Il pianeta dove si concentrano la maggior parte delle iniziative delle più grandi agenzie spaziali, oltre la Terra, è Marte. Realizzare un rover in grado di atterrare sulla superficie di Marte ed esplorare il pianeta guidando semi-autonomamente non è una cosa facile, come ben sanno gli scienziati della NASA.
In questo articolo vogliamo raccontarvi la storia dei due rover gemelli lanciati verso Marte nel 2003, Spirit e Opportunity, l’ultimo dei quali ha visto la sua missione concludersi un mese fa, nel febbraio 2019.
La preparazione della doppia missione MER
Alle soglie del 2000 la NASA, impegnata nell’esplorazione di Marte, aveva collezionato dei fallimenti che non la mettevano in buona luce. Il Mars Climate Orbiter bruciò nell’atmosfera per un problema di conversione di unità di misura dal sistema imperiale al sistema metrico, e del Mars Polar Lander si perse ogni traccia senza che si sia mai capito veramente il motivo. Un’altra missione fallita avrebbe potuto compromettere per sempre il futuro dell’esplorazione di Marte. La NASA decise quindi di cancellare alcuni programmi accessori per concentrare le risorse per il lancio non di uno, ma di ben due rover nel 2003. I due robot, battezzati Spirit e Opportunity, sarebbero partiti con due razzi diversi, e sarebbero atterrati in zone completamente diverse della superficie marziana, per massimizzare le possibilità di successo.
Al Jet Propulsion Lab di Pasadena, in California, il team che si sarebbe occupato della realizzazione e delle operazioni dei due rover in un programma chiamato Mars Exploration Rover, conscio dell’importanza della doppia missione decise di ripartire dall’esperienza acquisita con Mars Pathfinder. Pathfinder era un piccolo rover di 11 chili che atterrò su Marte nel 1997 usando una tecnica che prevedeva l’uso di un paracadute per rallentare la discesa, e di un airbag per attutire l’impatto con il suolo. Si trattava di una missione che aveva avuto pieno successo e che aveva conquistato le prime pagine dei giornali. Di contro, il tempo a disposizione del JPL era davvero poco, per gli standard spaziali: soli tre anni, cioè due anni in meno del tempo usualmente allocato per questo tipo di missioni. Per questo motivo si decise di riutilizzare il più possibile le tecnologie già sperimentate.
A differenza della missione precedente, dove molti strumenti scientifici erano concentrati nel sistema di atterraggio, i rover sarebbero stati un più massicci, arrivando a pesare 185 chili, perché si voleva esplorare di più e portarsi appresso una ricca strumentazione scientifica.
I primi test furono un disastro: un paracadute si strappò e l’airbag si lacerò. Subito fu chiaro che rover tanto grandi non potevano usare gli stessi mezzi di atterraggio senza adeguate modifiche, e si dovettero riprogettare sia paracadute che airbag. Questo aggiunse non poche complicazioni al progetto, che già era stretto coi tempi, e ebbe un impatto notevole anche sul budget. A solo 5 mesi prima del lancio il team riuscì a completare e testare, fortunatamente con successo, un nuovo paracadute e un nuovo sistema di airbag in fibra di vectran.
Anche se il tempo stringeva, i due rover vennero testati meticolosamente, alla ricerca di qualunque intoppo o difetto e arrivando a smontarli e rimontarli ripetutamente. Come detto, un’altra missione fallita sarebbe stata peggio di una missione mai partita.
Con l’approssimarsi della data prevista di lancio, dalla California il team del JPL si trasferì in Florida, dove erano in preparazione i razzi Delta II. Lì i due rover Spirit e Opportunity vennero assemblati per l’ultima volta, con molta cura, ma durante uno dei controlli finali venne scoperto un nuovo, potenziale problema: gli ingegneri sospettavano che i ganci esplosivi che avrebbero permesso l’apertura del rover subito dopo l’atterraggio, potevano aver subito un corto circuito durante i test. Velocemente vennero controllati tutti gli altri numerosi ganci usati precedentemente per scoprire se il problema poteva effettivamente verificarsi, con una serie di test che terminarono solo tre giorni prima del lancio. Fortunatamente, non avendo riscontrato la temuta anomalia, si decise di procedere con il lancio.
