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Hat trick per SpaceX: 3 satelliti RADARSAT in orbita con un solo lancio

Il satellite numero 3 di RCM in preparazione per un test. Credit: CSA.

Pochi minuti fa SpaceX ha concluso con successo una nuova missione portando in orbita ben tre satelliti, grandi ognuno quanto un rinoceronte, per conto dell’agenzia spaziale canadese. I satelliti fanno parte della missione chiamata RADARSAT Constellation Mission (RCM).

Successori della missione RADARSAT-2, hanno come obiettivo la sorveglianza dei mari, il monitoraggio di disastri naturali e la sorveglianza del suolo canadese.

Infografica della missione. Credit: CSA.

Pregresso della missione

La prima proposta del progetto RADARSAT-3 risale a ben 14 anni fa, nel 2004, quando vennero definiti con cura i requisiti che la missione avrebbe dovuto avere, prima ancora del lancio di RADARSAT-2, di cui è l’evoluzione. Il lancio era previsto per il 2014, ma la costruzione vera e propria dei satelliti è iniziata invece nel 2013, dopo una serie di ritardi a causa di finanziamenti insufficienti da parte del governo canadese. I lavori sono stati eseguiti da MDA, una società canadese leader del settore spaziale, famosa per aver costruito i bracci robotici “CANADARM” dello Space Shuttle e della Stazione Spaziale Internazionale, e sono stati completati in quasi 6 anni.

Uno dei tanti spostamenti dei satelliti. Nella foto il terzo satellite viene trasportato dalla sede di MDA in Québec a quella di SSL in California per l’assemblaggio finale (settembre 2018). Credit: CSA.

La realizzazione dei satelliti non è stata affatto semplice e ha richiesto varie fasi di test dei componenti prima del completamento. Tra l’altro la sede di test era a Ottawa, staccata dalla sede di produzione di Montreal, e i satelliti hanno dovuto viaggiare su strada per ben 14 volte, avanti e indietro, durante quei sei lunghi anni.

Nel 2017 lo sviluppo ha subito un altro ritardo importante. Si è scoperto un problema grave al satellite numero 2, che ha fallito il test di resistenza alle condizioni ambientali simulate dello spazio (vuoto e temperatura bassa), e il componente dedicato all’invio dei dati a terra ha ceduto.

Dopo la messa a punto di tutti e tre i satelliti e il relativo successo dei test, gli artefatti sono stati mandati in California per l’assemblaggio finale nella sede dell’azienda sorella SSL, verso la fine del 2018. MDA e SSL sono difatti due aziende appartenenti all’azienda madre Maxar, più nota per aver vinto recentemente l’appalto del primo modulo del Lunar Gateway.

Il lancio era previsto per febbraio 2019, ma un altro imprevisto ha ritardato la partenza di 4 mesi: il booster del Falcon 9 con numero seriale B1050 previsto per l’utilizzo nella missione RCM ha fallito il rientro nella landing zone LZ1 dopo aver portato in orbita un carico per la Stazione Spaziale con la missione CRS-16. Il booster era infatti finito in mare, e sebbene l’atterraggio sia stato relativamente morbido evitando la distruzione del vettore, l’acqua e il sale ne hanno compromesso la riusabilità a breve termine.

Obiettivo della missione

I tre satelliti, tutti uguali, hanno una massa di 1.430 chilogrammi ciascuno, e orbiteranno in orbita polare eliosincrona a 592,7 chilometri di quota. Il tipo di orbita scelto ha diversi vantaggi. In primo luogo consente di passare sopra lo stesso punto della Terra alla stessa ora locale (da qui il nome di orbita eliosincrona), monitorando terre e mari sempre nelle stesse condizioni di illuminazione. Inoltre, per questa missione, l’orbita scelta è quella che passa sopra le zone della Terra che si trovano vicino all’alba o al tramonto, quella che più tecnicamente è definita un’orbita ad alto beta, cioè il suo piano è quasi perpendicolare alla direzione del Sole. In questo modo i satelliti non vengono mai oscurati dalla Terra, permettendo un approvvigionamento continuo di energia elettrica tramite i pannelli solari.

Esempio di orbita ad alto beta percorsa dalla Stazione Spaziale Internazionale. Timelapse a cura di Riccardo Rossi (ISAA/AstronautiCast) a partire da immagini fornite dalla NASA.

Il mantenimento in un’orbita simile non sarebbe possibile se la Terra non fosse irregolare e schiacciata ai poli. La sua deformazione infatti agisce sull’orbita destabilizzandola e facendola spostare leggermente, un fenomeno chiamato precessione dell’orbita. Nello specifico l’orbita dei satelliti RADARSAT-3 è inclinata di 97,74° (in sostanza è retrograda) e con queste particolari caratteristiche la precessione è di circa un grado al giorno. Di fatto ruota di 360° in un anno, mantenendo sempre la stessa orientazione rispetto al Sole.

Per quanto riguarda i benefici che i cittadini canadesi trarranno da questa missione, si parla di valore aggiunto per la navigazione, l’agricoltura e la sicurezza pubblica. Il monitoraggio del ghiaccio presso le coste settentrionali del Canada permetterà alle imbarcazioni di trovare rotte migliori per evitarlo; i cacciatori in motoslitta, al contrario, potranno trovare zone dove il ghiaccio è più spesso ed è più sicuro poterci passare sopra. All’interno del territorio si acquisiranno dati maggiori per quanto riguarda lo stato di mantenimento del permafrost, il cui scioglimento anche solo parziale potrebbe portare a disastri naturali.

