Dopo il rientro di Tiangong-2 la Cina lavora al nuovo “Palazzo celeste”
È rientrato nell’atmosfera il 19 luglio, quando in Italia erano le 3:06 di mattina, il laboratorio orbitale Tiangong-2. Ne ha dato notizia l’agenzia spaziale cinese che si occupa del volo umano, nota in ambito internazionale sotto la sigla inglese CMSA (China Manned Space Agency), precisando che solo una piccola quantità di detriti del veicolo, lungo 10,4 metri, del diametro di 3,35 e pesante 8,6 tonnellate, ha raggiunto la Terra, precipitando in un’area predeterminata nel Sud dell’Oceano Pacifico, tra la Nuova Zelanda e il Cile.
Il pronto annuncio è stato accompagnato dalla diffusione di un breve filmato che mostra una nube lampeggiante di plasma avviluppare il fianco di Tiangong-2, poco prima del definitivo blackout delle comunicazioni.
Nel mondo la limitata attenzione che i media rivolgono agli eventi riguardanti lo spazio era monopolizzata dalle celebrazioni del cinquantesimo anniversario di Apollo 11 e il fatto è rimasto privo di risonanza. Tale circostanza ha risparmiato al pubblico l’inutile clamore allarmistico che spesso circonda questi fenomeni e che si era ampiamente manifestato in occasione del rientro della stazione cinese gemella Tiangong-1, nella primavera dello scorso anno.
Va detto, però, che allora il rientro avveniva in modo incontrollato, dopo che il veicolo, che era stato abitato da astronauti per soli 19 giorni, aveva da mesi cessato di comunicare con la Terra. Nel caso di Tiangong-2, invece, sono stati i responsabili della missione a deorbitare il veicolo, dirigendo i suoi resti verso una zona dell’Oceano lontana dalle terre abitate e comunemente utilizzata come “cimitero delle astronavi”.
Le autorità cinesi hanno voluto precisare che la decisione è stata presa per senso di responsabilità verso la comunità internazionale. «Sebbene Tiangong-2 fosse stata in funzione per quasi un anno oltre la sua durata di vita programmata», ha dichiarato all’agenzia di stampa governativa Xinhua, Zhu Congpeng, capo progettista di Tiangong-2 presso la China Academy of Space Technology (CAST), «la sua piattaforma e i suoi carichi utili funzionavano in modo stabile e sicuro e il propellente che trasportava era ancora sufficiente per supportare il suo volo in orbita per parecchi anni». In queste condizioni non era facile decretare la fine della missione, ma lo imponevano considerazioni legate alla sicurezza collettiva. Si è così dimostrato «che la Cina si attiene fermamente ai suoi doveri internazionali e mantiene l’impegno a un uso pacifico e scientifico delle risorse spaziali».
La scelta rivela che, al di là delle prudenti ammissioni ufficiali, la Cina ha imparato la lezione di Tiangong-1. «Scegliere di deorbitare Tiangong-2 ha significato garantire l’assoluta sicurezza del suo ritiro», ha continuato Zhu. Prolungandone il funzionamento nel tempo, l’affidabilità sarebbe diminuita e una volta che si fossero verificate anomalie, Tiangong-2 sarebbe gradualmente caduta nell’atmosfera terrestre senza controllo, rendendo impossibile guidarla verso un’area prefissata, come invece si è fatto, anche attraverso ripetute simulazioni, condotte dal team di CAST.
Si è trattato della sola seconda volta in cui la Cina si è cimentata in un rientro distruttivo controllato. La prima esperienza era stata quella del cargo Tianzhou-1, anch’esso utilizzato nella missione di Tiangong-2, nel settembre 2017. In quel caso si era scelto di deorbitare il veicolo con una sola manovra. Il rientro del laboratorio spaziale dalla sua orbita circolare a una quota di circa 380 km è invece avvenuto in due passi; una prima accensione dei motori, il 18 luglio, ha portato il perigeo a 200 km; una seconda, il giorno successivo, l’ha ulteriormente abbassato a 70 km, conducendo Tiangong-2 verso gli strati più densi dell’atmosfera.
