Erano gli inizi degli anni Settanta quando la comunità astronomica si rendeva conto della sensazione generale di miopia che provava osservando l’universo. Era come scrutare la città di notte dietro un vetro oscurato. L’atmosfera della Terra, che protegge la vita dai pericoli dello spazio, invisibile all’occhio umano, oscura i raggi luminosi al di fuori dello spettro visibile. Cosa si nascondeva lì dietro? C’era qualcosa di importante che andava analizzato? Valeva la pena finanziare una missione spaziale importante per sbirciare dietro le quinte? Difficile dirlo a quei tempi, e difficile convincere uno stanziamento di fondi così importante per una missione che avrebbe potuto essere solamente un buco nell’acqua.
Astronomia all’infrarosso
Come è ormai prassi fare per le missioni più costose, si è deciso di provare un precursore. Una missione relativamente economica, che è costata ai cittadini statunitensi soltanto 80 milioni di dollari delle loro tasse. Si trattava di IRAS, Infrared Astronomical Satellite, un satellite di circa 1000 kg, che aveva per strumento principale un telescopio di tipo Ritchey-Chrétien di medie dimensioni, 57 cm di diametro e 545 cm di distanza focale, con il compito di osservare lo spazio nello spettro dell’infrarosso. Una nota a margine, questo telescopio è stato nelle prime pagine delle riviste astronautiche specializzate nelle ultime settimane per il grosso rischio di impatto con GGSE-4, un altro satellite statunitense che ha sfiorato IRAS il 30 gennaio 2020, passando a solo poche decine di metri di distanza a più 50.000 km/h di velocità. Un urto avrebbe causato seri danni a tutte le attività astronautiche per i prossimi decenni a causa dei detriti che sarebbero stati sparsi dall’impatto. Tornando in tema, il 25 gennaio del 1983 è stato lanciato IRAS, in orbita attorno alla Terra a circa 900 km di quota. Il telescopio ha mappato il 96% della volta celeste nello spettro dell’infrarosso, facendo rilevazioni incredibili. Ha scoperto 350.000 nuovi oggetti, invisibili dalla Terra, molti dei quali devono essere ancora catalogati per sapere di cosa si tratta.
Tralasciando i dettagli delle scoperte di IRAS, la comunità scientifica si è dimostrata entusiasta, tanto che si sono moltiplicate le proposte di nuove missioni spaziali all’infrarosso. Quella immediatamente successiva è stata IRT, Infrared telescope, nel 1985. Si trattava in realtà solamente di uno strumento a bordo dello Space Shuttle Challenger, nella missione STS-51-F, un telescopio a infrarossi di 15,2 cm di apertura. Lo strumento ha dato problemi durante la missione, probabilmente a causa del riscaldamento dello Shuttle, la cui emissione radiativa, dovuta al calore della navetta stessa, interferiva con la cattura dei dati scientifici, ma i risultati sono stati comunque soddisfacenti.
In generale, è il tipo di spettro scelto che causa problemi all’osservazione, in quanto ogni oggetto caldo, anche se risulta scuro ai nostri occhi, emana luce a frequenze più basse e a volte con un’intensità tale che potrebbe accecare l’obiettivo. Sia IRAS che IRT erano dotati di un sistema di raffreddamento a elio per mitigare questo problema. In particolare l’impianto di IRAS funzionava a elio superfluido a 2 kelvin, cioè circa –271 °C, 2 gradi sopra lo zero assoluto. Seguì un’altra missione da parte dell’ESA con Infrared Space Observatory, 1995, anch’esso un telescopio Ritchey-Chrétien in orbita terrestre con 60 cm di diametro e un sistema di raffreddamento a elio a 1,7 kelvin di temperatura.
