Quando si parla di space debris, ovvero detriti spaziali, ci si riferisce a tutti gli oggetti orbitanti intorno alla Terra non più utili, vale a dire strumentazione dismessa o detriti generati da collisioni, ma potenzialmente dannosi. Da qui l’interesse delle agenzie spaziali nei confronti del tema. I detriti spaziali, infatti, anche se di piccole dimensioni, possono collidere con i satelliti in funzione intorno al pianeta e causare gravi danni. Attualmente, il continuo monitoraggio dei satelliti consente di prevedere con buon margine di sicurezza l’eventualità di una collisione in orbita. In questi casi vengono condotte le cosiddette Collision Avoidance Maneuver, mediante le quali il satellite potenzialmente a rischio esegue una manovra propulsa spostandosi su un’orbita a un differente livello energetico (phasing maneuver), per il tempo necessario a evitare la collisione. Successivamente una seconda manovra propulsa riporta il satellite nell’orbita di appartenenza. Ovviamente, con l’incremento delle attività in orbita risulta difficile prevedere ogni singola possibile collisione. Per questo motivo il monitoraggio è focalizzato sugli elementi “cruciali”.
Ciò che rende i detriti spaziali ancora più pericolosi è l’eventualità di collisione con gli astronauti che effettuano attività extra-veicolari (EVA) all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, seppur questa eventualità risulti meno probabile. Ovviamente, l’attenzione rivolta alla tutela della ISS è massima e non di rado vengono eseguite avoidance maneuver per evitare la collisione con piccoli detriti spaziali.
Una singola collisione tra un satellite e un detrito spaziale può causare la dispersione in orbita di migliaia di minuscoli detriti dell’ordine di pochi centimetri. Questi sono difficilmente controllabili e, con effetto a cascata, possono avere ricadute su un cospicuo numero di altri satelliti causando, potenzialmente, un considerevole numero di collisioni. Per questo motivo il progetto di un qualsiasi satellite in orbita bassa terrestre (LEO) prevede una strategia de-orbitante a fine vita, generalmente finalizzata al rientro in atmosfera terrestre con conseguente disintegrazione per effetto delle elevate temperature. Per i satelliti posizionati in orbita terrestre media (MEO) la strategia è invece di tipo passivo, espellendo tutto il carburante a disposizione per ridurre il rischio di esplosione in caso di collisioni, sfruttando l’effetto della pressione della radiazione solare per formare orbite ellittiche (con perigeo influenzato dall’atmosfera) e quindi l’effetto del drag atmosferico per ri-circolarizzare l’orbita e deorbitare “naturalmente” il satellite. I satelliti geostazionari invece vengono deorbitati verso lo spazio profondo, non risolvendo di fatto il problema degli space debris ma limitando il rischio di collisione in orbita geostazionaria (GEO).
Il prossimo passo: un telescopio orbitante
Oggi più che mai l’industria spaziale pone grande attenzione al problema dei detriti spaziali. La questione è stata ampiamente discussa durante l’ottava Conferenza europea sugli space debris, tenutasi tra il 20 e il 23 aprile 2021.
L’ESA sta programmando il lancio di un telescopio spaziale in grado di rilevare piccoli detriti orbitanti, anche di pochi millimetri di diametro, difficilmente rilevabili mediante telescopi posti sulla superficie. In sostanza si prevede di costruire un telescopio ottico da 8 pollici di larghezza (20,32 centimetri), trasportato da un veicolo spaziale orbitante a un’altitudine compresa tra 600 e 700 chilometri. Secondo le previsioni dell’ESA dovrebbe essere pronto per il lancio nello spazio nel 2025.
Secondo quanto riferito da Tim Flohrer, direttore dello Space Debris Office dell’ESA, questo telescopio avrà un funzionamento del tutto passivo, in grado di rilevare la luce solare riflessa dai detriti. Il nuovo strumento avrà come ulteriore scopo quello di validare i modelli analitici sulla densità e sul movimento dei piccoli detriti orbitanti intorno al pianeta. Sarà quindi un importante strumento di convalida, considerata la notevole divergenza dei modelli di previsione nel “regime centimetrico” tra NASA ed ESA.
Si stimano circa 900 mila detriti aventi dimensioni comprese tra 1 e 10 centimetri, e circa 34 mila aventi dimensioni maggiori di 10 centimetri. A questi numeri si sommano poi i 128 milioni di oggetti (stimati) aventi dimensioni comprese tra 1 millimetro e 1 centimetro. Seppur di piccole dimensioni, i detriti spaziali possono potenzialmente essere catastrofici per via delle elevatissime velocità orbitali relative (fino a 56 mila km/h). Nel 2016 un detrito di 1 millimetro si è scontrato con il satellite Copernicus Sentinel-1A a una velocità orbitale relativa di 28 mila km/h, perforando un pannello solare e causando un improvviso calo della produzione di energia. Ovviamente le conseguenze sarebbero state ben più gravi se il detrito spaziale avesse colpito il corpo principale del satellite.
Gli esperti dell’ESA ritengono l’installazione del nuovo telescopio orbitante un grande passo avanti nella comprensione della distribuzione di questi frammenti potenzialmente dannosi, nonché un importante strumento di protezione. Verrà presto emesso un bando di gara per lo sviluppo dei componenti del telescopio ma, ad oggi, la missione è in attesa dei finanziamenti richiesti agli Stati membri.
Fonti:
- Space.com: Europe plans to launch space telescope to monitor orbital debris
- ESA: dodging debris to keep satellites safe
- ESA: time to act