«Orbita finale e rilascio del satellite perfetti. Missione impeccabile!» Con questo breve ed entusiastico commento Peter Beck, fondatore e CEO di Rocket Lab, ha salutato su twitter il successo della nona missione dell’Electron, che ha portato Palisade, un dimostratore tecnologico di Astro Digital, su un’orbita polare a oltre 1.000 km (1.223 × 1.162 km con un’inclinazione di 87,8° secondo CelesTrak), il doppio della quota mai raggiunta dal piccolo lanciatore.
Il volo del “corvo”
Ritardato dal meteo sfavorevole, il lancio da Mahia è avvenuto durante il terzo giorno della finestra di due settimane, quando in Italia erano le 3:22 del 17 ottobre. In Nuova Zelanda si era nelle prime ore di un pomeriggio sereno e le camere di bordo hanno mostrato immagini spettacolari del promontorio su cui è situato lo spazioporto che si allontanava dietro gli scarichi fiammeggianti dei nove motori Rutherford del primo stadio dell’Electron.
Superato MAX-Q, il momento della massima sollecitazione aerodinamica, alla quota di una dozzina di chilomentri e a una velocità di oltre 1.600 km/h, la prima fase del volo si completava a 2 minuti e 35 secondi dal liftoff. Al MECO, lo spegnimento dei motori del primo stadio, il veicolo aveva raggiunto gli 82 km di altitudine e gli 8.200 km/h di velocità.
Toccava al singolo propulsore Rutherford ottimizzato per il vuoto del secondo stadio spingere il razzo oltre i confini dello spazio e fino alla velocità orbitale. Durante quest’unica accensione di 6 minuti e 39 secondi si verificavano eventi consueti in questa fase di un volo spaziale, come l’espulsione delle carenature che proteggevano il payload, un peso non più necessario fuori dall’atmosfera, e altri peculiari del veicolo di Rocket Lab, come, a T+6:45, il rilascio di un pacco di batterie esauste. A differenza di quanto avviene negli altri veicoli, infatti, le turbopompe del motore dell’Electron sono alimentate elettricamente.
A 9 minuti e 14 secondi dal decollo, giunti su un’orbita di trasferimento oltre i 430 km, il secondo stadio terminava la sua missione. Si concludeva, forse un po’ troppo repentinamente, anche la diretta del lancio, giusto in tempo per mostare l’immagine del satellite e del kickstage, che fluttuavano dietro all’ugello dell’Electron poco dopo il distacco.
D’altra parte, all’accensione del motore Curie dello stadio superiore che doveva dare al satellite l’ultima spinta, di circa due minuti, mancava un’ora intera di volo inerziale.
Il piccolo propulsore, realizzato con la stampa 3D, ha recentemente subito una notevole trasformazione, essendo diventato bipropellente per garantire migliori prestazioni, come si legge nel comunicato di Rocket Lab.
Purtroppo l’azienda californiana è sempre stata estremamente parca di informazioni sul suo kickstage, per cui non è possibile conoscere né di quali propellenti faccia uso (la versione monopropellente impiegava un combustibile green, quindi non idrazina), né quanto siano mutate le prestazioni del Curie in termini di thrust (in passato si parlava di 120 newton). Di sicuro si sa soltanto che l’aggiornamento sarà utilizzato anche sulla piattaforma satellitare Photon che Rocket Lab offre da quest’anno ai propri clienti.
Il nuovo Curie ha comunque svolto con successo la propria missione. Il satellite veniva rilasciato nell’orbita prevista a circa 71 minuti dal lancio, mentre lo stadio superiore eseguiva un’ultima manovra “ecologica” per rientrare in atmosfera.
Il “dimostratore” di Astro Digital
A essere recapitato nell’orbita più alta mai raggiunta da un Electron è stato, come si è detto, un satellite sperimentale denominato Palisade; tecnicamente si tratta di un cubesat, ma non piccolissimo, dal momento che è classificato come 16U. L’unità di dimensione dei nanosatelliti è un cubo di 10 cm di lato e di massa non superiore a 1,33 kg (1U). Palisade, come si vede dalle immagini del lancio, è un parallelepipedo di 20 × 40 × 20 cm; la massa non è stata dichiarata, ma dovrebbe aggirarsi sulla ventina di chilogrammi.