Il telescopio Spitzer
Ma la regina di tutte le missioni spaziali dell’osservazione nell’infrarosso è stata sicuramente Spitzer. Si trattava di un telescopio spaziale, SST, Spitzer Space Telescope, di manifattura simile ai precedenti, superfreddo, di tipo Ritchey-Chrétien, 85 cm di diametro, 10,2 metri di distanza focale. La vera novità consisteva nel posizionamento per effettuare le osservazioni, lontano da qualunque fonte di irraggiamento termico, e quindi anche lontano dalla Terra. Spitzer infatti è stato mandato fuori dall’orbita terrestre per evitare la radiazione infrarossa emessa dal nostro pianeta, che è una sorgente a infrarossi di potenza notevole se paragonata alla precisione delle osservazioni richieste. I motivi principali sono quindi due: per avere misure più precise e per prolungare la durata del sistema di raffreddamento.
Il telescopio spaziale a infrarossi Spitzer è partito da Cape Canaveral il 25 agosto del 2003 a bordo di un razzo Delta II, ormai non più in uso. Già dalla fine di quell’anno ha iniziato a fornire immagini indubbiamente spettacolari, ma anche utilissime per la scienza. Immagini che sarebbero state impossibili da ottenere da un telescopio di un osservatorio terrestre, e difficilmente ottenibili dai predecessori di Spitzer in orbita terrestre. Tecnicamente si può dire che sia riuscito a vedere anche un esopianeta nel corso della sua carriera; di fatto è riuscito a catturare luce da due pianeti giganti gioviani caldi, HD 209458 b e TrES-1b, ma non è riuscito a risolvere l’immagine. Un po’ come cogliere il bagliore sfocato dei fari di un auto che sfreccia in una notte di pioggia intensa.
Il telescopio era programmato per durare un minimo di 2 anni e mezzo, ma le aspettative sono state abbondantemente superate. La fase principale della missione è durata fino al 2009, quando è evaporato tutto l’elio liquido che aveva a disposizione. La temperatura non si è alzata di molto, l’elio bolle a soli 4,24 kelvin (–268,91 °C), e finito l’effetto del super-raffreddamento, il telescopio si è stabilizzato a una temperature di 30 kelvin, troppo caldo per far funzionare gli strumenti per cui era stato progettato (IRS, Infrared Spectrograph, e MIPS, Multiband Imaging Photometer for Spitzer), ma abbastanza freddo per continuare molte importanti osservazioni con lo strumento IRAC, Infrared Array Camera, più tollerante alle “alte” temperature. Questa fase della missione, dal 2009 al 2020, è stata definita Spitzer Warm Mission, anche se tutto si svolgeva a –243 °C.
Difficoltà di comunicazione
L’orbita di Spitzer è eliocentrica, gira attorno al Sole con un periodo di circa 373 giorni, leggermente superiore a quello della Terra. Di conseguenza, il satellite si allontana piano piano dal nostro pianeta, pur rimanendo in una traiettoria attorno al Sole del tutto simile. Le prime fasi della missione sono state relativamente facili per quanto riguardava le comunicazioni tra satellite e centro di controllo, anche se richiedevano l’uso del Deep Space Network, il satellite non doveva fare grossi cambi d’assetto per orientare le antenne verso casa. Man mano che passavano gli anni, la distanza angolare relativa al Sole tra Spitzer e la Terra aumentava e diventava difficile per SST orientare i pannelli solari verso il Sole, l’antenna verso la Terra e l’obiettivo verso il punto di osservazione. Questa situazione ha avuto un impatto sulla produzione scientifica e sulla possibilità di comunicare con la Terra, che venivano ridotte sensibilmente, cosa che però non è accaduta per i costi di gestione.