I mille giorni di Tiangong-2
La missione del “palazzo celeste” (tale è il significato del cinese “Tiangong”) si è comunque conclusa dopo quasi 1037 giorni, assai più dei due anni inizialmente programmati. La piccola stazione spaziale era stata infatti messa in orbita il 15 settembre 2016 da un Lunga Marcia 2F partito dal centro spaziale di Jiuquan, nel nordovest della Cina.
Da allora ha ricevuto una sola visita da parte di un veicolo con equipaggio, la Shenzhou-11, che effettuò il docking il 18 ottobre del 2016. I due astronauti che erano a bordo, Jing Haipeng e Chen Dong, trascorsero sulla Tiangong-2 27 giorni, testando alcune tecnologie riguardanti la lunga permanenza dell’uomo nello spazio e portando a termine varie ricerche scientifiche, come quelle relative alla crescita delle piante in assenza di gravità. A queste attività hanno dato ampio rilievo i media di stato cinesi, che sono parsi aver interrotto, almeno riguardo ai voli con equipaggio, il tradizionale riserbo mantenuto sul programma spaziale nazionale.
Solo dopo il rientro a Terra di Haipeng e Dong il 18 novembre, il laboratorio cinese ha potuto ricevere la visita di un veicolo cargo. Nella realtà della vita ordinaria di una stazione spaziale le navi che portano i rifornimenti sono ovviamente accolte da un equipaggio, che ne riceve i mezzi per prolungare la propria permanenza nello spazio; tuttavia, nel caso specifico, considerazioni di ordine tecnico e di sicurezza richiedevano che la Tianzhou-1 raggiungesse la Tiangong-2 solo dopo che la navicella abitata avesse liberato l’unica porta di docking disponibile.
L’attracco automatico del cargo è avvenuto il 22 aprile del 2017, a due giorni dal liftoff dal nuovo spazioporto di Wenchang. Il giorno successivo al docking è stato effettuato con ottimi risultati il primo test della procedura di rifornimento che, secondo i piani, permetterà di trasferire i propellenti necessari per i reboost orbitali della futura stazione spaziale cinese (in modo del tutto analogo a quanto avviene sulla ISS attraverso i veicoli Progress russi).
Dopo il distacco e una fase di volo libero, Thianzhou-1 ha nuovamente effettuato docking e rifornimento il 15 giugno e, per l’ultima volta, il 12 settembre. In quell’occasione si è anche simulata con successo la manovra di rendezvous veloce in 6 ore che è intenzione dell’agenzia spaziale cinese adottare anche per i veicoli con equipaggio.
Dopo l’ultimo undocking, il 17 settembre 2017, Tiangong-2 ha vissuto per altri 22 mesi in “solitudine”, ma certamente non inattiva e inutile, dal momento che ospitava a bordo vari strumenti di ricerca in grado di funzionare senza l’ausilio di equipaggio. In diversi casi si trattava di indagini realizzate in collaborazione internazionale, come l’osservazione della Terra in funzione di attività agricole, frutto di un accordo tra Cina e Thailandia, e POLAR, un dispositivo per lo studio dei cosiddetti lampi gamma (gamma ray burst o GRB), al quale hanno dato il loro apporto scienziati cinesi, svizzeri e polacchi.
Verso il nuovo “palazzo celeste”
La fine di Tiangong-2 riveste per la Cina anche un significato fortemente simbolico, in quanto rappresenta il completamento della seconda delle tre tappe del programma spaziale cinese con equipaggio, definito dal governo sin dal settembre 1992.
Il primo passo, riguardante lo sviluppo e il lancio di un veicolo per il trasporto in orbita di uomini, è stato completato nel 2003 con le 15 orbite percorse da Shenzhou-5, con a bordo il primo astronauta cinese, Yang Liwei.
La seconda tappa prevedeva lo sviluppo della capacità umana di operare nello spazio attraverso attività extraveicolari (una prima spacewalk è stata effettuata nel 2008 da Zhai Zhigang, comandante di Shenzhou-7), il lancio di un laboratorio spaziale e lo sviluppo di tecniche di rendezvous e docking (compito realizzato, a partire dal 2011, con Tiangong-1 e 2).
Ora si tratta di avventurarsi nella terza tappa: la realizzazione di una presenza stabile nello spazio attraverso una stazione spaziale vera e propria.
