La priorità del prossimo decennio: un orbiter per Urano
Come si è originato il nostro sistema solare? Come si sono evoluti i corpi celesti? C’è vita al di fuori della Terra? Per rispondere a queste domande è stata selezionata da NASEM una missione spaziale molto lunga, costosa e impegnativa, Uranus Orbiter and Probe. NASEM è l’Accademia che si occupa di studi su cui NASA basa le proprie scelte per gli anni a venire. L’ultimo report di NASEM è stato rilasciato ad aprile e ha evidenziato come priorità per il prossimo decennio l’esplorazione approfondita di Urano, il secondo pianeta più lontano dal Sole.
Urano era sconosciuto all’umanità fino al 1781, fu effettivamente il primo nuovo pianeta a essere scoperto, ed è stata una grossa sorpresa allora; i pianeti erano sempre stati sei, ben noti dall’antichità, e nessuno si aspettava che ne esistessero altri. Da allora è stato osservato solo con i telescopi da Terra o dall’orbita terrestre, con una piccola eccezione di un sorvolo ravvicinato di Voyager 2 nel 1986.
La missione non sarà una passeggiata. Urano è freddo e lontano, si trova a 20 unità astronomiche (au) dal Sole, fin troppo distante per pensare di usare i pannelli fotovoltaici per mantenere attiva la sonda. La distanza porta complicazioni in diversi modi, la traiettoria da seguire durante il viaggio sarà costosa in termini energetici e di tempo e soggetta a molti altri vincoli, le comunicazioni non saranno certo come la banda larga di casa, serviranno grandi antenne per avere al massimo qualche kilobit al secondo, e non per tutto il giorno.
Ma c’è un motivo per cui questa missione è stata scelta come prioritaria, anzi addirittura 11 motivi. I dati che verranno acquisiti nel corso della missione contribuiranno a fornire risposte a 11 delle 12 domande poste nel Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey 2023–2032 dalla commissione scientifica, con l’unica eccezione della nona domanda: quali condizioni hanno permesso la vita sulla Terra.
Presumibilmente si riuscirà a capire meglio dove e come si è formato Urano nella nebulosa protoplanetaria, se ha cambiato la sua orbita, come presupposto ora dal modello di Nizza, se è stato un impatto gigante a inclinare il suo asse orbitale e formare i suoi satelliti. Si conosceranno meglio i meccanismi relativi al trasporto di calore dall’interno del pianeta, come è fatta la struttura interna e come agisce sulla complessa magnetosfera. Per quanto riguarda i suoi satelliti, ci si concentrerà su degli studi relativi all’abitabilità, se c’è abbastanza energia per sostenere la vita in quelli dove è presente un oceano subsuperficiale.
Inoltre lo studio di Urano è importante come linea guida per un’altra branca dell’astronomia: lo studio di esopianeti. Al momento sono stati individuati e confermati più di 5.000 esopianeti e il 35% di essi è simile a Nettuno e Urano, proprio i pianeti del sistema solare meno studiati in loco.
Il lento cammino verso Urano
Al momento la missione è solo stata consigliata come priorità del prossimo decennio, non c’è un design definitivo, né tantomeno è stato approvato un finanziamento. Ma la raccomandazione del comitato per il Decadal Syrvey è molto influente e spesso le missioni suggerite vengono finanziate e realizzate. I tempi non saranno brevi, affatto. Nello studio preliminare, la principale finestra di lancio per la partenza su cui si è costruito il profilo di missione è a metà 2031, il viaggio in sé impiegherà circa 13 anni e mezzo, la missione scientifica primaria durerà approssimativamente quattro anni, terminando quindi nel 2049. Una bella sfida.
Il profilo scelto è frutto di tanti compromessi. Innanzitutto bisogna ricordare che molte cose posso cambiare, possono emergere altre limitazioni e possono arrivare sul mercato nuovi lanciatori; nonostante questo si è condotto uno studio abbastanza approfondito sulla traiettoria considerando un lancio con un razzo particolare, il Falcon Heavy di SpaceX. Non è il razzo ideale per i lanci interplanetari: è stato concepito più per portare grossi carichi in orbita terrestre, ma al momento è l’unico operativo della categoria dei lanciatori super-pesanti. In questa configurazione, la sonda potrebbe arrivare a 8,3 tonnellate, di cui 3,4 t è il peso a secco e le restanti 4,9 t carburante per le manovre.