Nel 2019 si è arrivati a un punto critico che ha fatto prendere alla NASA una decisione drastica, necessaria, ma contestata dalla comunità: spegnere il telescopio per sempre. Lo strumento IRAC è ancora perfettamente funzionante, così come il controllo di assetto e l’impianto fotovoltaico; anche i risultati scientifici continuano ad arrivare, seppur con un ritmo più rallentato. Tutto conservato in ottimo stato dopo 16 anni, ma troppo caro da gestire. Il problema non sono solo i costi in valore assoluto, ma soprattutto il ritorno scientifico in proporzione alla spesa per il mantenimento delle operazioni. Già nel 2014 era arrivata la prima proposta di chiudere la missione, ma un impegno a diminuire i costi ne ha ritardato la cancellazione. Nel 2017 la NASA ha cercato dei finanziamenti privati per continuare la missione, ma la realtà è che il destino di questo grande telescopio era già segnato. A giugno del 2019 è arrivata la comunicazione ufficiale: Spitzer avrebbe continuato la sua missione solo fino al 30 gennaio 2020.
La decisione è stata vista con disappunto da molti appassionati, soprattutto confrontando le spese di missione con le spese di gestione. La progettazione, la costruzione e il lancio sono costati in totale 720 milioni di dollari. La voce per la gestione ha raggiunto nel 2019 una cifra di 14 milioni di dollari annui. Un’inezia a confronto, meno del 2%. La realtà è che SST si sta allontanando troppo, non tanto per quanto riguarda la distanza in linea retta, ma soprattutto per la posizione angolare rispetto al Sole. Un giorno non troppo lontano sarà addirittura in congiunzione con il Sole, una posizione in cui le comunicazioni sono (al giorno d’oggi) impossibili.
E così è stato. Il 30 gennaio 2020 alle 23:30 ora italiana, dal centro di controllo è partito il comando finale, che intimava a Spitzer di inviare una conferma di ricezione e di mettersi in safe mode. Il project manager Joseph Hunt ha confermato l’esecuzione del comando e la ricezione della risposta e ha decretato così la fine della missione. Spitzer è ancora lì, completamente funzionante e solo, abbandonato completamente a sé stesso; è stato un gigante dell’astronomia, e come un elefante che sa che sta per arrivare la sua ora, volge le spalle al branco e se ne va senza disturbare.
I risultati
L’eredità che ci ha lasciato è immensa. È persino difficile stabilire quale sia stata la sua scoperta più importante. Il telescopio SST ha contribuito a scoperte scientifiche all’interno del nostro sistema solare, nei sistemi stellari della Via Lattea e nell’universo lontano dalla nostra galassia. Ha analizzato la polvere delle comete, scoperto asteroidi e trovato un nuovo anello di Saturno. Ha studiato come avviene la formazione di nuove stelle, scoprendo frequenti collisioni di asteroidi durante la nascita di nuovi sistemi planetari. Ha scoperto e studiato a fondo il più grande sistema di esopianeti fin’ora conosciuto, TRAPPIST-1, con ben 7 esopianeti che ruotano attorno la propria stella, e lo ha osservato per più di 1000 ore. Ha trovato molecole organiche all’esterno della nostra galassia. Ha collaborato con il telescopio Hubble per osservare la più distante galassia conosciuta dall’uomo, GN-z11, a 13,4 miliardi di anni luce da noi, così distante che la vediamo evolversi nell’universo primordiale, a soli 400 milioni di anni dal big bang.
Spitzer ha fatto parte del programma dei grandi osservatori della NASA, assieme a Hubble, Chandra e Compton. Per il futuro attendiamo il telescopio James Webb, anch’esso sarà capace di osservare all’infrarosso e verrà posizionato piuttosto lontano dalla Terra. La sua partenza è prevista per il 2021, anche se nel corso degli anni ha subito parecchi ritardi. Nel frattempo gli scienziati hanno tempo per analizzare i dati di Spitzer che non sono ancora stati passati al setaccio.
Fonti:
- NASA’s Spitzer Space Telescope Ends Mission of Astronomical Discovery;
- 15 of Spitzer’s Greatest Discoveries From 15 Years in Space;
- Hubble Team Breaks Cosmic Distance Record;
- The 7 Earth-sized Planets of TRAPPIST-1.