Mio padre e mia madre andarono in viaggio di nozze nel 1979 a bordo di una FIAT 126 diretti verso il nord Italia, una destinazione molto lontana e difficile da raggiungere allora, sia in termini di costi che di tempi. Al loro ritorno, i racconti dei luoghi visitati e delle esperienze vissute ispirarono curiosità, desiderio di avventura. Col passare delle generazioni è aumentata la possibilità di andare più lontano, in meno tempo o con meno risorse; i motivi sono tanti, ma alla base di tutto c’è uno sviluppo tecnologico globale che ha portato all’evoluzione di mezzi e infrastrutture a supporto.
Che sia un viaggio regionale, internazionale o interplanetario, il discorso non cambia. L’esplorazione del sistema solare è sempre un obiettivo ambizioso, ma l’evoluzione raggiunta sulla Terra permette di realizzare missioni più economiche, remote e durature, aprendo la porta a mete irraggiungibili già solo un decennio prima. Dove andare allora? Quali saranno le prossime destinazioni delle missioni spaziali nello spazio profondo? E soprattutto chi e come decide?
L’ultima domanda è la chiave per la risposta alle altre due. Prima di tutto bisogna specificare che non è la NASA stessa, l’agenzia al momento con più missioni attive nel sistema solare, a decidere quali missioni finanziare. La NASA è un’agenzia federale, che prende soldi pubblici per mantenere le sue attività e non ha profitti propri. Deve perciò chiedere finanziamenti al Congresso degli Stati Uniti e fornire ottime motivazioni a supporto delle proprie richieste. D’altro canto, il Congresso è fatto di politici e non ha le capacità scientifiche di giudicare una proposta della NASA. C’è un’istituzione poco conosciuta, NASEM (National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine), che fa un po’ da collante. La NASEM fornisce delle indicazioni su cosa può avere maggior impatto per la società, facendo un’analisi approfondita su costi, possibilità e rischi.
Il 19 aprile 2022 è stato rilasciato dalla NASEM il Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey 2023–2032, un documento pubblico di 800 pagine con le domande che si deve porre la comunità scientifica e con le raccomandazioni su quali missioni intraprendere per acquisire dati scientifici utili a trovare risposte alle domande poste. Il documento non ha nessun valore formale, è praticamente solo un consiglio che l’Accademia dà alla comunità, ma è una fonte decisamente autorevole e viene sempre preso in considerazione. Il rapporto viene redatto regolarmente ogni 10 anni dal 2003 e con cadenze meno regolari dal 1968.
Il motto del documento pubblicato ad aprile è Origins, Worlds, and Life e i quesiti posti in esso rispecchiano queste tre tematiche fondamentali:
- Come si è originato il nostro sistema solare? È una cosa comune nell’universo?
- Come evolvono i singoli mondi? Come si differenziano i pianeti dopo la loro formazione?
- Quali fattori hanno permesso condizioni favorevoli allo sviluppo della vita? C’è stata in passato attività biologica al di fuori della Terra?
I dodici quesiti, criterio fondamentale per la selezione delle missioni, sono in dettaglio:
- Come si è evoluto di disco protoplanetario?
- Come si sono sviluppati i giganti gassosi e i corpi del sistema solare esterno?
- Come si sono sviluppati i pianeti terrestri e i corpi del sistema solare interno?
- Come è cambiato il sistema solare con impatti e bombardamenti?
- Come si evolve l’interno e la superficie di un corpo celeste?
- Cosa stabilisce le proprietà dell’atmosfera, dell’esosfera e della magnetosfera?
- Quali processi influenzano la struttura dei giganti gassosi?
- Quali processi influenzano la formazione di satelliti e anelli?
- Quali condizioni hanno permesso la vita sulla Terra?
- Dove esistono condizioni di abitabilità al di fuori della Terra?
- C’è o c’è stata vita al di fuori della Terra?
- Come contribuisce la conoscenza del sistema solare allo studio degli esopianeti?
Riguardo l’ultima domanda occorre fare una precisazione importante: lo studio degli esopianeti è considerato una priorità dalla NASEM, ma non rientra completamente negli obiettivi delle scienze planetarie. Parallelamente, infatti, l’Accademia redige anche un rapporto sui principali obiettivi scientifici da raggiungere in un decennio nel campo dell’astronomia e dell’astrofisica. Il rapporto più recente è di novembre 2021 e include ampiamente lo studio degli esopianeti.
