Continua l’impegno da parte dell’organizzazione non profit Initiative for Interstellar Studies (i4is), per promuovere all’interno della comunità scientifica una missione robotica che indaghi da vicino il famoso oggetto interstellare 1I/’Oumuamua, il primo asteroide proveniente dallo spazio esterno a essere rilevato mentre transita nel sistema solare e attualmente in allontanamento alla velocità di circa 29 km/s.
Nell’autunno 2017 la notizia fece davvero scalpore, un oggetto roteante oblungo di dimensioni comprese tra i 100 e 1000 m di lunghezza e velocità di 26,33 km/s (94.800 km/h) all’infinito (v∞), cioè relativa al Sole viaggiando nello spazio interstellare, venne scoperto all’interno del sistema solare, tra l’orbita terrestre e quella marziana, già in allontanamento dalla nostra stella.
ʻOumuamua era entrato indisturbato nel sistema solare arrivando da nord rispetto all’eclittica, il piano su cui più o meno tutti i pianeti orbitano intorno al Sole e grazie all’attrazione gravitazionale della nostra stella accelerò fino ad arrivare a 87,71 km/s (315,800 km/h) il 9 settembre 2017, quando passò a soli 38 milioni di chilometri dal Sole, più interno dell’orbita di Mercurio.
Ancora non individuato da Terra, quel giorno iniziò la fase di allontanamento che lo portò a transitare a 24 milioni di chilometri da noi il 14 ottobre, e venne finalmente individuato 5 giorni dopo da Robert Weryk dell’Haleakala Observatory alle Hawaii. Superò l’orbita di Marte il 1º novembre, quella di Giove nel maggio 2018 e quella di Saturno nel gennaio 2019.
Attualmente ʻOumuamua si trova proprio tra l’orbita di Saturno e quella di Urano, sempre a nord dell’eclittica puntando verso la costellazione di Pegaso, rallentando sempre più fino a tornare alla sua v∞ di 26 km/s quando sarà libero dall’attrazione del Sole a metà dei prossimi anni ’30.
Il 30 ottobre 2017, quindi solo dieci giorni dopo la scoperta di ʻOumuamua, nacque il progetto Lyra, che prende il nome dalla costellazione della Lira che segnava la direzione da cui è arrivato ʻOumuamua, ma che non coincide necessariamente con la sua origine, che naturalmente rimane ancora ignota. Obiettivo del progetto è di valutare la fattibilità di una missione esplorativa, utilizzando tecnologie attuali o di sviluppo a brevissimo termine, che possa effettuare un passaggio ravvicinato (fly-by) o incontro (rendezvous) con ʻOumuamua.
L’8 novembre successivo, dopo alcuni giorni di intenso lavoro, il team di i4is pubblicò alcuni risultati preliminari sulla fattibilità della missione, mentre una versione rivista e più accurata venne accettata e pubblicata nel gennaio 2019 sulla prestigiosa rivista scientifica Acta Astronautica.
In questa seconda pubblicazione si dimostrava l’esattezza dei primi risultati, indirizzando lo studio sull’utilizzo di lanciatori quali il Falcon Heavy (FH) di SpaceX e il NASA Space Launch System (SLS), propulsori a propellente solido per le manovre orbitali e lo scudo termico derivato dalla sonda NASA Parker Solar Probe. La data di lancio prevista per il 2021 era alquanto ravvicinata, se si considera una media tra i 5 e 10 anni per lo sviluppo e realizzazione di una sonda, ma lo studio servì a tenere alto l’interesse verso la missione.
Il team ha continuato a perfezionare la propria ricerca e nel maggio 2019 ha sottoposto ad Acta Astronautica una terza pubblicazione. Nei mesi di attesa necessari ai revisori per verificarne l’eleggibilità alla pubblicazione, avvenne la scoperta di un secondo oggetto interstellare che riportò alta l’attenzione sull’argomento.
