La propulsione nucleare è fondamentale per le future missioni umane su Marte
Uno nuovo studio dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti (National Academy of Science), commissionato dalla NASA al suo Space Nuclear Propulsion Technologies Committee e di prossima pubblicazione, sostiene che per portare esseri umani su Marte nel 2039 è necessario iniziare quanto prima un aggressivo programma di ricerca e sviluppo della propulsione nucleare.
La divisione NASA dedicata alle tecnologie delle missioni spaziali ha richiesto all’Accademia la formazione di un gruppo di lavoro ad hoc, con il compito di identificare le principali sfide tecnologiche e programmatiche per lo sviluppo di tecnologie di propulsione nucleare di interesse per future missioni di esplorazione umana di Marte. Il comitato, co-presieduto da Robert Braun del Jet Propulsion Laboratory e Roger Myers, ex responsabile dei programmi spaziali avanzati di Aerojet Rocketdyne, è stato anche incaricato di definire le tappe fondamentali per lo sviluppo di tali tecnologie, di stabilire un cronoprogramma di massima, nonché di delineare eventuali altri profili di missione resi possibili dallo sviluppo di tali sistemi.
Le due tecnologie esaminate dallo studio sono la Nuclear Thermal Propulsion (NTP – Propulsione Nucleare Termica) e la Nuclear Electric Propulsion (NEP – Propulsione Nucleare Elettrica), nel contesto di una missione di esplorazione di Marte, andata e ritorno, con un equipaggio di quattro persone. Lo studio si limita volutamente ad affrontare l’aspetto delle tecnologie di propulsione nucleare, e non include fattori quali la gestione e il finanziamento del programma o altri elementi, per quanto necessari a rendere una missione umana su Marte una realtà.
La missione marziana di riferimento
A partire dallo scenario delineato nel libro Das Marsprojekt di Von Braun, le interminabili discussioni sui dettagli tecnici legati all’esplorazione umana di Marte hanno riempito milioni di pagine, cartacee o virtuali. Varie agenzie spaziali hanno analizzato strategie, problematiche e tecnologie, attuali o futuribili, legate a uno dei viaggi più annunciati dell’astronautica, ma che con il passare impietoso degli anni vede la possibile data di partenza alla distanza costante di 15–20 anni.
Le ragioni di questo continuo procrastinare sono molteplici e complesse, ma possono essere ricondotte a due fattori comuni: si tratta di un’impresa molto costosa che richiede un solido commitment politico, e l’orizzonte temporale per la sua preparazione è pluridecennale, quindi il progetto deve sopravvivere per lungo tempo a tagli dei finanziamenti e imprevisti contingenti. Per quanto concerne la NASA, i cui vertici e le cui priorità sono un riflesso delle amministrazioni in carica, varie spending reviews e cambi di obiettivi hanno rivoluzionato più e più volte la declinazione pratica dell’idea di portare esseri umani su Marte.
In questo senso l’ente spaziale americano ha realizzato un documento di riferimento in costante aggiornamento, lo Human Exploration of Mars – Design Reference Architecture, pubblicato nel 2009 e arrivato oggi alla versione 5. Questo tomo digitale può essere liberamente scaricato dal sito NASA insieme alle due ([1] e [2]) addenda più aggiornate. È in questo contesto che NASA ha chiesto alla National Academy of Science di approfondire gli aspetti di una missione marziana che faccia uso di tecnologie propulsive nucleari.
L’attrattiva dei sistemi di propulsione nucleare è legata alla loro alta efficienza: confrontati con motori a propulsione chimica (quelli fino ad oggi utilizzati da razzi e sonde), quelli nucleari possono offrire prestazioni anche doppie (in termini di impulso specifico), consentendo di ridurre i tempi di viaggio o di aumentare la quantità di carico utile trasportato, a parità di massa di propellenti.
