Il Chandra X-ray Observatory alla ricerca degli assioni
Un team internazionale di astronomi e fisici, grazie ai dati ottenuti dall’osservazione di un ammasso di galassie tramite il telescopio spaziale Chandra X-ray Observatory, ha recentemente pubblicato uno studio sugli assioni, particelle elementari prive di carica elettrica, con massa molto piccola (tendente allo zero) e probabilmente la capacità di convertirsi in fotoni e viceversa.
Uno dei più grandi sogni della fisica è sicuramente la ricerca di una teoria in cui tutte le forze conosciute, particelle e interazioni fondamentali della natura funzionino coerentemente su qualsiasi scala, superando e unificando quindi la Relatività Generale che si occupa della macro scala (stelle, galassie, ammassi stellari ecc.) e il Modello Standard che si occupa della micro scala (molecole, atomi, particelle, sotto particelle ecc.).
Questa teoria dagli anni ’70 è nota con il nome di Teoria del Tutto (ToE, dall’inglese Theory of Everything) e la Teoria delle Stringhe è attualmente la miglior teoria matematica che abbiamo per descrivere la gravità in modo quantistico e quindi avere una teoria che possa descrivere tutte e quattro le forze fondamentali della natura.
Naturalmente la possibilità di effettuare test sperimentali, vista la scala dimensionale così ampia, è molto ridotta, ma un piccolo tentativo è stato compiuto recentemente grazie al grande telescopio NASA Chandra X-ray Observatory che, tra il 24 ottobre 2017 e il 5 dicembre successivo, ha osservato il nucleo della galassia NGC 1275 al centro dell’Ammasso di Perseo.
Gli ammassi galattici sono le più grandi strutture dell’universo tenute insieme dalla gravità, una delle quattro forze fondamentali, e proprio nel nucleo di uno di essi il team è andato alla ricerca degli assioni, particelle sfuggevoli e non ancora individuate, previste in molti modelli della Teoria delle Stringhe.
Purtroppo questa volta gli assioni non sono stati individuati ma questo non è in contraddizione con la teoria che li prevede.
Se dovessero essere scoperti, gli assioni cambierebbero la fisica per sempre.
Christopher Reynolds, Università di Cambridge (GB), principale autore dello studio.
Il telescopio Chandra X-ray Observatory
Portato in orbita nel luglio 1999 dallo Shuttle Columbia durante la missione STS-93, il telescopio Chandra è stato successivamente posto in un’orbita geocentrica fortemente ellittica di circa 14.000 × 134.000 km che, ancora oggi, gli consente osservazioni di 55 ore consecutive rispetto alle 65 del periodo orbitale.
Con i suoi 11,8 metri di lunghezza al lancio e quasi 6 tonnellate di peso, a cui vanno aggiunte altre 16 tonnellate dell’Inertial Upper Stage a due stadi che lo ha portato nell’orbita operativa dopo il rilascio dal Columbia, il telescopio Chandra detiene il primato per il carico utile più pesante mai rilasciato da uno Shuttle.
Il telescopio vero e proprio è di tipo Wolter, con una focale di 10 metri e diametro di 1,2 e opera su lunghezze d’onda comprese tra gli 0,12 e 12 nm (0,1–10 keV) con risoluzione di 0,5 arcosecondi.
Le osservazioni sono state effettuate tramite lo strumento High Energy Transmission Gratings Spectrometer (HETGS), passando quindi i segnali in uscita nell’Advanced CCD Imaging Spectrometer (ACIS), modificando alcuni parametri rispetto alle precedenti osservazioni. Il range di lavoro di HETGS varia tra 0,4 e 10 keV, con una risoluzione spettrale di 60–1000. I risultati ottenuti sono quattro volte più sensibili rispetto alla migliore delle passate ricerche effettuate da altri team, utilizzando sempre il telescopio Chandra ma puntando al buco nero della galassia M87 Virgo A.
Considerando la massa delle particelle ricercate, i risultati ottenuti sono fino a cento volte più dettagliati rispetto a quelli effettuabili nei laboratori sulla Terra.
Tra i maggiori risultati ottenuti dal telescopio in questi primi 21 anni di servizio ricordiamo:
- immagini ai raggi X dell’onda d’urto di una supernova (SN 1987A);
- immagini di una piccola galassia cannibalizzata da una più grande (Perseo A);
- scoperta della classe media di buchi neri (nella galassia M82);
- osservazioni di onde sonore intorno al buco nero supermassiccio dell’Ammasso di Perseo;
- osservazioni di emissioni a raggi X da materia di un disco protoplanetario che cade in una stella;
- ulteriore affinamento nella misurazione della costante di Hubble;
- conferma dell’esistenza della materia oscura;
- scoperta che le emissioni a raggi X di Giove provengono dai poli;
- scoperta di una grande aureola di gas caldi che circondano la Via Lattea;
- registrazione della più forte emissione a raggi X mai osservata, proveniente dal Sagittarius A, il buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea;
- scoperta di emissioni a raggi X da Plutone.
NGC 1275
La galassia NGC 1275, oggetto dello studio, si trova a 235 milioni di anni luce dalla Terra ed è stata scelta per il nucleo molto attivo nell’emissione di onde radio, in particolare l’attenzione è stata posta sulle emissioni a raggi X della materia che cade all’interno del buco nero supermassiccio che si trova al centro della galassia.