I due lanci
Per entrambi i rover la finestra di lancio sarebbe durata solo 3 settimane, durante le quali ogni giorno godeva di due brevi periodi di 40 minuti per poter far partire il razzo. Spirit, chiamato anche MER-A, venne lanciato senza problemi il 10 giugno 2003 dopo un paio di giorni di brutto tempo. Per Opportunity (MER-B), la partenza fu più al cardiopalma: al momento del countdown finale di uno degli ultimi giorni possibili per il lancio, il 7 luglio, la procedura venne bloccata a 7 secondi dalla partenza per un problema al sistema di lancio. Se non avessero scoperto e risolto il guasto in 40 minuti, come poi effettivamente successe, non avremmo avuto il secondo rover su Marte.
Durante il volo di crociera verso Marte non ci furono intoppi. Sia Opportunity che Spirit approcciarono il pianeta a tre settimane di distanza l’uno dall’altro quando erano trascorsi 7 mesi dalla la partenza.
I sette minuti di terrore: Spirit arriva su Marte
L’atterraggio su Marte dei rover sarebbe avvenuto in completa autonomia. A causa della distanza dalla Terra, che impone un ritardo delle trasmissioni radio che può arrivare a 20 minuti, la manovra di EDL (Entry, Descent and Landing – ingresso, discesa e atterraggio) il centro di controllo non poteva fare assolutamente nulla. L’atterraggio durò 7 minuti, divenuti poi in molti video divulgativi dell’epoca i famosi 7 minuti di terrore. Si trattava dunque di un tempo inferiore, come detto, a quanto necessario a ricevere la telemetria da Marte alla Terra e inviare un eventuale comando correttivo.
L’ingresso in atmosfera di Spirit, il primo dei due MER a giungere al pianeta rosso, avvenne alla velocità di 20.000 chilometri orari, creando un forte attrito che decelerò il veicolo alzando notevolmente la temperatura attorno al suo scudo termico. Dopo aver perso un po’ della sua energia cinetica, ma sempre a velocità supersonica, il paracadute si aprì rallentando ulteriormente la sonda. In prossimità del suolo si gonfiarono gli airbag che avvolsero completamente il carico, che rimbalzò ripetutamente fino a fermarsi. Una raffica di vento al momento sbagliato o una roccia troppo appuntita avrebbero potuto compromettere in modo irrimediabile la missione, ma i dati telemetrici in arrivo sulla terra, per quanto in differita, indicarono che Spirit stava rimbalzando sulla superficie come previsto.
Poco dopo il contatto radio si interruppe in modo inaspettato; il DSN (Deep Space Network), cioè la rete di antenne più potente di NASA, non riusciva più a mettersi in contatto con Spirit, facendo temere che il rover fosse andato perduto. Per fortuna, dopo lunghi minuti di attesa, il segnale arrivò nuovamente tra l’entusiasmo incontenibile da parte del team di Pasadena. Fu un momento esaltante, che celebrava il primo successo ingegneristico dopo anni di duro lavoro. Era il 4 gennaio 2004.
Dopo poche ore arrivarono le prime foto dalla superficie, e ai primi controlli tutto risultava funzionare alla perfezione. Il rover rispondeva ai comandi, faceva quello che gli veniva comandato dal team e per 18 giorni non emerse nessun problema.
I primi problemi a Spirit l’arrivo di Opportunity
Al 18° giorno di missione si interruppero nuovamente i contatti radio con Spirit, dal quale non arrivava più nessun segnale. Dopo due giorni le antenne DSN captarono un segnale debole dal rover, ma le sue caratteristiche sembravano un evidente segno che gli fosse accaduto. Come se non bastasse, esaminando la telemetria dell’atterraggio gli ingegneri scoprirono che la manovra EDL di Spirit non era andata esattamente come previsto: il paracadute si era aperto troppo tardi e ancora non si conosceva il motivo. I timori si concentrarono su Opportunity, che in quel momento era a meno di 48 ore dalla superficie. Alla NASA calò di nuovo un clima tenebroso. La missione che si era rivelata fino a pochi giorni prima un successo globale rischiava improvvisamente di perdere entrambi i rover nel giro di pochi giorni. Venne quindi presa la decisione di aggiornare il software di Opportunity per anticipare l’apertura del paracadute. A sole 24 dall’atterraggio vennero preparati e inviati i nuovi comandi per la sonda. L’anticipazione della manovra poteva sottoporre la struttura ad uno stress maggiore in quanto l’apertura sarebbe avvenuta a velocità più alta, ma si decise di procedere, e a ragione: Opportunity atterrò con successo il 25 gennaio 2004.