Per quanto le informazioni disponibili non siano molte, il quadro del progetto di quella che in Occidente è nota come China Space Station (CSS), ma che i cinesi potrebbero continuare a chiamare Tiangong, è abbastanza chiaro.
Si tratterà di un veicolo composto da tre moduli pressurizzati disposti a forma di “T”. Il modulo core, Tianhe (cinese che sta per “Armonia dei cieli”), ricorda per forma e funzioni lo Zvezda della Stazione Spaziale Internazionale. Come l’analogo veicolo russo includerà un nodo, per il collegamento degli altri moduli e dei veicoli ospiti, e costituirà il centro di controllo della stazione e lo spazio abitativo per gli astronauti. A esso saranno connessi due Experiment Module: EM-I o Wentian (“Ricerca dei cieli”) e EM-II, Mengtian (“Sogno dei cieli”), che fungeranno da laboratori per l’attività scientifica. EM-I avrà anche ruolo di quartier generale per l’equipaggio e servirà da backup per certe funzionalità fondamentali del Core Module. Come quello ospiterà un airlock, per supportare le attività extraveicolari, e un braccio robotico. EM-II sarà dedicato principalmente ai payload scientifici, interni ed esterni, e sarà fornito di un airlock cargo, per facilitare l’ingresso e l’uscita di materiale dalla stazione.
Ovviamente supporti per payload esterni saranno installati su tutti i moduli, così come tutti, al loro interno ospiteranno rack per gli esperimenti scientifici. In quest’ambito la Cina è intenzionata a continuare e ad allargare la partecipazione internazionale: proprio nel giugno scorso sono stati annunciati i progetti di ricerca di 17 paesi selezionati in collaborazione con l’Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite (UNOOSA) per essere condotti sulla CSS.
La nuova Tiangong avrà una massa di 66 tonnellate, che potranno salire a 100, quando saranno attraccati i veicoli di supporto (Shenzhou e Tianzhou). È previsto anche il docking temporaneo, per rifornimento e manutenzione, di un “modulo ottico” autonomo, un telescopio spaziale denominato Xuntian (“Incrociatore celeste”) dotato di uno specchio di 2 metri.
Stazione e telescopio condivideranno la medesima orbita, ad una quota variabile tra i 340 e i 450 km e una inclinazione tra i 41° e 43° (il che renderà Tiangong invisibile da gran parte dell’Europa). A bordo vivranno tre astronauti, che diventeranno sei durante i periodi di rotazione degli equipaggi, ogni tre mesi.
Il progetto della CSS è già in uno stato avanzato di realizzazione e le autorità cinesi continuano a indicare il 2022 come data di inizio delle operazioni, anche se il dispiegamento dei moduli nello spazio risulta in ritardo rispetto ai programmi. Tianhe doveva essere in orbita già dal 2018, ma nel luglio 2017 l’anomalia verificatasi durante il secondo volo del Lunga Marcia 5 ha portato a una sospensione dei lanci del vettore pesante cinese e quindi anche del Lunga Marcia 5B, la versione derivata che sarà utilizzata per la stazione spaziale.
Quando i voli riprenderanno non è ancora chiaro; a gennaio l’agenzia Xinhua aveva riportato che CASC (China Aerospace Science and Technology Corporation) puntava a effettuare a luglio 2019 il terzo lancio del Lunga Marcia 5, con il satellite sperimentale per telecomunicazioni Shijan-20, e nell’anno successivo il volo di prova della versione 5B, che avrà a bordo un esemplare di prova, ovviamente senza astronauti, di una nuova capsula per equipaggio progettata per sostituire la Shenzhou. Al momento, tuttavia, non c’è alcuna evidenza di un lancio imminente, né sembra che i componenti del vettore pesante abbiano ancora raggiunto il centro spaziale di Wenchang.
Anche ipotizzando il ritorno in servizio del Lunga Marcia 5 entro la fine dell’anno, si prospetterà per il lanciatore pesante un 2020 piuttosto intenso, essendo in calendario tre voli della versione base (per le missioni lunari Chang’e 5 e 6 e per il lander marziano Huoxing 1 che, tra l’altro ha una finestra di lancio riestretta, pena il rinvio al 2022) e due della 5B (test e lancio del modulo Tianhe). Ci sono elementi per supporre che l’inaugurazione della stazione spaziale cinese richiederà qualche mese in più del previsto.
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