del posto di lavoro è utile per circoscrivere le zone in base al loro livello di rischio. In tutto questo senza tralasciare la loro utilità in seguito a un incidente con fuga radioattiva.

Credit: NASA, ESA

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