La cometa interstellare 2I/Borisov, scoperta il 30 agosto di quell’anno dall’astronomo dilettante Gennadij Borisov dal suo piccolo osservatorio casalingo in Crimea, entrò nel sistema solare dalla direzione di Cassiopea, con una traiettoria iperbolica e v∞ di 32 km/s, raggiunse il perielio l’8 dicembre passando tra l’orbita di Marte e quella di Giove ed è attualmente diretta verso la costellazione del Telescopio.
Acta Astronautica ha quindi pubblicato il terzo studio del team i4is nel febbraio di quest’anno, uno studio che analizza varie tipologie di missione a partire dal 2022 e proseguendo nelle decadi successive, permettendo quindi tempi regolari di sviluppo e realizzazione della sonda.
Nel giro di due anni sono quindi stati scoperti due oggetti che rappresentano i due campioni macroscopici di materia interstellare più vicini a noi, la cui esplorazione in loco avrebbe un ritorno di inestimabile importanza scientifica.
La missione in oggetto riguarda il lancio dalla Terra di una sonda robotica che dovrà essere accelerata fino alla velocità di fuga dal sistema solare, abbandonando il piano dell’eclittica per mettersi all’inseguimento di ʻOumuamua, che intanto si sta allontanando a 26 km/s. Per fare questo è sconsigliabile una traiettoria diretta dalla Terra che utilizzi la sola spinta dei propulsori del vettore di lancio, ma è preferibile utilizzare alcuni pianeti per ottenere l’effetto fionda gravitazionale (gravity assist) che, grazie alla grande differenza tra la loro massa e quella della sonda, riescono a imprimere a quest’ultima grandi accelerazioni quasi gratuite. Per sfruttare al massimo questo effetto gravitazionale si possono infilare molteplici gravity assist in serie con diversi pianeti, acquistando ogni volta sempre più velocità. E se infine, dopo i gravity assist con i pianeti, si sceglie di farne uno con il corpo più grande del sistema solare, il Sole, allora sono necessarie tutte le precauzioni del caso come il dotare la sonda di un efficace scudo termico.
Per determinare le traiettorie adeguate, utilizzando lanciatori già in uso (FH dal 2018) o di prossima entrata in servizio (SLS nel 2021), il team di i4is è dovuto scendere a compromessi riguardo alla massa della sonda, la durata massima della missione e la massima differenza di velocità (∆V) totale ottenibile utilizzando la propulsione e i gravity assist.
Per questo si è scelto come ottimale un ∆V totale di 18,3 km/s e una durata massima della missione di 30 anni, permettendo quindi ai giovani scienziati che hanno proposto la missione di essere ancora attivi alla fine della stessa.
Come già detto lo studio ha considerato il Falcon Heavy di SpaceX e il NASA SLS come ipotetici lanciatori per la missione e, per semplicità e risparmiare peso, l’utilizzo di propellenti solidi per le Deep Space Maneuver (DSM) le manovre orbitali necessarie a ottimizzare i gravity assist. Il FH sarebbe in grado di far arrivare in prossimità di ‘Oumuamua una sonda di 37 kg, mentre il più potente SLS ben 122 kg.
Traiettorie verso ʻOumuamua
Questa sequenza di gravity assist da il nome alla migliore traiettoria individuata per la missione, che infatti richiederebbe un ∆V totale di soli 15,3 km/s, risparmiando quindi sul peso dei propellenti imbarcati. Il lancio dovrebbe avvenire il 9 giugno 2030 e, dopo la serie di assist gravitazionali indicata, permetterebbe di far giungere la sonda in prossimità di ʻOumuamua il 29 luglio 2052.
Il passaggio vicino a Giove, più che fornire ulteriore velocità, permetterebbe alla sonda di cambiare il piano orbitale e dirigersi verso il Sole con una traiettoria fuori dall’eclittica, mentre il passaggio vicino al Sole, dove la sonda acquisterebbe la spinta finale con ∆V=7,2 km/s, avverrebbe alla distanza di 6 raggi solari (un SR equivale a 695.700 km). A titolo di esempio il passaggio più ravvicinato al Sole che la sonda Parker Solar Probe effettuerà nel 2025 sarà di quasi 10 SR. Inoltre, per ottimizzare l’effetto fionda gravitazionale del Sole, la sonda utilizzerebbe la Manovra di Oberth, proposta nel 1927 dal fisico austro-ungarico Hermann Oberth, che prevede l’accensione del propulsore della sonda nel momento di massima velocità durante il passaggio al perielio, il punto più vicino al Sole.