I parametri di riferimento della missione marziana utilizzati nello studio, la cosiddetta baseline mission, sono:
- lancio nel 2039;
- durata complessiva del viaggio non superiore a 750 giorni;
- tempo di permanenza sulla superficie di Marte di 30 giorni;
- equipaggio di quattro astronauti, di cui due destinati ad atterrare su Marte;
- veicoli distinti per il trasporto di carichi ed equipaggio ma utilizzanti lo stesso sistema di propulsione, con i cargo che arrivano su Marte prima della prima partenza dell’equipaggio dalla Terra;
- veicoli destinati al viaggio marziano, carico e propellenti spediti verso un “punto di raccolta” su un’orbita terrestre bassa o cislunare con l’ausilio di diversi lanciatori.
Il viaggio
Un veicolo spaziale in partenza dalla Terra verso Marte può essere lanciato con la massima efficienza solo quando i due pianeti sono allineati in modo corretto. Le opportunità di congiunzione Terra-Marte sono a 26 mesi di distanza tra loro, e hanno il vantaggio di minimizzare il lavoro (delta V o ∆V) del sistema di propulsione. Tutte le missioni robotiche inviate verso Marte fino ad oggi sono state di “lunga permanenza” (riferita al periodo trascorso sulla superficie di Marte), identificate anche come di “classe congiunzione”. Una missione può essere lanciata dalla Terra verso Marte anche con un profilo diverso, che prevede una “breve permanenza” sul pianeta rosso nota anche come una missione di “classe opposizione”, a condizione di aggiungere un flyby di Venere alla traiettoria. Le missioni di breve permanenza richiedono maggiori prestazioni al sistema di propulsione ma riducono il tempo di viaggio totale, un fattore importante quando sono in gioco la salute e la sicurezza dell’equipaggio.
Le missioni di lunga permanenza beneficiano invece dell’allineamento planetario Terra-Marte sia per il viaggio di andata che per quello di ritorno, minimizzando il ∆V totale richiesto. Questo profilo di missione vede dunque tempi di percorrenza relativamente ridotti ma lunghe permanenze presso Marte, nell’ordine di 400–600 giorni sul totale di circa 1000 della missione.
Le missioni di breve permanenza si avvantaggiano dell’allineamento planetario Terra-Marte solo in una delle due parti del viaggio. Tipicamente, una missione di questo tipo utilizza una traiettoria ottimizzata per il viaggio di andata, mentre quello di ritorno richiede più energia (∆V). In questo caso, il tempo trascorso in viaggio è più lungo se comparato alle missioni di lunga permanenza, a fronte di un periodo massimo di lavoro sulla superficie di circa 90 giorni. Il risultato netto è che le missioni di breve permanenza esporranno gli equipaggi a un periodo di lontananza dalla Terra più breve, anche se la durata precisa della missione è legata al ∆V richiesto dal viaggio di ritorno. Una specifica sottoclasse delle missioni di categoria “opposizione” può avvalersi della fionda gravitazionale di Venere.
Come scegliere dunque tra i due profili di missione? I fattori di demerito delle missioni di breve permanenza si riassumono in consumo di propellenti più elevato e minor tempo da dedicare alle attività scientifiche in superficie, e per questo sono spesso scartate negli studi di fattibilità. Ma anche le missioni di lunga permanenza non hanno solo fattori positivi. Queste ultime, infatti, prolungano l’esposizione dell’equipaggio agli ambienti ostili dello spazio profondo. Viaggi di durata maggiore, inoltre, richiedono anche veicoli spaziali che restino sicuri, funzionanti e affidabili per più tempo. Queste componenti vanno dunque ad aggiungersi al rischio complessivo della missione.
In questo video dello scienziato e divulgatore scientifico Amedeo Balbi vengono ottimamente riassunte le problematiche attuali di una missione abitata su Marte.
Secondo il rapporto dell’accademia, una missione che partisse in concomitanza con la congiunzione Terra-Marte del 2039 richiederebbe 916 giorni complessivi: 210 giorni per raggiungere Marte, 496 giorni di lavoro sulla superficie, necessari affinché i due pianeti siano di nuovo allineati correttamente, e 210 giorni per il viaggio verso casa. Una missione di classe “opposizione” potrebbe invece essere lanciata nel 2037 e durare 650 giorni: 217 giorni per il viaggio di andata, 30 giorni di lavoro in superficie e 403 giorni per il ritorno casa, sfruttando l’effetto di fionda gravitazionale di Venere.
