Site icon AstronautiNEWS

Propulsione elettrica per ottimizzare le missioni a lungo termine

Propulsione elettrica: PPE (Power and Propulsion Element) per il Lunar Gateway. Credits: NASA

I sistemi di propulsione che fino a oggi hanno consentito il lancio di grandi vettori, come il Saturn V delle missioni Apollo, sono in grado di erogare spinte potenti e spettacolari generate dalla combustione di un cospicuo quantitativo di propellente. Nell’immaginario comune i lanci spaziali sono quindi parecchio rumorosi e pirotecnici.

Queste modalità di propulsione richiedono ovviamente un notevole sforzo economico e, per quanto così scenografiche, impongono molte limitazioni all’operatività una volta raggiunta l’orbita.

Oggigiorno, all’alba di una nuova era dell’esplorazione spaziale, si sta riflettendo sui futuri metodi di propulsione e sull’efficienza di tali sistemi nel corso di missioni di lunga durata.

Già impiegata per piccoli satelliti o sonde, la propulsione elettrica appare un’alternativa concreta e conveniente alla propulsione chimica. Essa consente infatti di risparmiare una notevole quantità di carburante (fino al 90%) e di incrementare le possibilità operative in orbita, sia planetaria sia interplanetaria.

Confronto tra il metodo chimico e il metodo elettrico

La propulsione chimica consiste essenzialmente nella combustione di uno o più propellenti e nella successiva espulsione degli stessi, generando così una reazione uguale e contraria alla direzione di fuoriuscita. Per consentire tale processo è ovviamente necessario procedere allo stivaggio di carburante e comburente (agente ossidante). Il problema essenziale riguarda la grande quantità di propellenti da caricare a bordo e le difficoltà che si riscontrano, una volta esaurite le fonti di combustione, nel modificare i parametri essenziali del moto, ovvero posizione, velocità e accelerazione del mezzo. La fase iniziale di spinta si esaurisce abbastanza rapidamente con un enorme quantitativo di energia consumata e vincolando il mezzo di trasporto a una traiettoria specifica e non modificabile.

Uno dei principali vantaggi della propulsione elettrica è invece proprio la riduzione della necessità di accumulo del carburante, poiché per generare la spinta viene impiegata energia solare o nucleare. Questa energia viene successivamente convertita e utilizzata per ionizzare, quindi caricare positivamente, il propellente. L’applicazione di un campo elettrostatico o elettromagnetico nella direzione dell’accelerazione consente di espellere gli ioni dal propulsore generando la spinta e raggiungendo velocità elevatissime.

Diagramma di funzionamento di un sistema a propulsione elettrica. Credits: NASA

Un parametro essenziale per comprendere l’incremento di velocità è il cosiddetto Impulso Specifico del motore (ISP), direttamente proporzionale alla variazione di velocità. L’ISP assume valori dell’ordine di 450 s nel caso di propulsione chimica a ossigeno e idrogeno liquidi, mentre raggiunge oltre 3.000 s nel caso di propulsione elettrica a ioni.

La velocità massima è di gran lunga maggiore rispetto a quella possibile con la propulsione chimica, seppure il valore della spinta risulti generalmente molto più basso di qualche ordine di grandezza. Ciò ha una conseguenza molto importante: bassi valori della spinta impediscono l’impiego della propulsione elettrica per le cosiddette manovre impulsive, ovvero istantanee. In altre parole, l’incremento di velocità avviene in tempi maggiori.

Ad ogni modo la propulsione elettrica consente di accelerare per tempi molto lunghi, nell’ordine di mesi o anni, permettendo inoltre rallentamenti e cambi della direzione del moto.

Un noto esempio di impiego di propulsione elettrica è stata la missione “Dawn” (lancio avvenuto nel 2007), durante la quale è stata inviata una sonda nell’orbita di Cerere e Vesta. Si rammenta inoltre la missione SMART-1 dell’Agenzia Spaziale Europea, finalizzata alla sperimentazione di nuove tecnologie spaziali e allo studio della Luna e della sua formazione, nella quale è stata lanciata una sonda dotata di un propulsore elettrico ionico alimentato da pannelli solari.

Ecco un interessante video illustrativo.

Potenza necessaria

I propulsori attualmente impiegati nell’industria spaziale hanno una potenza dell’ordine di 1–10 kW (chilowatt). Per le future missioni a lungo termine (ne è un esempio il Lunar Gateway) sono in fase di sviluppo propulsori con potenze maggiori di 60 kW, come il Power and Propulsion Element (PPE) che consentirà orbite lunari ed esplorazione della superficie per anni.

Questi sistemi rappresentano oggi il primo passo per l’esplorazione umana interplanetaria. Per un’eventuale missione umana su Marte di andata e ritorno si stima oggi la necessità di un veicolo con potenze comprese tra 400 kW e 2 MW (megawatt).

È probabile, per quanto sopra presentato, che per i futuri sistemi di propulsione si adotti una tipologia ibrida. Tecnologie che combinano propulsione chimica ed elettrica o propulsione termonucleare sono attualmente in fase di sviluppo e apriranno presto le porte ad una nuova era dell’esplorazione spaziale.

Riferimenti:

  Questo articolo è © 2006-2024 dell'Associazione ISAA, ove non diversamente indicato. Vedi le condizioni di licenza. La nostra licenza non si applica agli eventuali contenuti di terze parti presenti in questo articolo, che rimangono soggetti alle condizioni del rispettivo detentore dei diritti.

Commenti

Discutiamone su ForumAstronautico.it
Exit mobile version