Prendono forma i piani ufficiali per le procedure di rientro della ISS
Con molta probabilità manca ancora almeno una decade al pensionamento della Stazione Spaziale Internazionale. Ma come verrà affrontato, dalle agenzie spaziali, quello che sarà il rientro in atmosfera del manufatto più costoso mai creato dall’uomo?
Diversi sono gli enti e le nazioni che lo hanno costruito e ne permettono l’operatività. I maggiori partner nel progetto della ISS sono in primis NASA per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America e ROSCOSMOS per la Russia. Importanti sono anche le partecipazioni di ESA per l’Europa e di JAXA per il Giappone. In ultimo, da non dimenticare, il Canada con il suo braccio robotico Canadarm.
L’inevitabile obsolescenza del complesso abitato, si paleserà quando un numero sufficiente di rotture critiche porterà ad una lacuna di ridondanza dei supporti vitali, rendendo impossibile ospitare con sicurezza un equipaggio. Oppure si dovrà mettere mano ai piani di deorbit (rientro orbitale in atmosfera) nell’eventualità di un grave incidente, che abbia come risultato l’attuazione dei piani di evacuazione di emergenza.
Tutti i partner coinvolti stanno facendo progressi nel definire dei progetti concreti per il deorbit, ma sono ancora al lavoro per stilare una procedura completa e dettagliata per la rottamazione del più grande avamposto orbitale mai costruito. Si rende sempre più necessaria una guideline comune da utilizzare quando arriverà il momento della EOL: la End Of Life (letteralmente, “fine della vita“).
Questi sono i motivi principali per cui i membri del Comitato Consultivo sulla Sicurezza Aerospaziale, ASAP (Aerospace Safety Advisory Panel), hanno chiesto a NASA (tramite il rapporto annuale sulla sicurezza relativo al 2018) l’elaborazione di un piano ben definito che concerti tutte le nazioni coinvolte. Anche se la concretizzazione di uno standard si sta evolvendo, il comitato ASAP ha fatto notare che comunque si sta procedendo più lentamente di quanto desiderato. Si tratta anche sotto questo aspetto di affrontare una sfida logistica non da poco, trattandosi del più grande rientro distruttivo pianificato di un satellite artificiale.
Le passate esperienze
Finora il confronto più vicino a questo evento è stato il rientro controllato della stazione spaziale sovietica MIR nel 2001, che aveva una massa di circa 130 tonnellate. La dimensione dell’area interessata dal rientro dei detriti fu di circa 1.500 chilometri di lunghezza (seguendo la sua direzione di moto) e circa 100 chilometri in larghezza nel sud dell’Oceano Pacifico.
Anche il laboratorio statunitense Skylab ne fu un esempio con le sue 77 tonnellate ma ebbe un rientro in atmosfera incontrollato, con la conseguente impossibilità di pianificare una zona sicura per la caduta dei frammenti. Fortunatamente nessuno fu ferito né ci furono danneggiamenti, ma diversi frammenti raggiunsero la superficie terrestre, tra cui un grande serbatoio di ossigeno che fu ritrovato nella parte ovest dell’Australia.
Masse minori entravano in gioco per le stazioni sovietiche Saljut, che pesavano circa 19 tonnellate ciascuna.
Fu incontrollata a causa di perdita di contatto nel 2016, anche la fine della prima stazione spaziale Cinese, Tiangong-1, di sole 8 tonnellate circa che abbiamo seguito e di cui abbiamo riportato notizia nel 2018.
Fino a quando vedremo i riflessi della ISS sulle nostre teste?
La ISS continua ad essere un prezioso traguardo di tecnologia e cooperazione dell’umanità ed ha ancora molti anni di vita operativa davanti. Attualmente, il ciclo di vita previsto ne prevede la piena funzionalità fino al 2028 circa, una previsione che si basa anche tenendo conto delle attività scientifiche pianificate dalle entità commerciali che beneficiano delle sue capacità. Tuttavia, anche per questo fantastico gioiello, un giorno, arriverà la fine.
Attualmente l’effettiva data di accantonamento della ISS e come passare a una piattaforma diversa per fornire una presenza permanente nello spazio, sono questioni in dibattito. Tutti però sono d’accordo che vi sia una continua necessità di capacità in LEO e che non ci debba essere una tale mancanza dopo che l’ISS non sarà più disponibile.