La priorità che emerge, senza sorprese, è proseguire con Mars Sample Return. La missione, tra l’altro, era stata consigliata anche nel precedente rapporto e di fatto è in implementazione con il rover Perseverance che ha già raccolto e sigillato alcuni campioni di suolo marziano. Per il completamento della missione è previsto anche il coinvolgimento dell’ESA, che si occuperà di costruire, tra le altre cose, il rover per raccogliere le provette disseminate da Perseverance e la sonda per il trasporto dei campioni dall’orbita marziana fino alla Terra. Il programma è ancora molto lungo, e terminerà, secondo i piani attuali, all’inizio del prossimo decennio. Non c’è ancora nemmeno una stima dettagliata sul budget necessario, ma grossolanamente si dovrebbe aggirare attorno ai 5–6 miliardi di dollari.
L’altra priorità importante, questa volta con discreta sorpresa, è Urano. Il suo interesse scientifico è emerso molto negli ultimi anni, per svariati motivi. Prima di tutto, appartiene a una tipologia di pianeta che è ritenuta essere la più comune nella Via Lattea: i giganti ghiacciati, e questa è una scoperta recente. Una conoscenza migliore di questo pianeta vicino a casa nostra aiuterebbe la comprensione dei lontani esopianeti. Inoltre è uno dei pochi pianeti, l’unico assieme a Nettuno, osservato in vicinanza da solo una sonda e per pochi minuti, grazie all’unico sorvolo ravvicinato di Voyager 2 nel lontano 1986. Tra l’altro a quei tempi la sonda non era nemmeno stata progettata per l’osservazione di Urano, si trovava infatti già nell’estensione della sua missione principale, osservazione di Giove e Saturno, ed è stato necessario implementare tecniche di acquisizione di immagine apposite per rimediare alla luminosità troppo bassa per le apparecchiature di bordo. Per ultimo i tempi finalmente sono maturi. Rispetto a 10 anni fa sono presenti dei lanciatori super-pesanti che permettono un ragionevole profilo di missione per portare sufficiente strumentazione scientifica a bordo, come il Falcon Heavy di SpaceX, un altro ancora, SLS, è già nell’ultima fase di test pre-lancio e altri sono in fase di sviluppo iniziale (New Glenn). Una prima stima inquadra il costo della missione sui 4,2 miliardi di dollari.
Oltre alle raccomandazioni scientifiche, il comitato ha suggerito di aumentare il tetto di spesa per la divisione planetaria, giustificando la scelta con i ritorni scientifici che si otterrebbero. Nel rapporto si evidenziano due profili di spesa, quello a ritmo corrente, stimato sui 35 miliardi di dollari in 10 anni, e quello suggerito stimato in 41 miliardi. Le cifre vanno comunque viste in un’ottica più grande, il budget totale NASA sarà di circa 300 miliardi di dollari in quel periodo, si tratterebbe quindi di aumentare il finanziamento alle scienze planetarie dall’11% al 14% circa.
Un tale aumento consentirebbe, tra le altre cose, un’altra missione di alto profilo, Enceladus Orbilander, un orbiter e un lander dedicati allo studio del satellite di Saturno. Questa piccola luna desta un discreto interesse scientifico perché possiede tutte le condizioni per lo sviluppo dei composti di base per la formazione di attività biologiche. In più è tappezzato di geyser attivi che emettono vapore nello spazio e permetterebbero, più facilmente che in altri corpi celesti, la ricerca di materiale biologico in-situ. Si tratterebbe comunque di una missione molto complessa, che richiederebbe circa 4,9 miliardi di dollari secondo un’analisi recente. Un’altra missione che potrebbe vedere i natali con la versione di budget aumentata sarebbe Mars Life Explorer: un lander per gli anni 2030, superato il picco di spesa di Mars Sample Return, da progettare per cercare indizi di vita su Marte, possibilmente nel ghiaccio sotto la superficie. I costi totali per questo lander saranno orientativamente di 2,1 miliardi di dollari.
In definitiva, i vantaggi del profilo di spesa suggerito rispetto a quello corrente sarebbero lo sviluppo anticipato dell’orbiter di Urano, dal 2028 al 2024, la possibilità di realizzare Enceladus Orbilander e Mars Life Explorer, tre missioni in 10 anni di tipo New Frontiers rispetto alle una o due usuali e un budget per studi e analisi di 1,25 miliardi di dollari in 10 anni al posto di 730 milioni.
