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ULA sceglie Blue Origin: saranno i BE-4 a spingere il Vulcan

Ricostruzione artistica del decollo di un Vulcan da Cape Canaveral. Photo: ULA

Dopo anni di speculazioni e ipotesi, giovedì 27 settembre ULA, la joint venture spaziale tra Boeing e Lockheed Martin, ha annunciato che saranno i motori  BE-4 di Blue Origin a spingere il primo stadio del Vulcan, il lanciatore in fase di sviluppo che prenderà il posto dell’Atlas V e del Delta IV attualmente nella sua flotta. 

Alimentati a metano e ossigeno liquidi, i BE-4 hanno compiuto il primo test al banco nell’ottobre del 2017 e, nonostante qualche intoppo iniziale, sono al momento nel pieno della campagna di test che li porterà alla certificazione finale.

I BE-4 hanno battuto la concorrenza dei più tradizionali AR-1 di Aerojet Rocketdyne, alimentati invece a cherosene, in realtà mai in partita contro l’offerta dei propulsori dell’azienda del fondatore di Amazon, Jeff Bezos.

La notizia della vittoria dei BE-4 non ha pertanto destato particolare sorpresa negli addetti ai lavori. Era ormai chiara da tempo la preferenza di ULA per i motori di Blue Origin ma, da quanto emerso, l’annuncio era tardato ad arrivare sopratutto per motivi contrattuali ed economici più che tecnici.

Anche se i dettagli dell’accordo non sono stati rivelati, secondo la stampa americana – e in particolare il Wall Street Journal che già mercoledì aveva anticipato la notizia – negli ultimi mesi ULA e Blue Origin avrebbero definito con estrema precisione tutti gli aspetti riguardanti le tempistiche di consegna e di test dei propulsori.

Il BE-4 durante uno dei test. Photo: Blue Origin.

Inoltre, ipotizza sempre il WSJ, è probabile che le due aziende abbiamo parlato anche della possibilità di pestarsi il meno possibile i piedi nel mercato dei lanci governativi, il segmento di riferimento del Vulcan ma anche una chance per il New Glenn, il futuro vettore di Blue Origin.

Entrambi i lanciatori avranno i BE-4 al primo stadio: una coppia per il Vulcan e ben 7 per il New Glenn (più uno, modificato, all’upper stage). Il primo volo di entrambi i veicoli, inoltre, è previsto intorno al 2020.

Il volto del Vulcan

Con l’annuncio dei motori del primo stadio si completa l’identikit del Vulcan, veicolo pensato per rendere “made in America” il lancio dei payload governativi e militari statunitensi, oggi affidati all’Atlas V.

Quest’ultimo presenta però il “peccato originale” di montare i motori russi RD-180 al primo stadio: un grande successo della diplomazia degli anni Novanta, quando nacque l’Atlas V, ma un fastidiosa dipendenza oggi, sopratutto dopo l’occupazione russa della Crimea e il conseguente raffreddamento delle relazioni tra Washington e Mosca.

Inoltre, aspetto non da poco, il Vulcan è pensato per tagliare i costi dell’Atlas V e del Delta IV, vettori affidabili ma particolarmente costosi, e permettere alla joint venture di competere, nei limiti del possibile, con la SpaceX di Elon Musk.

Oltre ai BE-4, dunque, che in coppia garantiranno al Vulcan una spinta pari a 4400 kN, al momento del decollo il futuro vettore potrà fare affidamento anche sulla spinta extra di fino a sei booster a combustibile solido GEM-63 di Northrop Grumman, derivati dai GEM-60 al momento impiegati sul Delta IV.

I GEM-63, il cui primo fire test è arrivato qualche giorno fa, in ottica di riduzione dei fornitori (e dei costi) saranno utilizzati a partire dal luglio del 2019 anche sull’Atlas V, scalzando proprio gli AJ-10  Aerojet Rocketdyne.

Esclusa dai giochi del primo stadio e dei booster, Aerojet Rocketdyne fornirà in ogni caso i quattro motori RL-10 del Centaur V, la nuova variante per il Vulcan dello storico upper stage.

Secondo il CEO di ULA Tory Bruno, un Vulcan con sei booster sarà in grado di portare in orbita un carico pari al 30% in più del Delta IV Heavy, al momento il vettore più potente della flotta dell’azienda.

Per quanto riguarda i costi, un Vulcan single stick, quindi senza booster, sarà venduto a 99 milioni di dollari, qualcosa in meno dei 109 milioni dell’Atlas V 401 ma in ogni caso molto di più dei 60 milioni circa di un Falcon 9 di SpaceX.

Tutte le componenti del Vulcan. Photo: ULA

Il futuro di Aerojet Rocketdyne

Anche se attesa da tutti, la sconfitta di Aerojet Rocketdyne, che negli ultimi anni ha progressivamente perso molti contratti (come quello per i motori dell’Antares di Northrop Grumman, ad esempio), negli Stati Uniti sta aprendo un dibattito sul destino della storica azienda.

Certo, Aerojet rimane in corsa per gli RL-10, che oltre al Vulcan equipaggeranno (se mai volerà mai) anche il secondo stadio dell’Omega di Northrop Grumman, così per gli RS-25 dello Space Launch System della NASA, ma la parabola dell’azienda appare in netto declino. Per questo, dagli Stati Uniti stanno rimbalzando molte voci per una possibile acquisizione di Aerojet da parte di Boeing. La mossa sarebbe molto simile a quella che ha portato Northrop Grumman ad acquisire, solo qualche mese fa, Orbital ATK, storica leader nel settore della propulsione solida, per 9,2 miliardi di dollari.

Sia Boeing che Northrop Grumman sono in lotta per aggiudicarsi il contratto monstre da oltre cento miliardi di dollari con cui l’US Air Force assegnerà nei prossimi anni lo sviluppo e la produzione della futura generazione di missile balistici intercontinentali. In quest’ottica, dunque, per i due colossi acquisire coloro che sono già stati indicati come i motoristi del progetto dei nuovi ICBM potrebbe essere un vantaggio sulla concorrenza.

Si tratta di uno scenario industriale molto articolato e complesso, dunque, che andrà osservato da vicino anche per i risvolti che avrà nella collaborazione spaziale.

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