NEP vs NTP
La Nuclear Electric Propulsion (NEP – Propulsione Nucleare Elettrica) è una tecnologia propulsiva dove l’energia termica di un reattore nucleare è convertita in energia elettrica grazie all’accoppiamento con sistemi quali, ad esempio, turbine basate sul Ciclo di Brayton-Joule. L’elettricità così generata viene utilizzata per alimentare un motore a ioni o altri tipi di propulsione elettrica. Questo sistema non va confuso con gli RTG (Radioisotope thermoelectric generator – Generatore termoelettrico a radioisotopi), dispositivi che generano energia elettrica esponendo delle termocoppie al calore sprigionato dal decadimento di elementi radioattivi. Di fatto il motore a razzo non ha nulla di nucleare in sé, in quanto utilizza semplicemente energia elettrica per generare la spinta. Il ruolo del reattore nucleare del veicolo spaziale è assimilabile a quello di una centrale nucleare qui sulla Terra: produrre energia per alimentare i vari sistemi di bordo.
La Nuclear Thermal Propulsion (NTP – Propulsione Nucleare Termica) vede invece il reattore nucleare come protagonista diretto della generazione della spinta: un fluido/propellente di qualche tipo viene fatto circolare in prossimità del nocciolo atomico, che lo surriscalda causandone l’espansione per poi essere espulso dall’ugello del motore.
Per ottenere i tempi di percorrenza previsti dalla baseline, un sistema NEP dovrebbe essere affiancato da un sistema di propulsione chimica (metano liquido e ossigeno liquido), mentre un sistema NTP sarebbe autosufficiente. Una notevole ricerca venne condotta sulla tecnologia NTP negli anni ’60 con i programmi Rover e NERVA, ma gran parte di tale esperienza è ormai obsoleta e molte problematiche di progettazione rimangono ancora irrisolte.
Lo studio analizza punti di forza e svantaggi di NEP e NTP. La sfida principale per la NEP è poterne scalare la potenza al punto da generare sufficiente elettricità da alimentare non solo il sistema propulsivo ma anche tutti gli altri sistemi di un ipotetico veicolo spaziale interplanetario. Al momento la potenza necessaria stimata supera di un ordine di grandezza le capacità dei reattori sperimentali ad oggi realizzati. Inoltre, dato che la tecnologia del motore a ioni non è adeguata alle fasi di accelerazione e decelerazione in prossimità di Terra e Marte, va studiato un sistema di propulsione chimica da affiancargli.
Per la NTP le sfide sono principalmente quattro: il riscaldamento del propellente a circa 2.700 K, lo stoccaggio a lungo termine dell’idrogeno liquido (il propellente da scaldare) nello spazio con perdite minime, il raggiungimento rapido e sicuro della piena temperatura di esercizio (entro un minuto dall’accensione o meno) e la realizzazione di adeguate strutture di prova a terra, oggi inesistenti, che contengano il rischio di inquinamento ambientale.
Per quanto concerne l’impiego di energia nucleare in ambito spaziale, a parte le sfide tecnologiche e di sicurezza, esistono anche implicazioni politiche. L’ESA, per esempio, si è sempre tenuta a debita distanza da queste tecnologie, seppure l’uso di energia atomica sia diffuso tra molti dei suoi paesi membri. Nel caso di missioni come Rosetta o la futura JUICE, per le quali l’uso di energia atomica sarebbe stata un’opzione valida, si è infatti optato per enormi pannelli fotovoltaici.
Il rapporto suggerisce la necessità di svolgere ulteriori studi per analizzare pro e contro di ciascuno dei due sistemi, oltre che a sfruttare la necessità di inviare veicoli cargo prima di quello con astronauti per testare sul campo il sistema di propulsione nucleare prescelto.
I sistemi NEP e NTP mostrano un grande potenziale per facilitare l’esplorazione umana di Marte. L’utilizzo di uno qualunque tra i due sistemi per la missione baseline entro il 2039 richiederà un programma di ricerca e sviluppo che il rapporto definisce “aggressivo”. La NASA dovrebbe, ad esempio, individuare al più presto i connotati fondamentali dell’architettura di missione e quantificare i relativi investimenti. In particolare, l’ente spaziale statunitense dovrebbe sviluppare criteri e competenze tecniche per consentire un confronto oggettivo della capacità dei sistemi NEP e NTP di soddisfare i requisiti della missione baseline.
