Incrociando i dati di due satelliti scientifici, un gruppo internazionale di ricerca ha spiegato il misterioso fenomeno delle aurore a raggi X ai poli di Giove, osservato per la prima volta nel 1979.
In un recente studio pubblicato sulla rivista Science Advances, un gruppo di ricerca con membri provenienti da istituti cinesi, europei e statunitensi guidato da Zhonghua Yao dell’Accademia delle Scienze di Pechino, ha osservato gli ioni di zolfo e ossigeno cavalcare onde di plasma lungo le linee del campo magnetico per scendere nell’atmosfera gioviana e originare le emissioni a raggi X.
Confrontando i dati di 26 ore di osservazione continua (16–17 luglio 2017) da parte della sonda statunitense Juno, in orbita polare intorno a Giove dal 2016, con quelli dell’osservatorio spaziale europeo XMM-Newton, operativo in orbita terrestre dal 2000, i ricercatori hanno scoperto che il campo magnetico del pianeta subisce delle fluttuazioni dovute alla compressione del vento solare. Questa compressione scalda le particelle intrappolate nel campo magnetico, dando origine al fenomeno chiamato ElectroMagnetic Ion Cyclotron (EMIC) waves, già osservato nella magnetosfera terrestre. Le particelle cariche quindi, cavalcando queste onde EMIC per milioni di chilometri lungo le linee del campo magnetico, innescano le aurore a raggi X nel momento in cui vanno violentemente a sbattere contro l’atmosfera di Giove.
Lo spettacolare fenomeno delle aurore, generato dall’interazione del vento solare con l’atmosfera, è stato osservato su tutti i pianeti del Sistema Solare, tranne Mercurio che è troppo piccolo e vicino al Sole per avere un’atmosfera. Alcune aurore planetarie sono emesse nello spettro visibile per l’occhio umano, mentre altre necessitano di strumenti specifici per essere riprese. Giove è il pianeta con le aurore energeticamente più potenti del Sistema Solare, la cui fonte di particelle cariche (ioni di zolfo e ossigeno) è riconducibile principalmente all’attività vulcanica della piccola luna Io, ed è l’unico che presenta aurore nello spettro dei raggi X. Il fenomeno è particolarmente interessante perché le emissioni in banda X sono tipicamente emesse da grandi fenomeni cosmici, quali i buchi neri o le stelle di neutroni e il fatto che anche un semplice, seppur gigante, pianeta della nostra galassia sia in grado di generare un effetto simile, ha incuriosito molto la comunità scientifica.
Rilevate per la prima volta nel 1979 dal telescopio spaziale a raggi X NASA Einstein Observatory (HEAO-2), lanciato l’anno precedente e operativo in orbita bassa terrestre fino al 1981, le aurore a raggi X di Giove sono rimaste un mistero per oltre 40 anni. Sulla Terra infatti le aurore si presentano in una fascia compresa tra i 65 e gli 80 gradi di latitudine in entrambi gli emisferi. Oltre gli 80 gradi il fenomeno non sussiste a causa delle linee del campo magnetico che lasciano la Terra senza ritorno, come invece avviene in tutte le latitudini inferiori. Le aurore a raggi X di Giove invece avvengono proprio ai poli, pulsano con una certa regolarità e a volte presentano caratteristiche differenti da un polo all’altro. Queste peculiarità sono proprio tipiche delle linee chiuse del campo magnetico, quelle che escono da un emisfero per rientrare nell’altro.
La scoperta non è solo importante per spiegare un fenomeno localizzato, ma anche perché, ora che sappiamo cosa cercare, può essere ampliata agli altri grandi pianeti esterni, Saturno, Urano e Nettuno; e addirittura agli esopianeti, ciascuno con le sue peculiarità e differenti particelle cariche.