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Relativity Space lancerà Terran 1 da Cape Canaveral

Credit: Relativity Space

Relativity Space, una giovane startup fondata a Los Angeles nel 2015, ha raggiunto un accordo con l’Air Force per la costruzione di nuove strutture di lancio in un’area in disuso della base del 45th Space Wing. Ecco il tweet con cui ne ha dato notizia, lo scorso 17 gennaio.

Saremo solo la quarta azienda, dopo SpaceX, ULA e Blue Origin ad avere un sito operativo presso il Cape, – ha dichiarato con enfasi Tim Ellis, cofondatore e CEO della startup – perciò stiamo entrando a far parte di una piccola élite.

L’obiettivo è quello di avviare immediatamente i lavori di ristrutturazione del pad, in modo da essere pronti verso la fine 2020 per il volo inaugurale del nuovo lanciatore al quale la società californiana sta lavorando.

Tim Ellis, 28 anni, cofondatore e CEO di Relativity Space. Credit: Relativity Space

L’ennesimo nuovo piccolo lanciatore?

Relativity Space è infatti una delle tante realtà che si stanno affacciando al business dei lanci dei piccoli satelliti: un mercato che sembra ricco di prospettive, ma anche piuttosto affollato. Qualcuno ha contato in oltre 100 i piccoli lanciatori che stanno comparendo sulla scena, mettendo nel numero sia quelli che hanno iniziato le operazioni, come l’Electron di Rocket Lab, o che faranno il loro primo volo orbitale quest’anno, come il LauncherOne di Virgin Orbit, il Vector-R e il Firefly Alpha, sia quelli che sono ancora in fase di progetto (alcuni dei quali probabilmente non arriveranno mai su una rampa). Sembra chiaro che non ci sarà spazio per tutti: in che modo la startup di Los Angeles pensa di vincere questa sfida?

Terran 1, il razzo proposto da Relativity Space, si colloca tra i piccoli lanciatori in una fascia medio alta, garantendo prestazioni simili, tra i veicoli operativi, a quelle del giapponese Epsilon. Dovrebbe essere infatti in grado di collocare fino a 1.250 kg in orbita bassa (185 km), ma solo 900 kg in orbita eliosincrona a 500 km, che si riducono a 700 kg per la quota di 1.200 km.

Il bistadio Terran 1. Credit: Relativity Space

La spinta sarà assicurata dai motori sviluppati internamente denominati Aeon 1, alimentati a metano e ossigeno liquido e capaci di un thrust di 69 kN a livello del mare e di 87 kN nel vuoto. Nove Aeon saranno montati sul primo stadio; uno solo, in versione vacuum, sul secondo e sarà in grado di effettuare più accensioni.

Test a piena potenza del motore Aeon 1. Per realizzare queste prove Relativity Space ha avuto accesso alle strutture dello Stennis Space Center della NASA.

Il veicolo, il cui costo per lancio si aggirerà sui 10 milioni di dollari, sarà expendable, anche se Ellis non esclude per il futuro l’esplorazione delle possibilità del riutilizzo.

In complesso, così descritto, il progetto non sembra molto diverso dai tanti in circolazione. In cosa sta, allora, il suo carattere innovativo?

Dalla materia prima al volo in meno 60 di giorni

Rivoluzionario, secondo Relativity Space, sarà soprattutto il modo in cui il razzo sarà costruito. Terran 1 sarà realizzato interamente attraverso la stampa 3D, il che consentirà di ridurre da 100.000 a 1.000 il numero di parti di cui il veicolo è composto, accelerando fortemente i tempi di produzione. Ciò dovrebbe permettere di arrivare a costruire ogni esemplare in neanche 2 mesi: “dalla materia prima al volo in meno 60 di giorni” è uno degli slogan della startup. Ma con il nuovo approccio l’intero processo di sviluppo di un nuovo veicolo dovrebbe potersi ridurre in modo significativo, con un risparmio di tempo tra i 2 e i 4 anni.

In vista di questa meta l’azienda californiana ha dovuto innanzitutto progettare e costruire i propri utensili:

Non siamo solo una società che produce missili – ha detto Ellis in un’intervista a Spaceflight Now. – A volte, mi sembra di essere come Tesla e SpaceX messe assieme. È come se avessimo davvero due prodotti. Uno è il razzo, e l’altro è questo processo totalmente nuovo per costruire razzi – la fabbrica stessa.

Mentre il Terran 1 è ancora da costruire, questo nuovo processo è già una realtà. Relativity Space ha realizzato la più grande stampante 3D per metalli del mondo, battezzata Stargate, dotata di più bracci attuatori e testine di stampa, in grado di realizzare prodotti complessi dal punto di vista geometrico e con un rapido ritmo di produzione. Il lavoro è monitorato da sensori e controllato da un software capace di “apprendere” e diventare nel tempo più veloce.

La prima realizzazione di Relativity Space: la stampante 3D Stargate. Credit: Relativity Space

Con Stargate sono stati già realizzati i prototipi dei serbatoi del nuovo lanciatore da utilizzare per i test strutturali.