Parallelamente il team di Spirit lavorava alla ricerca delle cause del segnale radio così debole. Si scoprì che il computer si riavviava ripetutamente di notte, consumando, di fatto, tutta l’energia della batteria. Inoltre le poche informazioni telemetriche che il robot riusciva a mandare a Terra contenevano solo dati in tempo reale, non c’era traccia di quello che era avvenuto in passato. Se al JPL non avessero risolto il problema entro un paio di giorni, il rover non sarebbe più riuscito a ripartire. I sospetti si concentrarono su un guasto alla memoria che causava il riavvio del computer, e si decise di verificare la bontà di tale ipotesi inviando i comandi per bypassarla. L’intuizione si rilevò efficace, e Spirit potè continuare la sua missione.
I primi risultati scientifici
Spirit e Opportunity furono mandati alla ricerca di tracce di acqua nel passato del pianeta. Per Spirit si scelse come luogo di atterraggio il cratere Gusev, nell’emisfero meridionale, che dalle immagini degli orbiter sembrava un vecchio lago prosciugato. Opportunity atterrò invece nel cratere Eagle, una depressione profonda 20 metri nel Meridiani Planum, un luogo su Marte diametralmente opposto a Spirit.
I risultati scientifici furono completamente diversi per i due rover gemelli. Spirit sembrava non trovare niente di interessante: tutte rocce simili tra loro e tutte di apparente origine vulcanica, ma nessun indizio di acqua in tempi remoti. Per Opportunity fu tutta un’alta storia: già con la prima foto inviò l’immagine di una roccia stratificata esposta, segno di un’antica presenza di acqua; dopo i primi metri percorsi fece altre scoperte interessantissime da un punto di vista scientifico, tra queste le prime tracce di ematite, segno evidente di un passato con acqua allo stato liquido che scorreva in superficie, probabilmente mista ad acido solforico.
Una missione più volte prolungata
Spirit e Opportunity erano progettati per durare 90 sol (giorni marziani) e percorrere 600 metri e gli scienziati cercavano obiettivi scientifici da raggiungere entro i limiti previsti. Non avendo niente a disposizione per Spirit nelle vicinanze, decisero di porsi un obiettivo più lontano, le colline Columbia, a due chilometri di distanza. Per poterle raggiungere il rover doveva fare cose per cui non era stato progettato, come salire lungo pendenze ripide e durare oltre i 90 giorni programmati.
Non era chiaro se Spirit potesse raggiungere l’obiettivo, ma visti i risultati scientifici quasi nulli, si decise di provare comunque. Oltre a questo si verificò un problema: la polvere stava iniziando a coprire i pannelli solari e riduceva l’approvvigionamento di energia. Ironicamente, scalare le colline salvò il rover in quanto gli ingegneri trovarono un percorso tale da inclinare i pannelli solari in modo ideale verso il sole e permettergli di immagazzinare quella percentuale di energia in più necessaria alla sua sopravvivenza.
Dall’altro lato del pianeta, Opportunity si diresse verso il cratere Endurance, superando anch’esso i 90 giorni di vita per i quali era stato progettato. Endurance è più grande di Eagle, e questo permise agli scienziati di vedere più in profondità negli strati della superficie e quindi di risalire più indietro nelle fasi geologiche della formazione di Marte. Un’altra importante decisione venne presa per il rover: entrare dentro il cratere pur correndo il rischio di non poterne più uscire.
