Nelle prime ore della mattina italiana di venerdì 11 febbraio il fondatore di SpaceX, Elon Musk, ha tenuto un evento nel corso del quale ha fatto il punto della situazione sullo stato di avanzamento del programma Spaceship nel suo complesso.
All’incontro, durato circa un’ora e mezza, erano presenti alcune centinaia di persone tra giornalisti, appassionati e abitanti della contea di Brownsville, Texas, dove sorge il centro di Boca Chica.
Nella prima parte della chiacchierata Musk ha illustrato le tante attività svolte nel corso degli ultimi 18 mesi, mentre nella seconda si è prestato a rispondere alle domande dal pubblico.
Rispetto agli eventi precedenti la quantità di notizie di sostanza è apparsa però inferiore alle aspettative, anche se non sono mancati elementi che lasciano trasparire la quantità e soprattutto qualità del lavoro svolto dagli ingegneri di SpaceX.
Per chi se lo fosse perso, ecco il video della diretta streaming dell’evento.
Perché Starship?
È stata questa la domanda a cui Musk, in apertura del suo intervento, ha cercato di dare una risposta, pur limitandosi a una serie di punti di stampo prettamente idealistico e aspirazionale. Secondo Elon ci troviamo per la prima volta nelle condizioni di costruire un vettore spaziale in grado di portare esseri umani verso altri corpi celesti del sistema solare, e la sua determinazione è quella di concretizzare questo sogno al più presto possibile.
Le principali ragioni addotte a sostegno di questo progetto sono state sostanzialmente due. La prima è che stabilire la nostra specie su più corpi celesti è in sé una “polizza di assicurazione” contro eventuali catastrofi naturali che potrebbero portare all’estinzione del genere umano così come successe ai dinosauri. La seconda è di stampo più idealistico, e la illustriamo con le stesse parole di Musk.
La vita non può essere solo una questione di risoluzione di problemi. Abbiamo bisogno anche di qualcosa che ci ispiri, che ci faccia battere il cuore, che ci renda felici di alzarci la mattina e ci faccia sentire entusiasti del futuro. Andare là fuori e diventare una civiltà capace di viaggiare nel cosmo, essere una specie multiplanetaria, trasformando la fantascienza in realtà, secondo me, è una di queste cose. È questo che accende la mia passione. Andiamo là fuori e scopriamo cosa sia questo universo, andiamo a vedere di che si tratta.
Elon Musk
Si è trattato dunque di un messaggio visionario e carico di ottimismo, accompagnato da una versione aggiornata del video che mostra le fasi principali di un ipotetico viaggio Terra-Marte a bordo di una Starship.
Musk ha comunque evitato di addentrarsi in aspetti più reali e concreti quali il business case, i mercati potenziali e i costi di sviluppo di un sistema di lancio così complesso e potenzialmente rivoluzionario.
Il santo Graal dell’esplorazione spaziale: rapida riutilizzabilità
La presentazione di Musk è poi passata al concetto chiave che da anni guida le politiche della sua azienda: la ricerca del santo Graal capace di trasformare la fantascienza in realtà, e cioè la costruzione di un mezzo di trasporto spaziale rapidamente riutilizzabile.
Perorando questa idea, Musk ha proposto un’iperbole affascinante, paragonando le 16.000 tonnellate di massa degli oggetti lanciati nel cosmo dall’inizio dell’era spaziale alle ipotetiche capacità raggiungibili dal sistema Starship se sfruttato intensivamente.
Ebbene, ipotizzando di lanciare una Starship a pieno carico per tre volte alla settimana, nel giro di un anno si raggiungerebbero circa 16.000 tonnellate di carico utile trasportato. Dove si potrebbe arrivare, si è chiesto retoricamente Musk, avendo a disposizione dieci Starship, ciascuna lanciata ogni otto ore? La risposta è nell’infografica qui sotto: oltre un milione di tonnellate l’anno, che sempre secondo Musk si traducono in oltre 100.000 tonnellate l’anno sulla superficie di Marte.
Starship orbitale aka Ship
Sono state confermate le misure del modulo orbitale Starship, da qualche mese chiamato Ship: 50 metri di altezza per 9 di diametro. La capacità di carico di propellenti è di 1.200 tonnellate mentre la spinta sarà di 1.500. Potrà portare nello spazio dalle 100 alle 150 tonnellate di carico utile, a seconda dell’orbita.
Lo scudo termico consiste in migliaia di piastrelle esagonali, quasi tutte della stessa grandezza, prodotte sempre da SpaceX in uno stabilimento in Florida. Anche in questo caso la parola chiave è riutilizzabilità. Salvo occasionali danneggiamenti e la normale usura, lo scudo dovrebbe sopravvivere sostanzialmente intatto a ripetuti voli della Starship.