Proprio per questo, NASA ed il governo degli Stati Uniti stanno continuando a sollecitare le proprie industrie attive in ambito aerospaziale, richiedendo lo sviluppo di determinate capacità tecnologiche che saranno indispensabili nell’era post ISS.
Il risultato di questo confronto tra istituzioni nazionali e privati sarà un fattore chiave anche per la longevità della Stazione. Permetterà inoltre all’attuale ricerca scientifica che si svolge in orbita di continuare a svolgere un ruolo chiave per l’obiettivo futuro della NASA, ovvero spostare più risorse nell’esplorazione dello spazio profondo, includendo lo sviluppo di una nuova stazione spaziale di dimensioni più contenute tramite la proposta del “Lunar Gateway”.
Come verrà “smaltita”
L’orbita della ISS viene tenuta a un’altitudine di circa 400 chilometri. Tipicamente questa si abbassa di circa 2 chilometri ogni mese e i suoi motori o quelli dei veicoli cargo presenti, vengono accesi per spingerla di nuovo nella sua orbita standard.
Anche se non si intervenisse in nessun modo dal momento del suo abbandono, ci impiegherebbe comunque qualche anno prima di raggiungere gli strati più densi dell’atmosfera. Tipicamente un oggetto in orbita comincia a sentire pesantemente l’azione dell’atmosfera intorno ai 100 chilometri. Probabilmente la ISS anche a quote maggiori data la sua mole mastodontica di 400 tonnellate di massa.
L’idea di usare all’unisono il modulo Zarja ed i cargo ATV e Progress per far deorbitare la ISS, fu messa sul tavolo delle discussioni nel 2010 dall’ex direttore del Programma ISS Mike Suffredini ai membri ASAP. Egli fece anche presente che uno scenario di emergenza avrebbe necessitato di decisioni e approvazioni rapide nei primissimi giorni e di una finestra di 180 giorni per la preparazione degli step necessari alla End Of Life (EOL).
Con l’ASAP che sollecitava da allora un piano ben definito, sia le agenzie spaziali statunitensi che quelle russe hanno creato un documento di pianificazione strategica e un piano d’azione in caso di emergenza, con l’obiettivo di portare alla firma di un accordo multilaterale sulla strategia da adottare in caso di fine vita della ISS.
Attualmente si prevede che le fasi iniziali delle operazioni di abbassamento dell’orbita siano ad appannaggio di Roscosmos, che dovrebbe fornire almeno due veicoli Progress a supporto del modulo Zarja per abbassare la quota dell’orbita della Stazione.
I due partner principali NASA e Roscosmos hanno condotto poi un incontro bilaterale di interscambio tecnico nel 2016 per perfezionare le procedure relative allo smaltimento della stazione alla fine della sua durata di servizio, o in caso di emergenza. Nel 2017 Suffredini dichiarò: «NASA e ROSCOMOS ora hanno un piano. Nel caso in cui la stazione debba essere evacuata, ci sarà un periodo di 14 giorni in cui decidere se deorbitare o meno la ISS. Il Programma sta fissando il piano di emergenza, sebbene ci sia ancora molto lavoro da fare». Come nelle prime ipotesi, a seguito di queste due settimane di decisione viene confermato un periodo di sei mesi per portare la stazione disabitata dalla sua abituale orbita LEO a una quota minima prima del deorbit.
Questo lasso di tempo servirebbe alla Russia per lanciare due veicoli cargo Progress utili ad attraccare autonomamente e trasferire propellente ai serbatoi del Service Module Zarja, nonché per fornire ulteriore propulsione per il deorbit burn (accensione di rientro). Con il tempo si è aggiunta anche l’ipotesi di lanciare una Sojuz ad aiutare il processo con ulteriore spinta.
Tutto ciò, comunque, ancora non delinea in maniera granitica la procedura da mettere in atto. Il motivo della flessibilità del piano riguarda la stima della dimensione d’impronta dell’area interessata dai detriti che cadranno sulla Terra: una previsione che in pratica è il frutto di tutto il lavoro che verrà messo in opera. Questo sarà prevedibile con maggior realismo solo dopo aver conosciuto con precisione i parametri Delta-V raggiunti all’accensione finale. L’obiettivo è quello di minimizzare il potenziale dei componenti che sopravviverà al rientro atmosferico, facendoli arrivare il più lontano possibile dalle aree abitate. Il luogo più idoneo potrebbe essere con molta probabilità l’oceano indiano.