Andando in dettaglio, la sonda vedrebbe il lancio il 20 giugno 2031, con il Falcon Heavy che la immetterebbe in un’orbita eliocentrica leggermente eccentrica con periodo di circa due anni. Arrivati più o meno all’afelio di questa orbita, il 27 giugno 2032, sarebbe necessaria una corposa manovra correttiva, che consumerebbe 1,6 t, per immettersi in una traiettoria verso l’incontro con la Terra per sfruttarla come fionda gravitazionale. Questa sarebbe l’unica grossa manovra correttiva intermedia.
Durante il sorvolo ravvicinato della Terra, che avverrà presumibilmente il 27 aprile 2033, non sarà nemmeno necessario accendere i motori, se non qualche giorno prima per delle correzioni statistiche dovute a imprecisioni o imprevisti sulla traiettoria. Il sorvolo avverrà molto vicino, a soli 450 km di quota dalla superficie terrestre. La spinta della Terra riuscirà a immettere la sonda direttamente in un’orbita per il prossimo incontro importante, quello con il pianeta Giove. Quest’ultimo è il pianeta più grande del sistema solare ed è stato usato finora per tutte le missioni spaziali che si sono spinte oltre le 6 unità astronomiche.
L’incontro con Giove il 21 dicembre 2035 sarà sì un’occasione per fare delle osservazioni scientifiche, ma servirà soprattutto per l’ultimo sprint finale, per arrivare a 20 au dal Sole nei prossimi 9 anni di viaggio. La sonda passerà a 370.000 km di distanza da Giove, dentro l’orbita di Io, il satellite mediceo più interno, ma soprattutto abbondantemente dentro la magnetosfera di Giove.
L’arrivo su Urano avverrà il 5 novembre 2044, più di 13 anni dopo la partenza, e non sarà facile non scappar via. Le missioni con inserimento orbitale attorno a un corpo celeste sono sempre più difficili di quelle che richiedono solamente un sorvolo, perché le velocità relative in gioco sono molto alte. Questa sarà infatti la manovra più impegnativa di tutta la missione, una singola accensione che durerà 77 minuti e consumerà circa 1,9 t di carburante per rimanere nel sistema uraniano per sempre e iniziare finalmente le attività scientifiche.
Le caratteristiche della sonda atmosferica e dell’orbiter
Una volta catturata dalla gravità di Urano, la sonda potrà utilizzare i suoi strumenti scientifici per acquisire dati che gli scienziati, ormai visibilmente invecchiati, stanno attendendo da anni. Come evidenzia il nome stesso della missione, la sonda è composta da due elementi: quello principale, orbiter, e uno secondario, probe, una sonda atmosferica. Circa un mese dopo l’ingresso in orbita, la sonda atmosferica si staccherà dall’orbiter per precipitare sul pianeta.
Lo scopo di questo sacrificio è di studiare l’atmosfera di Urano direttamente in-situ, per fare misure che sarebbero impossibili dall’orbita e che permettono di dare preziosissime informazioni sulla struttura del pianeta. Un esempio di misura che non può essere fatta dall’orbiter è la ripartizione degli isomeri dell’idrogeno in atmosfera. Questo gas, infatti, a livello molecolare si può presentare in due forme dette para-idrogeno e orto-idrogeno, a seconda dell’orientazione (spin) dei due atomi di idrogeno che costituiscono la molecola, e l’abbondanza di una tipologia rispetto all’altra influenza l’emissione infrarossa a una data temperatura.
Nella sonda atmosferica ci saranno anche altri strumenti, come uno spettrometro di massa, per misurare la presenza di alcuni isotopi in atmosfera, e i più classici sensori di per il rilevamento della velocità del vento, della temperatura e pressione atmosferica e dell’accelerazione della sonda durante la discesa. Tuttavia il design non è definitivo, alcuni strumenti potranno essere sostituiti in fase di revisione del progetto.
La piccola sonda, che comunque ha una massa di 267 kg, avrà un’operatività molto breve e intensa. Ha con sé delle piccole quantità di plutonio solamente per mantenere un po’ di calore, ma per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia elettrica, dovrà fare affidamento solo su delle batterie con un autonomia di poche ore. Per questo motivo, gli strumenti verranno attivati solo durante l’ingresso in atmosfera, a circa 2.000 km di quota ortometrica, cioè rispetto a una quota zero presa arbitrariamente come il livello dove l’atmosfera raggiunge la pressione appunto di un’atmosfera.