Rispondendo alle domande dei presenti Musk ha comunque chiarito che il design delle Ship non è definitivo: alla configurazione attuale potrebbero essere aggiunti altri tre Raptor con ugello ottimizzato per il vuoto, e la lunghezza del veicolo potrebbe aumentare ancora di qualche metro, per far posto ad altro propellente.
Il rifornimento orbitale è una tecnologia chiave e indispensabile nei piani futuri di SpaceX, non solo per i suoi obiettivi di colonizzazione marziana ma anche, e forse al momento soprattutto, perché prevista nei piani di NASA per tornare sulla Luna a metà di questo decennio. Rispetto alle ricostruzioni in computergrafica mostrate nelle occasioni precedenti, che vedevano una Ship Tanker collegarsi alla Ship da rifornire in una configurazione coda-contro-coda, questa volta l’operazione si svolge con la cisterna che aggancia l’altra astronave sulla schiena, verosimilmente sfruttando una barra metallica che corre longitudinalmente su entrambi i veicoli.
Per sviluppare questa capacità di manovra di precisione SpaceX intende sfruttare l’esperienza acquisita con gli attracchi tra le capsule Dragon e la Stazione Spaziale Internazionale, dimostrata svariate volte con pieno successo. Musk si aspetta una dimostrazione del rifornimento orbitale entro la fine del 2023.
Rispondendo a una domanda del pubblico, Musk ha anche rivelato che le Ship, con il loro rapporto spinta/peso superiore a 1 anche a livello del mare, potranno anche fare da “scialuppa di salvataggio” (Launch Escape System) già in rampa, in modo analogo a quanto le Crew Dragon garantiscono oggi. In caso di problemi seri al booster i motori della ship potrebbero venire accesi per allontanare velocemente l’equipaggio dal pericolo.
Qualche dettaglio è emerso anche per quanto riguarda i sistemi di supporto vitale, seppure a questo punto dello sviluppo si sia trattato più di ventilare intenzioni che dare voce a fatti emersi da test già in corso. Per voli di breve durata l’espansione dei sistemi già messi a punto per le Crew Dragon è una via assolutamente praticabile, ma per i voli interplanetari sarà necessario realizzare un sistema a ciclo chiuso capace di riutilizzare tutto quanto caricato a bordo, compresi i rifiuti biologici degli stessi viaggiatori.
Super Heavy aka Booster
Passando alle caratteristiche del mastodontico booster del sistema Starship, Musk ne ha innanzitutto dichiarato le impressionanti misure: alto 69 metri e con un diametro di 9 ha la capacità di caricare fino a 3.400 tonnellate di propellenti (ossigeno e metano liquidi) e sviluppa una spinta di 7.590 tonnellate, pari a oltre il doppio di quella garantita dallo storico lanciatore lunare Saturn V.
Quando decollerà, Super Heavy sarà l’oggetto volante più grande mai costruito.
I motori Raptor 2
Starship non ha ancora volato, se non nella sua componente orbitale e alla quota massima di 10.000 metri, tuttavia SpaceX ha continuato a sviluppare il suo motore Raptor, uno dei rari motori a razzo a ciclo chiuso sviluppato negli Stati Uniti, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni e diminuirne gli ingombri rispetto alla versione utilizzata fino a oggi. La produzione dei Raptor 2 è già iniziata, parallelamente a varie accensioni di prova presso il sito texano di McGregor, al ritmo di circa un motore al giorno.
Mentre la ragione della ricerca di prestazioni sempre migliori è evidente, la riduzione delle dimensioni dei Raptor è dovuta principalmente alla necessità di raggrupparne ben 33 alla base di ogni Super Heavy.
Il Raptor versione 1 vantava ben 185 tonnellate di spinta, ma nella versione 2 questo valore è stato portato a ben 230 tonnellate, con un impressionante aumento di oltre il 24%. Secondo Musk un altro importante punto a favore della nuova versione è la diminuzione del costo unitario di produzione di circa il 50%.
Musk ha spiegato che il Raptor 2 è di fatto un progetto quasi totalmente nuovo se confrontato col suo predecessore. Insieme alla riduzione delle dimensioni sono state migliorate le turbopompe, e molte flange, uno dei punti deboli di sistemi che lavorano ad altissime pressioni (in alcuni punti fino a 800 atmosfere) con propellenti criogenici, sono state eliminate in favore di saldature. Vari sistemi elettronici, inizialmente distribuiti in punti diversi del motore, sono ora consolidati in un unico box.
Anche prevenire la fusione della camera di combustione è una sfida enorme: il propulsore deve gestire, nel corso del suo funzionamento, una potenza termica massima di circa un gigawatt. Questo si ottiene grazie alla rapida circolazione dei propellenti criogenici in punti strategici del propulsore.