Tra le molteplici variabili da tenere in considerazione vi è il rapporto massa/dimensione delle componenti della struttura. Probabilmente, strutture come i pannelli solari, saranno le prime a disintegrarsi a causa delle altissime temperature che si raggiungeranno (oltre 7.000 °C a una velocità di circa 6 chilometri al secondo). Altri invece, come i grandi giroscopi, potrebbero raggiungere la superficie terreste.
Bisogna anche mettere a bilancio di tutte queste stime i parametri di assetto. Infatti, anche la posizione dell’intera struttura quando si “tufferà” in atmosfera sarà uno dei fattori chiave nei momenti finali della vita della ISS.
Collaborazione e sinergia dal principio alla fine
La nascita e la manutenzione della ISS sono un miracolo non solo tecnologico, ma anche di collaborazione tra nazioni e culture diverse. L’avamposto dell’umanità nello spazio, ha sempre superato brillantemente ogni crisi e tensione politica. E se per tutta la sua vita operativa la ISS è stata segnata da quest’aura di convivenza pacifica, probabilmente ne verrà contornata fino alla fine.
Infatti, nel già citato rapporto annuale relativo al 2018 e pubblicato il 1º Gennaio 2019, l’ASAP ha fatto presente che per quanto riguarda la strategia di deorbit e il piano d’azione per gli imprevisti, NASA ha ricevuto e continua a valutare le informazioni fornite da Roscosmos grazie ad un sistema di revisione attivo chiamato Cosmos Change Request.
È stato anche evidenziato che lo stato attuale dei provvedimenti da finalizzare include:
- La definizione della durata massima del sistema di propulsione del modulo Zarja in caso di mancata manutenzione ed in condizioni di vuoto
- Aggiornamenti software per abilitare funzionalità utili al rientro
- Studi su orientamento, navigazione e controllo della ISS in fase di rientro
- Previsioni sulla sopravvivenza degli ambienti interni della ISS al vuoto (assenza di pressione interna)
- Lo sviluppo di bozze relative a molteplici scenari di deorbit sia in caso di emergenza che di fine vita pianificato.
Mettendo a nota che, sebbene i progressi siano stati più lenti del previsto, il lavoro è sicuramente in evoluzione e il gruppo di esperti scientifici è incoraggiato dai progressi compiuti.
Sempre ASAP, nel suo rapporto annuale, riconosce che ci sono molti punti di vista diversi su quale dovrebbe essere la commercializzazione della LEO. Trasformare l’orbita bassa in un settore prettamente commerciale (in seno alla politica degli Stati Uniti) sembrerebbe comunque un passo successivo ragionevole e permetterebbe a NASA di concentrarsi sull’esplorazione dello spazio profondo. Questo approccio fornirebbe anche un mercato a maggior appannaggio per le entità commerciali.
Ma non si può prescindere dalla continua necessità di una presenza di NASA anche se questo ambito divenisse solo un terreno di sviluppo commerciale. Condurre operazioni che studino e riducano il rischio di future esplorazioni spaziali sono fondamentali come anche il mantenimento di competenze e di un know how adeguato sarà una caratteristica preziosa da custodire.
Perché estendere il più possibile la vita operativa della ISS e cosa portare a termine prima della sua fine (dalla prospettiva USA)
Di recente i senatori John Cornyn (Repubblicano del Texas) e Gary Peters (Democratico del Minnesota) hanno presentato l’Advancing Human Spaceflight Act.
Si tratta di un disegno di legge che estenderebbe l’autorizzazione di fondi per il funzionamento della Stazione spaziale internazionale fino al 2030. Contribuirebbe ovviamente a fornire garanzie ai partner internazionali americani e ai partner commerciali le cui ricerche condotte sulla ISS producono abitualmente innovazioni rivoluzionarie per aiutare lo sviluppo non solo della tecnologia spaziale, ma anche di prodotti commercialmente validi sulla Terra. L’estensione significherebbe anche più lanci per portare astronauti, esperimenti e forniture alla ISS.