Era ben chiaro ormai che i rover erano più resistenti di quanto ci si aspettava e potevano porsi obiettivi sempre più difficili. Visti i risultati ottenuti e l’investimento fino a quel momento sostenuto, la NASA decise di prolungare la missione, in quanto il budget richiesto era molto piccolo se paragonato a quanto speso per arrivare fino a quel punto.
Le avventure di Spirit …
Alle pendici delle colline Columbia Spirit si trovò ad affrontare il suo primo lungo inverno marziano, della durata di 7 mesi. La tecnica di mantenere il rover inclinato mentre si muoveva su per le colline funzionò, e i deboli raggi solari riuscivano a mantenere il rover attivo nonostante i pannelli fossero sempre più pieni di polvere e l’efficienza era calata al 60%. Inaspettatamente, il 9 marzo 2005 la telemetria rivelò che l’efficienza era risalita al 93% nel giro di una notte soltanto: probabilmente Spirit fu investito da un diavolo di sabbia che ripulì i pannelli fotovoltaici e garantì nuova vita al robottino. Anche grazie all’energia extra a disposizione, il rover riuscì a raggiungere la sommità della collina Husband, il 21 agosto 2005, dopo 582 sol di attività. Da lì il team scientifico aveva un’ampia visione panoramica e potè scegliere il prossimo obiettivo, Home Plate, un altopiano di 90 metri circa. L’idea era di proseguire verso la collina McCool, un luogo soleggiato e inclinato a nord (dove batte meglio il sole), ideale per passare l’inverno successivo.
Ma al sol 779 Spirit iniziò ad accusare i primi acciacchi dell’età: una delle sei route si bloccò, l’anteriore destra, e i movimenti erano più limitati; per il resto della sua permanenza sul pianeta procedette in retromarcia trascinando la ruota bloccata su sabbia e rocce. Durante il tragitto si imbatté in una zona sabbiosa dalla quale aveva difficoltà ad uscire. Avvicinandosi l’inverno, si decise di parcheggiare per 8 mesi a Low Ridge, un posto vicino e abbastanza sicuro, senza effettuare ulteriori esplorazioni.
Nel 2007 Spirit fece la sua più importante scoperta scientifica: grazie alla ruota bloccata, il rover aveva scavato un solco che permise agli scienziati di notare un affioramento bianco. Si trattava di silicato puro al 90% in forma amorfa, che sulla Terra si forma vicino alle sorgenti termali o all’interno dei condotti laterali dei vulcani, e può costituire un ambiente adatto allo sviluppo di microbi. La cosa più stupefacente è che la scoperta avvenne dopo 1200 giorni di missione e solo grazie ad un malfunzionamento del rover.
Successivamente Spirit affrontò una serie di tempeste di sabbia che oscurarono il sole e rischiarono di compromettere definitivamente la missione. Il rover sopravvisse ancora una volta, ma a febbraio del 2008 bisognava trovare un luogo ideale per passare il nuovo inverno che era alle porte. Questa volta fu necessario inclinare maggiormente il robot in modo da assorbire una quantità di energia sufficiente nonostante i pannelli fotovoltaici fossero di nuovo pieni di polvere. Venne quindi sistemato su di un pendio di Home Plate con un’inclinazione di 30 gradi, e la produzione di energia durante l’inverno scese fino a 235 Wh al giorno contro i 750 Wh nominali. Si trattava di un valore vicino alla soglia dei 150 Wh, sotto la quale il funzionamento del rover diventa critico.
Dopo aver superato tante difficoltà, nel 2009 avvenne un incidente che segnò la fine dell’esplorazione per Spirit: il rover finì su un terreno sabbioso, e la sua plancia finì col poggiare su di un grosso sasso. La presa delle ruote era quasi nulla e i tentativi di farlo uscire da quella posizione furono vani. Spirit diventò così una postazione scientifica stazionaria e continuò per un altro anno con osservazioni in loco.
Al successivo inverno marziano, non potendo raggiungere una posizione favorevole, la produzione di energia misurata scese fino a 185 Wh. Il 22 marzo 2010 avvenne l’ultimo contatto con il rover, ma il team da Terra provò per più di un anno a ricontattarlo. Il 25 maggio 2011 la missione venne dichiarata ufficialmente conclusa, dopo 2623 sol (2695 giorni terrestri) di attività scientifica e 7,7 km percorsi sulla superficie di Marte.