Obiettivo del lancio era testare i dispositivi di propulsione e i sistemi di comunicazione “di nuova generazione” realizzati da Astro Digital e una versione avanzata del software di volo MAX sviluppato da Advanced Solutions. Astro Digital sta curando la messa a punto di una nuova piattaforma satellitare per la costruzione di piccoli satelliti di varie dimensioni (da cubesat 6U a minisatelliti di classe ESPA), denominata Corvus.
Con questo prodotto l’azienda californiana mira a modificare e ampliare il proprio business, inizialmente focalizzato sullo sviluppo e la commercializzazione di nanosatelliti per l’osservazione della terra (sono suoi i cubesat 6U Landmapper-BC o Corvus-BC). Astro Digital offre ora servizi più ampi che includono la progettazione dei satelliti, il design delle missioni, i sistemi di terra e le “operazioni”.
Le prossime mosse di Rocket Lab
In omaggio a questi progetti la missione dell’Electron era stata battezzata “As The Crow Flies” (“Quando vola il corvo”). Il nome era stato reso noto in settembre, in occasione di una modifica del manifesto dei lanci, a causa di un rinvio chiesto dal cliente (il nome non è stato reso noto) che è ora in programma per il decimo volo.
Quest’ultimo, al momento fissato per la seconda metà di novembre, avrà un particolare significato, perché vedrà il debutto di una versione aggiornata del primo stadio dell’Electron, con nuove caretteristiche aerodinamiche pensate per il recupero. Come AstronautiNEWS ha già anticipato, Rocket Lab ha deciso di avventurarsi sulla via del riutilizzo dei propri razzi, puntando però non all’atterraggio propulsivo, come SpaceX, ma a un rientro puramente passivo e alla “cattura” con l’elicottero.
«Non aspettatevi che lo catturiamo al primo lancio», ha precisato Beck qualche settimana fa in un’intervista a space.com. «Saranno necessari vari tentativi prima di riuscire a gestire il rientro attraverso l’atmosfera». Lo scopo principale dei prossimi voli, sarà ancora quello di raccogliere dati e validare i modelli, ma «vorrei sperare che l’anno prossimo avremo il primo vero e proprio tentativo di recupero».
Nel frattempo i lavori per la seconda base di lancio di Rocket Lab a Wallops stanno procedendo speditamente. Le opere edili per il pad sono ormai ultimate e la scorsa settimana è stato collocato anche l’erettore per il razzo.
Ovviamente c’è ancora molto da fare in termini di connessioni elettriche e idrauliche (alcune strutture sono condivise con la vicina rampa 0A dell’Antares, ma molte altre, ad esempio le linee per il rifornimento dei propellenti, sono autonome e devono essere realizzate in toto). Oltre alla piattaforma si dovrà ultimare un edificio per l’integrazione dei razzi, in grado di contenere quattro Electron, dotato di due clean room e altri servizi.
Beck è comunque fiducioso che i lavori saranno ultimati entro la fine dell’anno e che il primo lancio dalla nuova piattaforma potrà avvenire all’inizio del 2020.
LC-2 di Wallops è già licenziato, come il pad di Mahia, per un massimo (teorico) di 120 lanci all’anno. Recentemente Rocket Lab ha ottenuto dalla Federal Aviation Administration, una speciale licenza quinquennale che consente di effettuare lanci Electron da LC-1, entro certi parametri, senza la necessità di chiedere l’autorizzazione per ogni singolo volo. La disponibilità di due spazioporti e la riduzione delle pratiche burocratiche sono un buon punto di partenza per quello che nelle intenzioni non poco ambiziose dell’azienda californiana (con anima neozelandese) dovrebbe diventare “il veicolo più frequentemente lanciato del mondo”.