Assioni
Per approfondire l’argomento abbiamo contattato direttamente il Prof. Francesco Tombesi, del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “Tor Vergata” e membro del team che ha condotto la ricerca.
«Gli assioni, o particelle simili agli assioni (in inglese, axion-like particles), sono delle ipotetiche particelle fondamentali che dovrebbero esistere per poter dimostrare la validità del Modello Standard e sono predette dalla Teoria delle Stringhe», ci spiega il Prof. Tombesi. «Però non sono state ancora osservate, forse perché non esistono o forse perché sono molto difficili da trovare per la loro piccolissima massa e bassissima interazione.»
Secondo quanto ipotizzato, queste sfuggevoli particelle sono prive di carica elettrica, hanno una massa compresa tra un milionesimo di quella di un elettrone e zero e, in presenza di forti campi magnetici si suppone che possano convertirsi in fotoni (pacchetti di luce) e viceversa. Data la loro scarsa interazione con le altre particelle risultano praticamente invisibili alle rilevazioni strumentali, ma proprio la convertibilità in fotoni potrebbe essere il metodo da seguire per rilevarne la presenza.
«La probabilità con cui questo accade dipende dall’accoppiamento intrinseco tra assioni e fotoni, che è un parametro libero della teoria», prosegue il Prof. Tombesi. «Sappiamo però che la probabilità di osservare questi eventi dovrebbe aumentare all’aumentare dell’intensità del campo magnetico, all’aumentare della lunghezza dello spazio di interazione e dipende anche dall’energia dei fotoni. Gli esperimenti di laboratorio che cercano di osservare gli assioni usano proprio questa loro proprietà».
Sfruttando la trasparenza ai raggi X dello spazio compreso tra gli ammassi galattici, lo studio puntava a rilevare i fotoni creati nella conversione degli assioni che, passando attraverso i campi magnetici del mezzo intergalattico circostante il nucleo di NGC 1275, creerebbero delle distorsioni nello spettro dei raggi X.
«Può sembrare strano il fatto di cercare queste piccolissime particelle in strutture giganti come gli ammassi galattici, ma in realtà quello è davvero il miglior posto dove cercarle», ha affermato David Marsh dell’Università di Stoccolma, anch’esso membro del team. «Gli ammassi galattici contengono forti campi magnetici su distanze gigantesche e, come nel nostro caso, sono fonti fortissime di raggi X. Queste due proprietà aumentano notevolmente le possibilità di conversione degli assioni in fotoni e viceversa e quindi la possibilità di rilevarne la presenza».
Studiando lo spettro libero da interferenze e a diversi livelli di energia delle emissioni a raggi X provenienti da NGC 1275, il team di ricerca si aspettava di vedere delle distorsioni causate dagli assioni, ma questo non è avvenuto. Come avviene da sempre nella ricerca scientifica l’assenza di un indizio non nega un’ipotesi ma ne crea altre, indirizzando gli studi in diverse direzioni non considerate inizialmente. In questo caso i dati ottenuti indicano che gli assioni potrebbero avere un valore di convertibilità in fotoni minore del limite inferiore della capacità degli strumenti o avere una massa maggiore rispetto a quanto ipotizzato.
«Il nostro, come tutti gli studi passati, per ora non ha consentito di osservare gli assioni, ma abbiamo potuto dare dei limiti molto stringenti alla loro massa e al loro accoppiamento con i fotoni», ci spiega Tombesi. «Questi limiti sono già sufficienti per delimitare molto lo spazio dei parametri della teoria delle stringhe e quindi in futuro potremo avere una dimostrazione o confutazione della teoria stessa».
Infine abbiamo chiesto a Tombesi quale sarà il loro prossimo passo e quanto è difficile riuscire ad avere tempi di osservazione con il telescopio Chandra.
«Il prossimo passo, che stiamo intraprendendo proprio in questi giorni, è di richiedere delle osservazioni nei raggi X con il satellite Chandra di un altro nucleo galattico attivo che si trova nel centro di un altro ammasso di galassie, che ci consentirà di aumentare in modo drastico la qualità dei dati e quindi i limiti, o la possibile osservazione, degli assioni. Ogni anno la NASA indice un bando internazionale per fare proposte osservative con il satellite Chandra, il 2 Aprile 2020 scadrà quella del 2020. Gli scienziati che vogliono richiedere una osservazione devono scrivere un report scientifico molto dettagliato, che poi verrà vagliato da una commissione di esperti indipendenti. È molto difficile poter avere una osservazione, solo circa il 5-10% delle proposte viene approvato.»
Secondo alcune ipotesi gli assioni potrebbero essere importanti per spiegare il mistero della materia oscura, che come ormai è noto comprende la maggior parte della materia dell’universo.
Una curiosità: il nome inglese Axion, proposto per la prima volta alla fine degli anni ’70 dai fisici statunitensi Weinber e Wilczek, prende goliardicamente il nome da un detersivo degli anni ’50 ancora oggi in uso.
Oltre ai già citati Francesco Tombesi, Christopher Reynolds e David Marsh, hanno collaborato alla ricerca anche Helen R. Russel dell’Università di Nottingham, Andrew C. Fabian dell’Università di Cambridge, Robyn Smith dell’Università del Maryland e Sylvain Veilleux dell’Università del Maryland.
Lo studio è stato pubblicato sul numero di febbraio 2020 dell’Astrophysical Journal è disponibile a questo indirizzo.
Fonte: Astrophysical Journal, NASA.
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