Dal momento dell’ingresso in atmosfera, la sua missione durerà solo 13 minuti, durante i quali raggiungerà un’accelerazione massima di 114g (1.117 m/s²) e un flusso di calore dovuto all’incontro con l’atmosfera ad alta velocità superiore a 1.800 W/cm². Sono valori altissimi, ma la resistenza dei materiali è già stata testata con successo per altre missioni in programma alla NASA, anche se non ancora operative. Durante la discesa verranno aperti in successione due paracadute per diminuire la velocità, il primo dopo quattro minuti dal momento di ingresso in atmosfera, a 63 km di quota, e il secondo dopo un altro minuto, a 55 km. Sebbene la usa missione principale finirà a quota 0 km, dopo esattamente 801 secondi dall’ingresso in atmosfera, la sonda sarà ancora in grado di comunicare fino più o meno a una profondità dove la pressione arriva a 10 atmosfere.
L’orbiter, invece, è molto più grande della sonda atmosferica, e ha una suite di strumenti scientifici e sistemi di bordo più fornita. La massa a secco è di 3 tonnellate e dopo l’inserimento in orbita di Urano avrà ancora una tonnellata circa di carburante, una quantità abbondante, che permetterà di eseguire manovre per un totale di 2,7 km/s di ∆V. Alcuni strumenti sono dedicati allo studio a distanza del sistema di Urano, come vari apparati di ripresa, sull’infrarosso, nel visibile e in grandangolo, una telecamera termografica, altri per le misure in-situ dell’ambiente, come il rilevatore di particelle e il magnetometro.
Gli altri sistemi di bordo servono per le necessarie esigenze ingegneristiche. Un’antenna di tre metri servirà per le comunicazioni che a causa della distanza saranno limitate a 20 kb/s. Per confronto, Cassini (l’orbiter più remoto al momento) comunicava con un’antenna ad alto guadagno da 4 metri a un picco di banda superiore a 300 kb/s, mentre le sonde Voyager, ormai oltre l’eliosfera, trasmettono con la loro antenna da 3,7 metri a una velocità di 160 b/s. L’approvvigionamento di energia elettrica sarà garantito da un triplo sistema di generatori termoelettrici al plutonio, visto che affidarsi a mezzi fotovoltaici non è al momento tecnicamente pensabile, sempre per la lontananza dal Sole. In coda troviamo i due motori principali, da 645 N, che verranno utilizzati principalmente per l’ingresso in orbita. Oltre a questi ci sono quattro motori da 22 N per le manovre e sedici motori da 4 N per il controllo d’assetto.
La missione scientifica
Andando più in dettaglio sugli obiettivi scientifici della missione, bisogna prima di tutto partire dal fatto che Urano è un pianeta quasi sconosciuto. Le dinamiche dell’atmosfera sono abbastanza ignote, ci sono misteriosamente pochissime nubi visibili dai telescopi terrestri e la dinamica dei venti è basata solo su opinioni, se pur autorevoli. L’osservazione diretta e costante dall’orbiter, grazie ai sensori ottici e termici a bordo, permetterà di scoprire i moti convettivi, i venti e altri fenomeni relativi all’atmosfera, come tempeste e precipitazioni. Un sensore radio potrebbe aiutare anche a identificare fulmini difficilmente osservabili con altri strumenti. Inoltre, lo studio della composizione chimica dell’atmosfera, oltre a fornire informazioni sulle dinamiche attuali, consentirebbe di raffinare le conoscenze su come il pianeta si sia formato miliardi di anni fa.
Non si sa nemmeno se Urano sia più un pianeta stile super Terra o un gigante gassoso, che in termini leggermente più tecnici vuol dire che non si sa se è composto predominantemente da elementi volatili o rocciosi. Questa missione potrebbe risolvere il dubbio con l’analisi di molecole in atmosfera che forniscono elementi chiave per affrontare il problema, prima tra questi il monossido di carbonio (CO). L’orbiter inoltre aiuterà a fornire una conoscenza maggiore dell’interno di Urano semplicemente osservando come la sua orbita verrà perturbata durante il corso degli anni.
Sicuramente, la caratteristica più nota di Urano in ambito divulgativo è l’inclinazione dell’asse di rotazione, che si discosta molto dagli altri pianeti del sistema solare. Oltre alla conseguenza più evidente di un ciclo estremo di stagioni, ce n’è un’altra meno evidente ma di interesse notevole: la conformazione e dinamicità del campo magnetico. Durante il sorvolo di Voyager 2, ad esempio, l’asse di rotazione era quasi allineato con la direzione del vento solare, e questo ha innescato un fenomeno di feedback che ne ha alterato le proprietà. Allora il sorvolo è avvenuto il 24 gennaio 1986, pochi giorni dopo del solstizio d’estate del 6 ottobre 1985. Attualmente Urano si trova nella stagione autunnale, e se la sonda partirà a inizio degli anni 2030, arriverà alla fine della stagione invernale, proprio a ridosso dell’equinozio di primavera del 9 febbraio 2050. L’asse di rotazione sarà perpendicolare al vento solare e l’orbiter avrà la possibilità di studiare il campo magnetico in una configurazione planetaria completamente diversa da quella visitata da Voyager 2.