… e quelle di Opportunity
Opportunity affrontò la sua prima scalata nel cratere Endurance. Sebbene gli ingegneri non fossero sicuri di riuscire a uscire dal cratere, decisero di far scendere comunque il rover, che invece risalì senza problemi superando pendenze inclinate fino a 32° se composte di roccia compatta.
I risultati scientifici erano importanti e diedero indicazioni migliori sull’evoluzione dell’acqua nel Meridiani Planum, ma era tempo di scegliere un altro obiettivo scientifico. L’obiettivo scientificamente interessante più vicino era il cratere Victoria, che si trovava a ben 6 chilometri di distanza, pari a circa 10 volte quella per cui era stato concepito il rover. Nonostante la lontananza, ingegneri e scienziati della NASA decisero di avviarsi in quella direzione, confidente ormai della robustezza del loro artefatto.
Il percorso sembrava facile e si viaggiava alla massima velocità consentita, quasi in autonomia. Una leggerezza che portò il team a distrarsi e al sol 446, il 26 aprile 2005, quando il Opportunity finì in una zona sabbiosa nella quale rimase imprigionato senza riuscire a più a proseguire. Le sue ruote si erano insabbiate fino all’80% della loro altezza. Per districarsi dalla situazione si iniziò con la simulazione a terra di varie manovre, grazie a speciali banchi di prova dove fu ricreato un suolo simile a quello presente su Marte sul quale testare le varie strategie usando il modello ingegneristico dei MER.
La differenza tra movimento comandato e quello effettivo era di un fattore 192: le ruote giravano come se stesse il rover dovesse avanzare di 192 metri quando in realtà avanzava di solo un metro, ma piano piano si riuscì a disinsabbiare Opportunity e a renderlo di nuovo in grando di percorrere la superficie del Pianeta Rosso.
Dopo due anni di viaggio su terreno pianeggiante, MER-B arrivò finalmente al cratere Victoria, che con un diametro di 800 metri era cinque volte più grande del cratere Endurance. Lì Opportunity rimase a studiare le formazioni geologiche per circa due anni, da settembre del 2006 ad agosto del 2008, affrontando nel 2007 una serie di tempeste di sabbia che bloccarono le attività per alcuni mesi.
Finita l’esplorazione del cratere Victoria, il team di controllo di Opportunity decise di compiere nuovamente un lungo percorso. A 11 km di distanza c’era infatti il cratere Endeavour. Si trattava di un luogo remoto distante ben 3 anni di cammino. Opportunity arrivò ad agosto del 2011 presso il bordo del cratere Endeavour e ne valse la pena: scoprì per la prima volta formazioni di tipo argilloso, che oltre a testimoniare la presenza in passato di acqua (già provata precedentemente) fornì le prove che quell’acqua aveva un PH neutro, potenzialmente adatta, cioè, non soltanto alla presenza ma anche alla nascita della vita.
Oppy passò qui il resto della sua vita operativa, percorrendo il bordo del cratere più grande mai visitato da un rover fornendo agli scienziati ulteriori elementi di studio. Progettato per durare solo 90 giorni, il robot di NASA era ancora attivo dopo 10 anni.
La fine della missione MER
Dopo aver percorso 45,16 chilometri in 5352 sol, 5498 giorni terrestri, Opportunity si trovò ad affrontare una delle gigantesche tempesta di sabbia globale capaci di oscurare il sole per mesi.
Con una produzione di energia solare in costante diminuzione, dopo mesi di strenua resistenza il 10 giugno 2018 fu l’ultima volta che Opportunity riuscì a mettersi in contatto con la Terra. Il rover che tanti record aveva battuto cadde nel più assoluto silenzio. Per mesi la NASA continuò a cercare di contattare il rover, ma gli sforzi si rivelarono senza successo, ed i mesi trascorsero senza che si ottenesse alcuna risposta.
Il 13 febbraio 2019 la NASA dichiarò ufficialmente terminata la missione.
Opportunity rimane ad oggi il rover più longevo al di fuori del pianeta Terra, detenendo anche il record di chilometri percorsi.