Un agricoltore dell’Ontario che già utilizza alcuni dati da RADARSAT-2 per una migliore gestione dei suoi appezzamenti agricoli. Credit: CSA.

La strumentazione dei satelliti è in grado di misurare anche l’umidità del suolo, permettendo una gestione più efficiente e sostenibile delle colture. I satelliti possono fornire immagini dettagliate del territorio con la risoluzione di un metro, consentendo in caso di disastri naturali, un intervento delle forze speciali canadesi più rapido e ordinato.

Lancio

Il lancio della missione RADARSAT-3 è avvenuto oggi, 12 giugno 2019, alle 16:17 ora italiana, quando a Vandenberg erano le 7:17 di mattina. Le condizioni meterologiche, contraddistinte da una fitta nebbia, hanno impedito addirittura di scorgere il razzo Falcon 9 eretto nella sua rampa di lancio. La foschia però non è stata di ostacolo per il proseguimento regolare del conto alla rovescia, e il vettore ha acceso i suoi motori in perfetto orario elevandosi dal complesso di lancio 4E della base, svegliando i cittadini della California col suo rombo frastornante. Oltre una certa quota in alto il cielo era sereno, e le telecamere a bordo hanno fornito le solite belle immagini che non ci stanchiamo mai di osservare.

Il primo stadio del vettore ha il numero seriale B1051 ed è lo stesso che in precedenza è stato utilizzato nella missione DM-1, che ha portato per la prima volta nella ISS la capsula Crew Dragon di SpaceX, adibita per il trasporto con equipaggio.

Dopo che i 9 motori Merlin 1D+ hanno spinto il vettore per i primi 2 minuti e 13 secondi, il primo stadio si è separato dal resto del razzo e ha invertito la marcia puntando verso la Landing Zone LZ-4 di Vandenberg, dove ha effettuato un atterraggio di precisione rituffandosi nella nebbia. Se tutti i controlli post volo daranno esito positivo, anche questo primo stadio potrà dunque essere utilizzato per un ulteriore volo, dopo una revisione relativamente rapida.

Il razzo Falcon 9 si erge dalla nebbia e punta verso lo spazio.

Il secondo stadio ha continuato la corsa per portare il prezioso carico in orbita, che abbiamo potuto scorgere a circa T+3 minuti quando l’ogiva si è aperta e separata, cadendo in mare. Questa volta non c’era nessuna nave della flotta di SpaceX a disposizione per tentare il recupero dei fairing, che si perderanno quindi in fondo all’oceano pacifico.

Il video completo del lancio.

Con ulteriori 6 minuti di propulsione dell’unico motore Merlin 1D vacuum+, il secondo stadio ha raggiunto finalmente l’orbita, alla velocità e la quota stabilita. Dopo aver proceduto a motore spento per mezza orbita attorno alla Terra (un percorso che richiede circa 46 minuti) il secondo stadio ha effettuato un’ultima riaccensione di 4 secondi per circolarizzare l’orbita cui ha fatto seguito il rilascio dei RADARSAT-3, concludendo con successo anche questa missione di SpaceX.

Il momento del rientro nella nebbia ritagliato da Riccardo Rossi

Rilascio dei satelliti

Il meccanismo di rilascio dei satelliti è stato messo a punto da RUAG Space, una società svizzera specializzata proprio in adattatori e componenti di sistemi satellitari. Il sistema è stato studiato per venire incontro ai requisiti di questa missione. Il rischio principale è un urto che può avvenire tra i tre satelliti, sia mentre sono chiusi all’interno dell’ogiva, sia dopo il rilascio. Per questo motivo, l’alloggio che li racchiudeva li teneva fermamente rigidi, in modo da evitare che le oscillazioni durante il lancio li facessero sbattere tra di loro. Nell’ultima fase, cioè superato lancio con le sue vibrazioni, e dopo l’espulsione dell’ogiva, i supporti dei satelliti si inclineranno leggermente verso l’esterno, aprendosi e permettendo ai satelliti di allontanarsi facilmente tra di loro subito dopo il rilascio ed evitando così possibili collisioni. Questa procedura è piuttosto inusuale, generalmente il rilascio multiplo di satelliti di questa dimensione avviene in orbite diverse, con accensioni successive del secondo stadio. Recentemente sono stati rilasciati 60 satelliti Starlink, tutti contemporaneamente e nella stessa orbita, ma si trattava di satelliti molto più piccoli ed erano previste collisioni senza conseguenze.

Sistema di rilascio dei satelliti a cura di RUAG Space.

I tre satelliti di questa costellazione si ricollocheranno nei prossimi giorni nella posizione di esercizio, a 120° di distanza l’uno dall’altro, e passeranno l’estate ad affrontare una lunga serie di test che garantirà la completa funzionalità di tutti i sistemi. La missione operativa vera e propria inizierà solamente in autunno del 2019, in una data ancora da determinare a secondo dei risultati dei test.

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