Oltre al pianeta stesso, destano particolare interesse anche i satelliti naturali di Urano. Sono 27 quelli conosciuti, potrebbero essere molti di più, vista la difficoltà di osservazione dalla Terra, ma sono solo cinque quelli principali, cioè quelli con un diametro maggiore di 400 km, scoperti prima del 1950. Sono possibili dozzine di opportunità per visitare i satelliti principali, molto dipende dalla posizione esatta dell’inserzione in orbita di Urano al momento dell’arrivo al sistema planetario, e questa posizione dipende da tanti altri fattori, tra cui la data esatta di partenza. Uno degli scenari esaminati prevede 23 sorvoli di quattro dei cinque satelliti principali, posizionandosi in una particolare orbita in risonanza con Titania che permetterebbe di effettuare 15 sorvoli solo di questa luna. Voyager 2 riuscì a riprendere solo dettagli di un unico satellite di Urano, Miranda, da una distanza di 29.000 km. Il nuovo orbiter potrà effettuare sorvoli controllati molto più vicini, in alcuni scenari fino a soli 25 km dalla superficie.
Costi e tempi
Se da un lato questa missione ha dalla sua un alto valore scientifico sfruttando quasi esclusivamente tecnologie esistenti, dall’altro ci sono costi e tempi di sviluppo a remare contro. Si tratta indubbiamente di una sfida con pochi paragoni, non sono molte le missioni programmate con un orizzonte operativo di qualche decennio, e i costi potrebbero essere superiori a quello che la NASA ha a disposizione e che riuscirà a ottenere negli anni a venire dal Congresso degli Stati Uniti.
Un’altra cosa da sottolineare è che sarebbe bello avere una cifra come costo previsto per la missione, ma trattandosi di un progetto ancora da delineare nei dettagli e con molti imprevisti nel cammino, non è possibile tirar fuori dal cappello un numero nudo e crudo senza specificare il senso di aleatorietà che ci gira attorno.
In primo luogo bisogna dire che non c’è un unico team che stima i costi. Chi presenta il progetto fa le sue stime, valide senza dubbio, basandosi su esperienze precedenti di missioni simili. NASEM poi chiede una valutazione indipendente all’Aerospace Corporation, la quale effettua un’analisi denominata TRACE, Technical Risk Assessment and Cost Evaluation, che fornisce non un semplice costo di missione, ma una distribuzione di probabilità di costi tenendo conto dei rischi avversi che possono influire sullo sviluppo del progetto.
Tornando al caso specifico dell’orbiter di Urano, i promotori della missione hanno stimato un costo complessivo di 2,8 miliardi di dollari, che è stato rivisto dopo il processo TRACE come possibile, ma solo con una probabilità del 10% circa che la somma sia sufficiente. Per l’Aerospace Corporation, una base di spesa più ragionevole, con un 70% di possibilità che possa bastare per l’intera missione, è di 4,2 miliardi di dollari, lasciando spazio anche a imprevisti che normalmente avvengono durante lo sviluppo.
Per quanto riguarda i tempi, invece, la questione è molto più incerta e dipende in primo luogo dai finanziamenti elargiti dal Congresso degli Stati Uniti. La stessa NASEM aveva suggerito due linee di finanziamento, una consigliata, permettendo lo sviluppo della missione a partire dal 2024, e una base, con inizio della fase progettuale spostato al 2028. Queste date influenzano chiaramente la data di lancio, semplicemente per il fatto che più tardi inizia lo sviluppo, più tardi la missione sarà pronta per il lancio. Ci sono anche questioni di meccanica orbitale che complicano un po’ la situazione, ma con oggetti così lenti, cioè con un’orbita molto ampia, di solito si ripropongono periodi di lancio simili ogni anno.
La nota dolente è che i fondi reali previsti per la divisione di scienze planetarie della NASA nel prossimo decennio non permette nemmeno il livello base di finanziamento suggerito da NASEM. Ci potranno essere compromessi in futuro che possono limare un po’ il costo della missione, come ridurre la fase scientifica a due anni rispetto ai quattro iniziali o togliere qualche strumento scientifico dalla sonda, ma è comunque qualcosa di non decisivo. La linea del Congresso potrebbe cambiare, in quanto il rapporto NASEM è storicamente influente, è possibile cioè vedere in futuro un aumento dei fondi destinati ad attività scientifiche o un trasferimento da altre divisioni considerate meno strategiche.
Fonte
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