Prototipo di serbatoio realizzato con la stampante Stargate. Credit: Relativity Space

Un altro dei vantaggi del nuovo modo di produrre sarà la flessibilità. Relativity Space non utilizzerà alcuno strumento fisso, strettamente finalizzato alla produzione di un certo modello di veicolo. Modifiche al lanciatore o customizzazioni derivanti da peculiarità dei payload potranno essere introdotte con relativa facilità.

Eredi di Musk e Bezos

La startup californiana nata poco più di tre anni fa con l’appoggio del miliardario statunitense Mark Cuban, ha da poco raccolto un finanziamento di 35 milioni di dollari, grazie ai quali ha potuto accrescere la sua forza lavoro da 14 a 60 dipendenti e avviare i lavori per la costruzione del nuovo pad a Cape Canaveral.

Si tratta di una realtà giovanissima, se si pensa che i due fondatori, Tim Ellis e Jordan Noone, non hanno ancora trent’anni, e che in un certo senso già rappresenta una seconda generazione di innovatori dell’industria spaziale. Entrambi, infatti, sono “figli” di Musk e Bezos. Ellis è stato responsabile della stampa 3D in Blue Origin dove si è tra l’altro occupato dello sviluppo del nuovo motore BE-4, mentre Noone ha lavorato in SpaceX nei sistemi propulsivi della Crew Dragon.

Tim Ellis è il più giovane membro dello Users’ Advisory Group facentre parte del National Space Council. In questa immagine della riunione dello 19 giugno 2018 appare di spalle in primo piano. Credit: NASA/Joel Kowsky

Dei due miliardari i due giovani ingegneri mantengono l’ispirazione ideale. Non a caso Relativity Space definisce se stessa “la seconda azienda impegnata a rendere l’umanità una specie multiplanetaria” e coltiva il sogno di introdurre la stampa 3D dei razzi su Marte.

Il complesso di lancio n. 16

Non stupisce, quindi, l’emozione del giovane CEO nell’affiancarsi alle società dei “grandi visionari” che gestiscono i loro pad a Cape Canaveral.

L’Air Force lascerà a Relativity Space l’impiego del Launch Complex 16, una zona di lancio inutilizzata da oltre 30 anni, collocata nella storica “missile row” costruita agli albori dell’era spaziale, appena a Sud della piattaforma 17, recentemente demolita, dalla quale decollavano i Delta II di ULA, e poco più a Nord di SLC 13, ove sorgono le Landing Zone 1 e 2 di SpaceX.

Una famosa immagine degli anni ’60 in cui la “missile row” di Cape Canaveral appare come una nascente foresta di torri di lancio. Credit: NASA

SLC 16 fu utilizzata fino al 1965 per i lanci di Titan I e II e poi per un breve periodo passò alla NASA per lo svolgimento di test statici. A sfruttare più a lungo la zona di lancio è stato l’esercito USA che, dal 1974 al 1988, l’ha impiegata per i razzi Pershing I e II.

Relativity Space ha preferito accordarsi direttamente con l’Aeronautica USA, invece che passare da altri intermediari come Space Florida, l’agenzia finanziata dallo Stato della Florida impegnata ad offrire alle compagnie aerospaziali l’accesso allo spazioporto di Cape Canaveral. Ellis ritiene questa scelta più sicura: l’uso esclusivo del pad renderà più facile di lanciare con breve cadenza, nei tempi programmati, scongiurando eventuali sovrapposizioni con altri operatori, inevitabili per le strutture condivise.

La startup californiana investirà 10 milioni di dollari nella costruzione delle nuove strutture, che dovranno essere pronte a tempo di record, in meno di 2 anni, per non mancare l’appuntamento con il lancio del primo Terran 1. Una parte delle opere esistenti potranno essere riadattate (basamento di lancio, trincee per il deflusso degli esausti, ecc.); ex novo verranno edificati i serbatoi per i propellenti, le torri di illuminazione, un edificio per la preparazione dei payload e l’hagar per l’assemblaggio orizzontale del razzo.

Rendering delle installazioni previste per il Launch Complex 16. Credit: Relativity Space

Il lavoro si avvarrà della guida di manager di esperienza, anch’essi provenienti da SpaceX, come Chris Newton, che ha collaborato allo sviluppo della piattaforma di lancio del Falcon 9 a Vandenberg e alla ristrutturazione del pad 39A al KSC, e di Tim Buzza che, oltre ad aver lavorato nell’azienda di Elon Musk, guidando il team che ha costruito il pad del Falcon 1 all’atollo di Kwajalein e quello del Falcon 9 al Launch Complex 40, vanta esperienze in Boeing e Virgin Galactic.

Possedere un pad a Cape Canaveral contribuirà a dare visibilità a Relativity Space, e faciliterà l’accesso ai lanci governativi e militari (Ellis non nasconde che quest’ultimo è stato uno dei motivi della scelta) ma non potrà soddisfare tutte le esigenze del suo business. Il mercato delle costellazioni di piccoli satelliti è prevalentemente interessato ad orbite polari che dalla Florida non sono raggiungibili. Relativity Space ha già iniziato a muoversi per identificare un ulteriore zona di lancio, anche se la scelta tra Vandenberg, in California, e Kodiak in Alaska, è ancora aperta.

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