Al momento, durante i testi al banco, due propulsori sono stati messi in funzione per oltre 800 secondi ciascuno, e sono stati sottoposti a multipli cicli di accensione.
L’importanza che il Raptor 2 ha nei piani di SpaceX è difficile da sottostimare. Anche se lo stesso Musk non ha sottolineato più di tanto questo elemento rispetto ad altri passaggi del suo discorso, si tratta di uno degli elementi portanti della nuova architettura, forse il più importante. Mentre il corpo del razzo è di fatto un “semplice” sistema di serbatoi, il “cuore” del sistema e probabilmente il suo elemento più costoso sono proprio i propulsori.
Realizzare in tre anni due versioni di un motore a ciclo chiuso (una tecnologia padroneggiata dai Russi ma per la quale gli Stati Uniti non hanno tradizione), capace di funzionare sia in atmosfera che nel vuoto cosmico, di essere riacceso più volte nel giro di poche ore e di lavorare a pressioni fino a 300 atmosfere è un’impresa straordinaria ad oggi ancora non riuscita ad alcuno dei concorrenti di SpaceX.
La torre di lancio
Per Musk la costruzione dell’avveniristica torre di lancio, durata 13 mesi, è stata un’impresa tanto complicata quanto assemblare i booster o le ship. Si tratta di una struttura così importante nel contesto del sistema di lancio da essere definita Stage 0 (lo stadio zero, dove poi gli stadi uno e due sono rispettivamente il booster e la ship).
Quello sviluppato da SpaceX per questa torre di lancio è un design totalmente rivoluzionario, perché ha cambiato profondamente il modo tradizionale di progettare e utilizzare uno degli elementi forse meno appariscenti nelle attività di un lancio spaziale. La torre di Boca Chica (di cui SpaceX vorrebbe costruire un secondo esemplare, come rivelato dalla valutazione di impatto ambientale) ha invece assunto un ruolo chiave nelle fasi di assemblaggio, decollo e rientro del razzo, grazie agli innovativi bracci mobili di sostegno.
Starbase e le altre possibili zone di lancio
Data l’enorme scala del progetto Starship, secondo Musk le uniche zone in cui SpaceX può operare sono Boca Chica o il Kennedy Space Center di Cape Canaveral. Boca Chica si è rivelata ideale sia per il suo posizionamento geografico e per il suo relativo isolamento da centri abitati, sia perché usata unicamente dall’azienda di Musk.
Il KSC è un centro di lancio condiviso con altri operatori dal quale partono decine di lanci ogni anno, e sarebbe stato improponibile svolgere lì il lavoro di ricerca e sviluppo, con le conseguenti frequentissime evacuazioni del personale tecnico e gli atterraggi “col botto” tipici dei primissimi test del nuovo sistema di lancio.
In ogni caso SpaceX intende completare la costruzione di una torre di lancio e di una fabbrica di assemblaggio per le Starship anche a Cape Canaveral, in modo da avere due siti indipendenti e pronti a costruire e lanciare i nuovi vettori.
Un altro motivo chiave per costruire un centro di produzione e lancio anche a Cape Canaveral è che, in caso di esito negativo o di intoppi con la valutazione di impatto ambientale in corso su Starbase, SpaceX potrebbe semplicemente investire tra i sei e gli otto mesi per spostare la produzione e i lanci di test proprio in Florida. Musk si è detto comunque estremamente ottimista sul verdetto della FAA, atteso entro l’arrivo della primavera. Starbase rimarrà in ogni caso il centro principale di ricerca e sviluppo per il progetto Starship.
SpaceX ha anche un altro asso nella manica, cioè due ex piattaforme petrolifere che sono state acquistate e sono in via di trasformazione per renderle adatte a lanciare delle Starship: Phobos e Deimos. Al momento la priorità data a questi lavori è piuttosto bassa, ma a regime queste due particolari imbarcazioni consentiranno il lancio delle Starship da qualsiasi punto del globo.
Le prime missioni di Starship e i relativi costi
Se i test del nuovo vettore daranno l’esito sperato, SpaceX inizierà a utilizzare Starship per lanciare i suoi satelliti Starlink v2. Ma la missione più attesa e forse anche l’unica, vera fonte di “pressione” sul progetto, è la selezione da parte di NASA di Starship come uno dei veicoli spaziali coinvolti nel ritorno alla Luna. SpaceX è ad oggi l’unico appaltatore per questo importante compito nel contesto del contratto HLS (Human Landing System), dopo che i ricorsi presentati da Blue Origin sono stati respinti.
Un’altra missione al momento sospesa, ma dal grande potenziale promozionale Starship, è il volo circumlunare prenotato dal miliardario giapponese Yuzaku Maezawa, che oltre a staccare un biglietto per sé stesso a bordo di una Starship ha intenzione di regalarne altri ad alcuni artisti da lui selezionati. In questo caso non è stata resa nota la data approssimativa di partenza.
