Oggi, lunedì 27 settembre 2021, l’Atlas V di ULA è decollato dallo Space Launch Complex 3E della Vandenberg Space Force Base, portando in orbita il satellite Landsat 9 e altri quattro cubesat: due finanziati da NASA (CuPID e CUTE) e due commerciali (Cesium 1 e 2).
CuPID
CuPID, acronimo per Cusp Plasma Imaging Detector, è un CubeSat 6U grande circa come una pagnotta e con un peso poco inferiore a quello di un’anguria che studierà la zona in cui il campo magnetico terrestre interagisce con quello del Sole.
Nei periodi di maggior attività solare è possibile infatti che i due campi arrivino a contatto e si fondano, secondo un processo noto come riconnessione magnetica. Come conseguenza di questo fenomeno, il campo magnetico terrestre modifica la propria forma, diventando meno efficiente nella protezione dalle particelle energeticamente più cariche e permettendo potenziali eventi dannosi sia per la salute degli astronauti e dei satelliti sia per la rete elettrica a Terra.
Lo scopo di CuPID sarà osservare i confini del campo magnetico terrestre, individuandone le caratteristiche principali e cercando di ottenere dati e informazioni sulle modalità e le cause dell’occasionale perforazione della magnetosfera da parte delle particelle. A differenza di altre missioni NASA come le Magnetospheric Multiscale (MMS) che attraversano direttamente gli eventi di riconnessione magnetica per osservarli a scale ravvicinate, CuPID fornirà uno sguardo d’insieme, sfruttando una camera ad ampio campo nella regione dei raggi X soft, che vengono prodotti quando le particelle solari collidono con la magnetosfera terrestre. Sarà il primo satellite ad operare in questa banda.
Una delle principali sfide ingegneristiche è stata proprio la costruzione della camera, in quanto i raggi X non si piegano facilmente come la luce visibile, rendendo molto più difficile la messa a fuoco. In aggiunta, l’osservazione del confine della magnetosfera richiede un ampio campo di vista, essendo la sonda molto vicina al confine stesso.
Il lavoro è iniziato ben sedici anni fa, quando un team di scienziati, ingegneri, tecnici e studenti dei centri del Goddard e di Wallops hanno sviluppato un primo prototipo, cercando di ovviare al problema della messa a fuoco dei raggi X. La soluzione a cui sono venuti a capo è stata di rifletterli nel fuoco, facendoli passare attraverso una griglia di sensori disposti in modo tale da fornire un ampio campo di vista. Il primo test della camera è avvenuto a bordo di un razzo sonda, nel corso della missione DXL nel 2012, ed è stato completato con successo; ciò ha permesso al team di iniziare il processo di miniaturizzazione per poter permettere alla camera di rispettare i requisiti di dimensione e peso di un CubeSat. Nel 2015 si è avuto quindi il test di un predecessore di CuPID sempre a bordo di un razzo sonda, al quale è poi seguita la selezione da parte di NASA per completare il satellite con avionica e altri sensori.
Il lancio e l’immissione in orbita, oltre a culminare oltre sedici anni di lavoro, rappresenteranno anche la possibilità per alcuni studenti di testare con mano l’analisi e l’interpretazione di dati provenienti direttamente dal satellite.
CUTE
CUTE (Colorado Ultraviolet Transit Experiment) è un cubesat 6U il cui scopo sarà lo studio e la caratterizzazione di alcuni pianeti extrasolari sfruttando il metodo dei transiti. La durata minima della missione sarà di un anno, ma NASA ha garantito finanziamenti per estendere la durata massima fino al 2023, al termine della quale CUTE sarà fatto deorbitare distruttivamente nell’atmosfera.
Attualmente i satelliti dedicati allo studio degli esopianeti sono TESS (NASA), CHEOPS (ESA) e in misura minore Hubble (NASA/ESA), mentre in passato ha operato Kepler; il lavoro di questi telescopi spaziali (unitamente a quelli di Terra) ha permesso di confermare la presenza di oltre 3.700 esopianeti.
Strategia di osservazione
CUTE sarà inserito in un’orbita quasi eliosincrona con un periodo di circa 90 minuti. Durante la missione osserverà una media di 5/10 tranisiti di hot Jupiters e hot Neptunes, pianeti con masse simili a quella di Giove e Nettuno (rispettivamente 318 e 18 masse terrestri) ma a distanze dalla stella madre molto piccole. Le curve di luce che verranno estratte permetteranno al team di CUTE e ad altri astronomi di ricavare informazioni su forma, dimensione e composizione di questi sistemi planetari. I dati saranno poi resi pubblici sul NASA Exoplanet Archive dopo circa sei mesi dalle osservazioni.
Lo studio dedicato di CUTE
Ad oggi, la maggior parte delle analisi spettroscopiche combinate ai transiti è stata effettuata nell’infrarosso, che permette di studiare le zone basse delle atmosfere degli esopianeti, tanto che lo studio della porzione superiore, effettuato nell’ultravioletto, riguarda meno di dieci esopianeti. I dati prodotti non sono quindi in grado di fornire conclusioni definitive riguardo agli interrogativi aperti, quali i tassi di perdita di massa dell’atmosfera, i processi ivi in atto o addirittura la presenza di un campo magnetico, per ora solo teorizzata. A questo scopo la banda di osservazione nell’ultravioletto di CUTE e il numero di transiti osservati per singolo esopianeta potrebbero permettere di rispondere a queste domande. Un altro vantaggio dell’utilizzo della banda ultravioletta potrebbe essere l’individuazione del bow shock, la struttura che si viene a formare nell’interazione tra vento stellare e magnetosfera dell’esopianeta.
Come già accennato in precedenza, ad affiancare CUTE nell’osservazione di esopianeti è presente anche Hubble, che a differenza del CubeSat è molto richiesto da astronomi e team scientifici di tutto il mondo: è stato calcolato che per ottenere 5/6 transiti completi degli obiettivi di CUTE, sarebbero necessarie circa 1.000 orbite di Hubble.
L’importanza della perdita di atmosfera
Durante l’Astrophysical Decadal Survey del 2010 vennero sollevate alcune domande circa l’importanza della conoscenza dell’evoluzione fisico-chimica delle atmosfere esoplanetarie per una consapevolezza sul clima a lungo termine e la potenziale abitabilità di pianeti extrasolari. La perdita di atmosfera è ritenuta uno dei tanti passi fondamentali per lo sviluppo della vita sulla Terra: inizialmente il nostro pianeta aveva infatti un’atmosfera composta principalmente da idrogeno ed elio, i due costituenti principali della nebulosa planetaria in cui la Terra andava a formarsi, e solo in seguito alla perdita di questi due gas si è potuta formare un’atmosfera secondaria, composta da azoto, ossigeno e anidride carbonica. Questo processo è avvenuto anche su Mercurio, Venere e Marte, anche se con esiti differenti a causa di diversa attività geologica, distanza dal Sole e intensità del campo magnetico, e potrebbe aver portato questi pianeti allo sviluppo di condizioni temporanee per lo sviluppo della vita.
La scelta di hot jupiters e hot neptunians a corto periodo (da 1 a 5 giorni) è dettata dal fatto che la perdita di atmosfera e le interazioni con la stella madre hanno gli effetti maggiori in questa classe di pianeti: la distanza estremamente ravvicinata riscalda sia il corpo celeste sia l’atmosfera, la quale, in risposta a questo calore, si espande e può essere strappata via nel caso in cui sia eccessivo, inducendo i meccanismi di perdita della massa.
Fonti: NASA e sezione scientifica, studio dedicato e design della missione dal sito web di CUTE.