Questi i vari punti esposti nel documento a firma bipartisan:
Un Rapporto sulla transizione post-ISS
Il disegno di legge prevede per NASA lo sviluppo una strategia per il pensionamento della ISS per garantire che vi sia una transizione graduale verso una eventuale piattaforma successiva (vedi il Lunar Gateway) e sottoporre questo rapporto al Congresso. Questo rapporto aiuterà i futuri Congressi a prendere la decisione migliore su come mantenere una presenza umana a lungo termine nello spazio ed evitare l’interruzione delle strutture spaziali a lungo termine nell’orbita terrestre bassa o oltre.
Lo sviluppo avanzato di tute spaziali
Interessante l’accento posto sulla volontà di mettere in cantiere lo sviluppo di una tuta spaziale di prossima generazione per consentire agli astronauti di esplorare in futuro Luna, Marte e asteroidi nello spazio interplanetario. Questo consentirebbe alla NASA di stipulare un accordo con una o più società commerciali nello sviluppo di queste tute. Bisogna notare che i futuri esploratori avranno bisogno di spacesuits con capacità più avanzate di quelle che la tecnologia attuale può fornire per l’esplorazione lunare o marziana, e che quindi la ricerca di nuovi materiali e tecnologie è fondamentale.
Rapporto sui sistemi tecnici di supporto vitale
Altro aspetto fondamentale per insediamenti di medio/lungo termine sono lo sviluppo di nuovi e innovativi sistemi per il mantenimento autosufficiente della vita dentro e oltre la bassa orbita terrestre, per cui si prevede di aggiornare costantemente il Congresso sugli sforzi in tal senso.
«L’unico modo per continuare a conoscere l’universo che ci circonda è puntare in alto e sognare in grande», ha detto il senatore Cornyn. «Sono grato per il continuo lavoro e il contributo della comunità spaziale di Houston nella redazione di questo disegno di legge, che getta le basi per una nuova era di esplorazione dello spazio e punta a riaffermare la leadership americana nell’esplorazione spaziale. Investire nell’esplorazione aiuta a consolidare la nostra leadership nell’economia globale, compiere nuove scoperte ed ispirare la prossima generazione di scienziati e astronauti», ha affermato il senatore Peters. «Questa legislazione bipartisan assicurerebbe che gli uomini e le donne della NASA possano continuare le loro missioni di ricerca e esplorazione all’avanguardia, e sono impaziente di vedere le soluzioni pionieristiche che guideranno la prossima era dell’innovazione».
La ISS fornisce una piattaforma in cui gli umani possono trascorrere un lungo periodo di tempo in assenza di gravità. Questa ricerca è importante perché, nei prossimi decenni, quando gli astronauti si recheranno su Marte, dovranno trascorrere almeno sei mesi a gravità zero mentre si recheranno sul pianeta rosso e altri sei mesi nel viaggio di ritorno. Un’estensione della vita della ISS fino al 2028 o oltre permetterebbe a NASA di continuare la ricerca in orbita per prepararsi a future missioni spaziali di lunga durata.
Negli ultimi anni, la Cina ha già lanciato con successo le due piccole stazioni spaziali Tiangong 1 e 2, che sono state visitate da astronauti cinesi. Sta progettando di lanciare una stazione spaziale molto più grande nel 2022 e la struttura sarà aperta agli astronauti stranieri. L’ESA ha già in tavola proposte e collaborazioni con la Cina per inviare gli astronauti sulla futura nuova Stazione Spaziale Cinese una volta che sarà operativa. Tuttavia, non c’è attualmente nessuna proposta di collaborazione tra America e Cina in voli spaziali con equipaggio.
Gli Americani hanno cambiato il loro obiettivo da un improbabile Marte ad una più appetibile Luna. Ma prima che la nostra amatissima casa volante sparga le sue ceneri sulla Terra, dovranno fare quanta più ricerca e scienza possibile per riuscire a mantenere un ruolo da leader nella presenza umana nello spazio.
Ipotesi bonus: trasformarla in una capsula del tempo
Bisogna per forza vaporizzarla? Se invece di usare i motori per rallentarla si usassero per portarla in un orbita di 1000 o più chilometri di altitudine. In tal modo potrebbe rimanere per qualche centinaio di anni a disposizione di futuri archeologi spaziali, dopo un tour nelle vicinanze dei siti si atterraggio Apollo.
