Per l’azienda di Elon Musk il 2019 si è chiuso brillantemente lo scorso 18 dicembre con il lancio del satellite per comunicazioni JCSAT-18/Kacific 1. La missione, partita dal complesso di lancio 40 di Cape Canaveral, quando in Italia erano le 2.10, si è svolta in modo perfetto, portando in orbita di trasferimento geostazionario un payload di quasi 7 tonnellate. Il primo stadio, B1056, che volava per la terza volta, è atterrato senza problemi sulla piattaforma robotica Of Course I Still Love You, facendo salire a 47 il numero degli atterraggi riusciti nella storia del Falcon.
Unico neo la mancata cattura “al volo” del fairing. Malgrado per la prima volta fossero state schierate due imbarcazioni dotate dell’apposita rete (GO Ms. Tree e GO Ms. Chief), entrambe le metà dell’ogiva sono finite nelle acque dell’Oceano, dalle quali sono comunque state ripescate in discrete condizioni.
Per il Facon 9 si è trattato del 77º volo e, cosa ancor più significativa, del 52º successo consecutivo dal 2016. È però vero che il “cavallo di battaglia” di SpaceX ha effettuato quest’anno solo 11 missioni, alle quali vanno aggiunti i due lanci della versione Heavy.
13 voli in un anno sono in apparenza un cifra deludente, se confrontata ai 18 del 2017 e ai 21 del 2018, ma la contrazione dipende in gran parte dall’andamento del mercato e non può essere addebitata in toto ai cronici ritardi della azienda di Hawthorne.
I ritardi, al contrario, sembrano ormai quasi del tutto superati. Stando alle dichiarazioni di Gwynne Shotwell, presidente e chief operating officer di SpaceX, raccolte da Spaceflightnow, al momento gli unici riguardano la Crew Dragon (secondo la Shotwell l’esplosione avvenuta in aprile ha causato un rallentamento di quattro mesi sul completamento del programma Commercial Crew da parte di SpaceX) e due lanci della costellazione Starlink che avrebbero dovuto aver luogo in dicembre. «Per la prima volta siamo noi che aspettiamo i clienti», ha affermato la collaboratrice di Musk, «e per noi è molto più piacevole trovarci in questa posizione».
Un 2020 da record
Per l’immediato futuro l’ottimismo della presidente sembra essere del tutto il linea con quello abitualmente esibito dal CEO. La Shotwell ha infatti annunciato per il 2020 un numero di lanci record: «da 35 a 38».
Come nasca questa cifra non è un mistero. Tra i 14 e i 15 dovrebbero essere i lanci per i clienti governativi (NASA e Ministero della Difesa) e privati, i restanti 23/24 sarebbero relativi alla costellazione Starlink che, nelle intenzioni, si vorrebbe continuare ad ampliare a un ritmo di 2 voli al mese.
Il proposito sembra piuttosto impegnativo, a cominciare dall’uso delle strutture di lancio, che tra l’altro graverà principalmente sui due pad della costa orientale (anche se l’impiego della base di Vandenberg non sarà abbandonato, SpaceX sarà la prima a sfruttare il “corridoio” verso l’orbita polare, riaperto dopo sessant’anni a Cape Canaveral). Inoltre richiederà un adeguamento dei ritmi produttivi del lanciatore.
La Shotwell ha chiarito che tale risultato potrà essere ottenuto con una redistribuzione delle risorse. Per ogni volo occorre infatti un secondo stadio nuovo e attualmente SpaceX non è in grado di produrne 38 in un anno. Tuttavia, grazie al riuso, sarà possibile costruire un numero più piccolo di primi stadi. Nel 2020 usciranno dalla fabbrica di Hawthorne solo 10 primi stadi nuovi (invece dei 16/18 fino ad oggi realizzati) e lo sforzo produttivo potrà essere concentrato sulle parti del veicolo non recuperabili.
Se l’azienda di Elon Musk riuscirà a mantenere il nuovo passo lo si vedrà subito, perché già a gennaio saranno in programma 4 voli. Tre saranno missioni Starlink e partiranno da SLC 40. Al momento è fissata la data solo per la prima (che dovrebbe decollare il 4 gennaio), mentre le altre due sono indicativamente collocate a metà e a fine mese. L’11 gennaio, invece, da SLC 39A, partirà l’In-Flight Abort Test, la prova cruciale del sistema di fuga che, se riuscita, aprirà la strada al primo volo con equipaggio della Crew Dragon, entro marzo 2020.
Il “decollo” di Starlink
Come si intuisce dalle dichiarazioni della Shotwell, il 2020 sarà l’anno decisivo per il dispiegamento della costellazione Starlink. SpaceX punta a completare entro l’anno prossimo il primo gruppo di 1584 satelliti (il progetto completo prevede ben 12.000 unità) che le consentirà di garantire la copertura del servizio Internet a banda larga sugli Stati Uniti, raggiungendo anche gli stati del sud prima dell’inizio della prossima stagione degli uragani. La connettività satellitare potrebbe infatti rivelarsi particolarmente preziosa in caso di eventi naturali che producano danni alle strutture Internet terrestri.
Un forte incoraggiamento in questa direzione è venuto proprio in questi giorni dalla stessa Federal Communications Commission (FCC) l’agenzia governativa che regola negli Stati Uniti i servizi di comunicazione e l’uso delle frequenze, che ha dato il via libera a SpaceX, invitandola, come si legge in dichiarazioni pubblicate da Spacenews, ad «accelerare il dispiegamento della sua costellazione satellitare per fornire servizi a banda larga in tutti gli Stati Uniti, in particolare a coloro che vivono in aree poco o per nulla servite o dai sistemi terrestri».
La FCC ha in sostanza accolto la richiesta presentata l’estate scorsa dall’azienda californiana di distribuire i primi 1584 satelliti a 550 km di quota non più su 24 orbite di diversa inclinazione, come inizialmente autorizzato, ma su ben 72. Ogni orbita ospiterà 22 satelliti invece di 66 e, dal momento che un Falcon 9 ne può caricare a bordo 60, ogni singolo lancio permetterà di coprire tre piani orbitali per volta, che i veicoli raggiungeranno utilizzando la loro propulsione elettrica, rendendo più rapida la copertura di zone più ampie del paese. A dispiegamento ultimato, oltre ai 48 stati contigui dell’Unione, il servizio raggiungerà Porto Rico, le Hawaii e altri arcipelaghi del Pacifico.
La FCC ha nel contempo rigettato le obiezioni mosse da alcuni concorrenti di SpaceX che, curiosamente, sono anche suoi clienti, dal momento che si stanno servendo proprio dei servizi di lancio dell’azienda di Elon Musk per mettere in orbita la proprie costellazioni.
Kepler Communication, che vuole creare una costellazione di 140 cubesat per servizi IOT collocati a 575 km di quota (appena sopra la zona che sarà occupata dal primo nucleo di Starlink), ha sollevato il problema dei rischi di collisione che una distribuzione su un maggior numero di piani orbitali può comportare, ma, secondo la FCC, non ha supportato le sue proteste con una concreta analisi.
La lussemburghese SES, invece, che gestisce una cinquantina di satelliti per comunicazioni in orbita geostazionaria e i 20 satelliti O3b in MEO, ha richiamato l’attenzione sulle interferenze nelle comunicazioni prodotte dalla costellazione di SpaceX. Quest’ultima però ha già fornito a SES e ad altri operatori i dati relativi alla densità equivalente del flusso di potenza (EPFD) e secondo la FCC dall’aggiunta di nuovi percorsi orbitali non risulta «nessun cambiamento materiale all’ambiente di interferenza».