Interrogato sui costi di un lancio Starship, Musk si è tenuto comprensibilmente sul vago, ma ha dichiarato che una volta raggiunto l’obiettivo di riutilizzare lo stesso vettore molteplici volte, il costo sostenuto da SpaceX per ogni lancio dovrebbe essere nell’ordine di meno di 10 milioni di dollari per volo. Questa cifra andrebbe poi divisa per le 100 tonnellate di carico utile, portando il costo per kg in orbita a poche decine di dollari.
Una presentazione deludente?
L’annuncio di una nuova presentazione su Starship è stato accolto con il consueto entusiasmo. Da quasi due anni, curiosi e appassionati seguono gli sviluppi dei prototipi Starship a Boca Chica che a ogni iterazione hanno mostrato la qualità del lavoro e la solidità delle intenzioni di SpaceX, oltre ad accendere la passione per lo spazio nell’opinione pubblica.
Le attese rispetto ad annunci di sostanza sono però andate parzialmente deluse. Tutta la prima parte dell’intervento di Elon Musk, quella che precede le domande dei giornalisti, è stata in larga misura una ripetizione dei sogni personali di Elon, peraltro già annunciati nelle edizioni precedenti, e visualizzati con una versione aggiornata del video che mostra una tipica missione Terra-Marte con una Starship. Molte delle informazioni tecniche più di sostanza sono invece emerse solo grazie alle domande del pubblico.
L’impeto entusiasta di Elon Musk, uso a promettere tempistiche più che ottimistiche, si è evidentemente scontrato con la dura realtà fatta di permessi burocratici indispensabili e altre attività non comprimibili per il completamento dei sistemi di supporto a terra che, pur realizzati a velocità sostenuta, hanno ritardato il primo lancio orbitale di Starship di molti mesi rispetto alle promesse.
Da Boca Chica non decollano prototipi dal maggio 2021, e non si può escludere che a contribuire alla decisione di organizzare proprio ora questo evento non sia stata anche la necessità di rassicurare gli investitori, abituati al ritmo vertiginoso tenuto da SpaceX nel primo semestre dello scorso anno.
Secondo Musk l’hardware di volo sarà pronto non prima della fine di marzo 2022, quasi contemporaneamente al termine atteso per la valutazione di impatto ambientale. A quel punto sarà cruciale centrare il primo lancio orbitale di successo della Starship entro il 2022, anche in vista di future nuove tornate di finanziamenti da parte di venture capitalist e per il rapido completamento della costellazione Starlink.
Rispetto poi alla sostenibilità delle Starship nel mercato dei lanciatori, soprattutto nel lungo termine, è bene analizzare le dichiarazioni di Musk con sano scetticismo. Non solo il nuovo lanciatore deve ancora dimostrare di avere le capacità e l’affidabilità di impiegare lo stesso vettore più volte nello stesso giorno, ma all’appello mancano altri importanti fattori, sia tecnici che non.
Tra quelli tenici, oltre all’ovvia necessità di lanciare con successo il razzo più grande della storia, gestendo il corretto funzionamento di un totale di 39 motori, deve ancora essere dimostrato in volo il rifornimento orbitale. Si tratta di un passaggio fondamentale e non eludibile per consentire lo svolgimento di missioni nel sistema solare, comprese quelle imminenti nel contesto del programma Artemis della NASA. Tra i fattori non tecnici, ma non meno importanti, resta aperta la questione dell’esistenza di un mercato abbastanza ampio da sostenere un rateo di lanci anche solo vicino ai numeri dati da Elon Musk durante la presentazione.
A parte i lanci pagati dalla stessa SpaceX per completare la costellazione Starlink, quelli degli enti pubblici statunitensi come NASA e l’annunciata missione Dear Moon, ad oggi non ci sono altri clienti per Starship. Interrogato in tal senso da una giornalista, Musk lo ha ammesso candidamente, aggiungendo che a suo parere una volta dimostrato il cambio di paradigma (e di costi) reso possibile dal nuovo vettore, si apriranno molteplici opportunità di applicazione ad oggi di fatto imprevedibili.
Senza sottovalutare le evidenti capacità tecniche di SpaceX né la determinazione del suo fondatore, è indubbio che l’enormità delle sfide che Elon Musk si è imposto è direttamente proporzionale alla distanza che ancora separa le sue visioni da fantascienza dalla realtà dei fatti. Tuttavia, guardando a quanto SpaceX ha saputo realizzare fino ad oggi, chi è tra noi che non ci crede almeno un pochino?
L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione. Nella versione precedente avevamo erroneamene indicato il motore Raptor come il primo a ciclo chiuso sviluppato negli USA, trascurando l’RS-25 dello Space Shuttle. Abbiamo anche corretto il nome della missione Moonshot in quello corretto, Dear Moon.