Fonti: www.nasaspaceflight.com; www.parabolicarc.com; thesciencegeek.org; govinfo.gov; nasa.gov
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Nel caso in cui si decidesse di avviare la procedura di rientro di 400 tons di ISS ritengo che si sia pensato ad un alleggerimento progressivo della massa. Parti non indispensabili per un corretto funzionamento della ISS potrebbero essere via via staccate e rilasciate. Moduli attraccati e modificati per divenire parti integranti della stazione spaziale potrebbero essere rilasciati dopo aver isolato la parte rimanente.
Staccare parti porterebbe comunque alla creazione di detriti importanti con rientri incontrollati, con conseguente esposizione al pericolo di un area non bene identificata. Fare l’undocking per ogni modulo significherebbe moltiplicare a cascata una serie di piani di deorbit per ogni modulo. Le procedure di distacco non sarebbero immediate ed il monte ore/lavoro per ogni modulo sarebbe davvero sostanzioso, ci vorrebbe poi anche un cargo vettore apposito per ognuno di essi, in modo da imprimere la spinta neccessaria al rientro (sempre programmato).
Ogni modulo poi necessiterebbe di una EVA (attività extraveicolare) per staccare tutti i cablaggi presenti all’esterno e che sono non pochi.
Sarebbe una cosa ordini di grandezza più complicate da fare rispetto al “semplice” deorbitare tutto il complesso per intero.
Ritengo l’articolo mal formulato. Come potrebbe rientrare nell’atmosfera qualcosa che è già parte dell’atmosfera terrestre che si estende fino ad oltre la luna? Le recenti scoperte scientifiche dei mesi scorsi hanno nei fatti modificato la grandezza dell’atmosfera terrestre portandola fino a 800.000 km dal suolo e inglobando persino la luna che si trova a “soli” 400.000 km da terra.
Se il quesito è come “fare scendere un armamentario di tale massa” allora si potebbe ipotizzare la suddivisione a moduli.
A meno che non venga lasciata fluttuare nel nulla realizzando un modulo di spinta e trasformandola in una sonda (una nuova voyager) o una base di appoggio per missioni lunari o su marte. Se ancora funziona varrebbe la pena di valutarne il riciclo e il cambio di destinazione d’uso visti tutti i costi finora!
Quando si parla rientro atmosferico, si intende comunemente l’attraversamento degli strati più densi dell’atmosfera, capaci di distruggere un oggetto al suo cadere. Per convenzione si ritiene -spazio- tutto quello che si trova oltre i 100 chilometri di altitudine (alcuni fissano questo spartiacque anche da 80 chilometri in poi).
Si tratta comunque di un valore opinabile in quanto, come dice lei si potrebbe portare fino alle fasce di influenza del campo magnetico terrestre. In quel caso si preferisce chiamarla comunque magnetosfera.
Spostare 400 tonnelate per renderla una “nuova sonda” richiederebbe immani quantitative di propellente, per ottenere risultati ottenibili anche con sonde (appunto) della dimensione delle voyager.
Per la base di appoggio per missioni lunari o marziane, per l’appunto si sta progettando il Lunar Gateway, che andrà a sostituire una struttura che ha ormani una media di 35 anni per componente.
Gentile Elio, le scoperte cui lei si riferisce, basate sulle osservazioni della sonda SOHO (si veda http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Earth_s_atmosphere_stretches_out_to_the_Moon_and_beyond) devono essere interpretate correttamente. Innanzitutto il dato parla di circa 630000 chilometri, non 800000, ma soprattutto la densità dell’atmosfera terrestre a quelle quote è talmente bassa che si può definire tranquillamente vuoto. Quello che SOHO ha osservato è un fenomeno captabile solo da sensibilissimi strumenti scientifici che in nulla inficia quanto descritto nell’articolo.
E’ noto da tempo, infatti, che anche alla quota della ISS vi siano tracce dei gas atmosferici, che anche se estremamente rarefatti sono un fattore di attrito di cui tener conto e se non contrastati per mesi possono portare ad una deorbitazione della stazione.
Per finire, quindi, il termine atmosfera va interpretato nel contesto di questo articolo come qualcosa che diventa “significativo” (una sorta di punto di non ritorno) dal punto di vista dei veicoli spaziali a partire dalla quota di circa 120 chilometri.