Dopo anni di studi, sperimentazioni, test e un primo collegamento tutto personale per Elon Musk, fondatore di SpaceX e Starlink, arrivano in orbita i primi satelliti operativi della costellazione che offrirà un nuovo servizio di collegamento di rete capace di coprire le zone remote del pianeta e di garantire un ping inferiore addirittura alla fibra ottica.
Sending this tweet through space via Starlink satellite 🛰
— Elon Musk (@elonmusk) October 22, 2019
Il lancio del primo set dei satelliti destinati a rilasciare il servizio in futuro è avvenuto lunedì 11 novembre 2019 alle 15:56 ora italiana, con un razzo Falcon 9 lanciato da Cape Canaveral, in Florida. Un volo nominale dalla partenza all’inserimento in orbita, senza sorprese ma con tanti nuovi record stabiliti. Prima di tutto si è trattato del quarto riutilizzo del lanciatore classificato con il numero seriale B1048. Questo booster ha infatti già eseguito 3 missioni con successo precedentemente, rientrando sulla Terra e atterrando dolcemente nella piattaforma predisposta, permettendo il riutilizzo integrale dello stadio. La prima missione è stata un lancio di IRIDIUM NEXT a luglio del 2018, seguita a ottobre da SAOCOM-1A, da Vandenberg, in California, registrando per la prima volta un atterraggio nella costa occidentale. La terza è avvenuta con Beresheet, a febbraio, un’avventura che ha tenuto i nostri lettori col fiato sospeso fino al tragico impatto del carico con la Luna. E ora Starlink 1, la prima di una lunga serie di missioni per fornire un nuovo servizio commerciale di connettività internet.
I record non finiscono qua. Il carico è in assoluto il più grande mai trasportato in orbita da un Falcon 9, con una massa complessiva di ben 15.600 kg, superando di poco il volo sperimentale di Starlink di maggio 2019 con i 60 satelliti di test, missione chiamata informalmente Starlink 0.9, perché il peso di ogni singola unità è aumentato da 227 a 260 kg. E ancora, per la prima volta è stata riutilizzata un’ogiva: i fairing che coprivano il carico durante la fase di volo in atmosfera avevano già svolto questo compito durante la missione Arabsat-6A del Falcon Heavy ed erano stati recuperati dopo l’atterraggio in mare. Questa volta era previsto un recupero al volo, ma la flotta incaricata (Ms. Tree e Ms. Chief) è dovuta rientrare prima a causa delle condizioni avverse del mare. C’è anche un altro piccolo record che riguarda il secondo stadio, è stata la più breve accensione dei motori per passare dall’orbita di parcheggio all’orbita di rilascio (quindi la seconda accensione del secondo stadio), solamente un secondo di durata.
Per quanto riguarda i satelliti, tutto procede in modo nominale. Sono stati rilasciati come durante il volo di test tramite un dispenser da cui sono scivolati via e hanno preso ognuno la sua strada. Da Terra si vedono come un inconfondibile trenino, che un po’ ha fatto arrabbiare la comunità scientifica per via delle limitazioni che questa costellazione porterà all’osservazione astronomica, ma la compagnia ha promesso di implementare delle limitazioni all’albedo dei satelliti per mitigare l’impatto. Visto l’aumentare del numero definitivo di satelliti previsto per il servizio, da 12.000 a 30.000, la compagnia per costruire questi 60 satelliti ha deciso di usare solo parti che si volatilizzano completamente al rientro in atmosfera per limitare ulteriormente i rischi.
Non si sa ancora quando e come il servizio diventerà aperto al pubblico, ma il presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, ha dichiarato che saranno necessari da 6 a 8 lanci per riuscire a coprire parzialmente il territori di Stati Uniti e Canada. Il ritmo di lanci dovrebbe seguire un percorso intenso, con la missione Starlink 2 prevista già per fine mese e un regime di due lanci al mese per tutto il 2020. Sembra quindi un futuro imminente, ma è già successo in passato che l’azienda abbia azzardato previsioni molto ottimistiche che non è poi riuscita a mantenere.