Uranio, un elemento che scotta
Quando si parla di reattori nucleari a uso spaziale, indipendentemente dalla natura del sistema prescelto, si deve affrontare il nodo della produzione e del lancio nello spazio di ragguardevoli quantità di uranio. Le preoccupazioni politiche internazionali riguardanti la produzione di uranio altamente arricchito (HEU – Higly Enriched Uranium, un materiale non adatto per ordigni nucleari ma che potrebbe essere usato per costruire una “bomba sporca”) hanno spinto gli Stati Uniti a raccomandare l’impiego di uranio HALEU (High-assay Low Enriched Uranium, uranio ad alto dosaggio e basso arricchimento). L’HEU è arricchito con uranio 235 oltre il 20%, contro l’1% di quello in natura. L’HALEU è invece arricchito tra il 5 e il 20 percento. La Space Policy Directive-6 (SPD-6) promulgata dall’amministrazione Trump nel dicembre 2020 esprime un forte supporto a sistemi di propulsione spaziale basati su HALEU, affermando che l’uranio HEU dovrebbe essere utilizzato solo quando indispensabile per la praticabilità di una determinata missione.
Il rapporto dell’accademia non si sbilancia in merito, affermando che al momento non vi siano informazioni sufficienti per prendere una decisione rispetto a quale, tra HEU e HALEU, sia la scelta più adeguata per le missioni marziane. Per questo gli autori chiedono alla NASA e al Dipartimento dell’Energia di «condurre una valutazione completa e rapida» entro la fine del 2021, se l’obiettivo è davvero di essere pronti a lanciare nel 2039.
Dove trovare i fondi?
Il Congresso degli Stati Uniti ha accantonato notevoli somme di denaro negli ultimi anni per lo sviluppo di NTP. Il disegno di legge di bilancio per l’anno fiscale 2021, ad esempio, stanzia 110 milioni di dollari per NTP, vincolandone non meno di 80 milioni alla progettazione di esemplari di prova per consentire una dimostrazione in volo. Di fatto si tratta di un passo indietro rispetto all’anno fiscale 2020, in quanto la cifra totale stanziata è identica e non compensa le perdite dovute all’inflazione.
La sottile differenza, vantaggiosa rispetto allo scorso anno, è che la nuova legge di bilancio non impone più di includere negli 80 milioni la dimostrazione in volo (e quindi i costi di lancio), ma solo la progettazione di esemplari di prova. Questo significa che il grosso del tesoretto, se la bozza sarà approvata senza cambiamenti, potrà essere speso totalmente per la realizzazione di prototipi.
Con tante ambizioni (il ritorno alla Luna e il Gateway, tra tutte) e relativamente pochi fondi per concretizzarle, resta da vedere come NASA integrerà le raccomandazioni della National Academy of Science nel suo bilancio, e quante di queste sarà possibile realizzare nelle stringenti tempistiche delineate dal rapporto.
Un balzo negli anni ’60
In chiusura proponiamo ai nostri lettori un balzo negli anni ’60, un’epoca pionieristica dove il contesto storico e sociale consentiva esperimenti come quelli del progetto NERVA, uno studio sulle tecnologie NTP. Durante le accensioni di questi motori, spaventosi e magnifici al tempo stesso, la potenza della fissione nucleare veniva scatenata in appositi siti sperimentali nel deserto, creando veri e propri geyser artificiali di… idrogeno condito da residui di materiali radioattivi. È in sella a un moderno successore di questo nuovo dono di Prometeo che potremmo vedere degli astronauti cavalcare verso Marte entro un paio di decenni.
Fonti
Approfondimenti
- Human Exploration of Mars Design Reference Architecture 5.0
- Human Exploration of Mars Design Reference Architecture 5.0 – Addendum
- Human Exploration of Mars Design Reference Architecture 5.0 – Addendum #2
- STMD Space Nuclear Technologies Portfolio, September 1, 2020
- High-Assay Low Enriched Uranium (HALEU)
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