Un’altra traiettoria molto efficiente, con ∆V totale di 16,4 km/s, seguirebbe questa sequenza di gravity assist, Terra–Terra–Giove–DSM–Giove–ʻOumuamua, quindi con due passaggi del nostro pianeta e due di Giove.
Oltre al basso ∆V totale, questa traiettoria non prevede il passaggio vicino al Sole, quindi con un notevole risparmio di peso dovuto all’assenza dello scudo termico. Purtroppo però la data di lancio sarebbe il 22 agosto 2023, che lascerebbe solo 3 anni da ora per lo sviluppo della sonda. L’arrivo a ʻOumuamua sarebbe previsto per l’agosto 2051.
Sicuramente più semplice e promettente sarebbe la traiettoria Terra–Giove–Sole–ʻOumuamua, con ∆V totale di 18,2 km/s, lancio l’8 maggio 2033 e arrivo il 9 dicembre 2052.
Sono state calcolate numerose traiettorie, con date di lancio nel 2024, 2027, 2028, 2031 e fino al 2057 ma sicuramente una delle più complesse, che riportiamo a titolo di esempio anche se il lancio dovrebbe avvenire tra due anni, il 31 maggio 2022, è la traiettoria Terra–Terra–Venere–Terra–Marte–Terra–Giove–DSM–Giove–ʻOumuamua.
Come si vede, oltre ai 4 passaggi con il nostro pianeta e i due con Giove, questa traiettoria prevede il passaggio con Venere e Marte, soluzione interessante perché consente un ∆V totale di 18,9 km/s, ma purtroppo inattuabile in soli due anni.
Una caratteristica comune a tutte le missioni proposte è il fatto che la sonda dovrà essere lanciata alla cieca, senza quindi nessuna recente osservazione dell’obbiettivo da raggiungere a causa della sua bassa riflettività della luce solare, ~22,1 di magnitudine assoluta a 100 unità astronomiche dal Sole. La sonda dovrà quindi essere equipaggiata con sistemi ottici di rilevazione molto sensibili per individuare ʻOumuamua almeno a partire da 1,5 milioni di chilometri.
Ritorno scientifico
Il ritorno scientifico di una missione verso un oggetto interstellare, come già detto, sarebbe enorme e, nel caso di contatto diretto con la superficie utilizzando per esempio una sonda secondaria, inestimabile. Date le limitazioni sulla massa totale della sonda, un lander secondario come nel caso di Philae con Rosetta, è decisamente da escludere, ma un “impactor”, cioè un proiettile impattatore come nel caso della sonda Deep Impact, potrebbe essere la soluzione al problema.
L’impattatore dovrà però colpire la superficie di ʻOumuamua a una velocità superiore a 15 km/s (54.000 km/h), scaldando istantaneamente l’area colpita a temperature nell’ordine di milioni di gradi centigradi, producendo quindi plasma ionizzato che emetterà radiazioni ultraviolette con lunghezze d’onda comprese tra 10 e 120 nm. La sonda madre, analizzando la radiazione emessa, sarà quindi in grado di determinare la composizione chimico-fisica della superficie colpita.
Il prossimo impegno del team i4is vedrà lo studio concettuale del design della sonda, compresa la suite di strumenti scientifici che dovrà trasportare.
Una curiosità per gli smanettoni: le traiettorie sono state calcolate utilizzato il software “Optimum Interplanetary Trajectory Software” (OITS), sviluppato da Adam Hibberd, membro di i4is e disponibile gratuitamente sui repository di Github.
Fonte e image credits: Hibberd, Hein, Eubanks, Initiative for Interstellar Studies.