Una novità assoluta del rapporto di questo decennio è la presenza di attività dedicate allo studio di asteroidi potenzialmente pericolosi. Il comitato suggerisce di continuare lo sviluppo della missione NEO Surveyor senza posticipare la data di lancio. La missione consiste nel mandare un telescopio in un’orbita più interna rispetto a quella terrestre, per trovare asteroidi che altrimenti sfuggirebbero all’osservazione con strumenti convenzionali, a causa della forte illuminazione del Sole. Nel documento si suggerisce anche di testare una missione di “risposta rapida”, con un sorvolo di un piccolo asteroide (50–100 metri di diametro), per far emergere le capacità di reazione globali attuali a un pericolo che i dinosauri non seppero affrontare qualche milione di anni fa.
Oltre a consigli su quali missioni iniziare, nel testo si riscontrano anche dei suggerimenti per scoraggiare alcune di quelle in studio e poco promettenti, per evitare sprechi di fondi che potrebbero dare un ritorno scientifico non adeguato. Tra queste ci sono missioni importanti, come un lander su Europa, uno su Mercurio, una missione multipla su Venere, con orbiter, lander e mezzo volante, un orbiter su Nettuno. Non sono state scartate perché di poco interesse, ma perché la tecnologia attuale non permette di raggiungere obiettivi scientifici di valore sufficiente a giustificare un budget di missione molto elevato. Alcune missioni sconsigliate hanno addirittura ricevuto notevoli finanziamenti per lo studio di fattibilità, come ad esempio Europa Lander, che ha già superato i 200 milioni di dollari dal 2018. Tuttavia ogni tanto questi studi servono proprio a far emergere difficoltà di missione che prima si sottovalutavano.
Un’altra missione a ricevere forte sostegno è Endurance-A, un rover lunare dalle capacità di trasporto record per i mezzi di superficie extraterrestre. Dovrebbe essere in grado di percorrere 2.000 km nei pressi del polo sud lunare e raccogliere campioni di regolite fino a 100 kg. La missione ha un senso di opportunità, perché andrebbe realizzata in parallelo al programma di esplorazione lunare con equipaggio Artemis e integrata con essa per recuperare i campioni.
Nel rapporto viene dedicato molto spazio a missioni minori, che comunque richiedono un budget alto ma limitato superiormente. La NASA infatti ha avviato nel 2002 il programma New Frontiers per questo tipo di attività, missioni con un budget limitato a un miliardo di dollari, che vengono proposte in competizione tra di loro e selezionate dopo un’attenta analisi di rischi e ritorno scientifico. Al momento sono partite, e tutt’ora in corso, tre missioni di questo programma, New Horizons, Juno e OSIRIS-REx, una è in sviluppo, Dragonfly, e nel 2023 ne verrà selezionata una quinta in base alle indicazioni del Decacadal Survey del decennio scorso. Nelle raccomandazioni di questo decennio si suggerisce di incrementare il tetto di spesa a 1,65 miliardi di dollari e di aumentare, come già detto, il budget della divisione planetaria per riuscire a finanziare tre missioni New Frontiers per decennio.
Le candidate del programma più interessanti per rispondere alle 12 domande scientifiche prefissate e che competeranno per essere la sesta missione sono: un orbiter e un lander su un centauro (un asteroide orbitante tra Giove e Nettuno), prelevamento di campioni su Cerere o su una cometa, una missione con sorvoli ripetuti su Encelado, un orbiter di Saturno, un orbiter di Titano, una flotta di lander lunari, una sonda atmosferica su Venere. Per la settima missione New Frontiers si suggerisce di considerare tutte quelle scartate come seste più una nuova, Triton Ocean World Surveyor.
Infine c’è il Discovery Program. Si tratta di un programma NASA creato nel 1989 per permettere la pianificazione di missioni di profilo un po’ più basso. Queste hanno un budget limitato a 500 milioni di dollari senza considerare i costi di lancio. Al momento sono state scelte ben 16 missioni dall’inizio del programma, molte delle quali si sono già concluse con successo o meno. Due sono attualmente in corso, InSight e Lucy, una partirà a breve, Psyche, e altre due sono state selezionate da poco, VERITAS e DAVINCI+. La raccomandazione di questo survey è di mantenere cinque missioni per decennio e di aumentare il limite di spesa a 800 milioni di dollari, spese di lancio escluse.