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Hera, la missione ESA per la difesa planetaria sull’asteroide binario Didymos

Credit: ESA

Centodieci anni fa, nel 1908, un asteroide di circa 40 metri di diametro precipitò sulla terra, distruggendo la foresta di Tunguska, in Siberia, per un’area di 2.150 km2 (pari alla superficie di una media provincia Italiana). La data dell’evento, il 30 giugno, è stata recentemente dichiarata dalle Nazioni Unite Asteroid day, ossia la giornata internazionale in cui promuovere nell’opinione pubblica la consapevolezza dei rischi, remoti ma reali, riguardanti la possibilità che il nostro pianeta sia colpito da uno delle migliaia di corpi celesti – meteoroidi, asteroidi e comete – che gli astronomi chiamano NEO, Near-Earth Objects.

Proprio in occasione dell’Asteroid Day 2018 l’Agenzia Spaziale Europea ha potuto annunciare l’avanzamento di uno dei suoi progetti più rilevanti in tema di “difesa planetaria”: il satellite Hera, entrato recentemente nella fase di definizione dettagliata (“Phase B1” nel gergo di ESA), in vista dell’approvazione da parte della “Ministeriale”, l’assemblea dei ministri dei paesi membri, che si svolgerà alla fine del 2019.

La missione Hera è parte di un programma di collaborazione internazionale (AIDA, Asteroid Impact and Deflection Assessment) che vede protagonisti, oltre l’ESA, la NASA, l’agenzia Spaziale Tedesca (DLR), l’Applied Physics Laboratory della John Hopkins University (JHU/APL) e l’Osservatorio della Costa Azzurra (OCA), e che ha come obiettivo un NEO, l’asteroide binario denominato Didymos.

Un asteroide binario

Scoperto nel 1996, 65803 Didymos si muove su un’orbita che varia tra una distanza di 151,6 e 340,5 milioni di km dal Sole, ossia con un perielio di poco inferiore all’afelio del nostra pianeta. In altri termini, si tratta di un oggetto che, avvicinandosi alla nostra stella, lambisce l’orbita terrestre, rispetto alla quale la sua traiettoria è inclinata di soli 3,4°. Il suo periodo orbitale è pari a 2,11 anni.

Le orbite e le posizioni di Didymos (in bianco) e dei pianeti vicini al momento della stesura di questo articolo. Credit: NASA

In greco δίδυμος significa “doppio” e il nome non è stato scelto a caso: si tratta infatti di un sistema binario composto da due oggetti di dimensioni diverse: Didymos A, del diametro di 780 metri e con un periodo di rotazione di 2,26 ore, e Didymos B, di 160 metri, che si muove attorno al primo a una distanza media di 1,2 km in circa 12 ore. Non due gemelli, quindi, ma un piccolo asteroide con una luna: “Didymoon” è infatti il nome non ufficiale di Didymos B.

Un tale sistema di asteroidi binari – ha spiegato il responsabile di Hera, Ian Carnelli – è il banco di prova perfetto per un esperimento di difesa planetaria, ma è anche un ambiente completamente nuovo per investigare sugli asteroidi. Sebbene i sistemi binari rappresentino fino al 15% di tutti gli asteroidi conosciuti, essi non sono mai stati esplorati prima e ci aspettiamo molte sorprese […].

L’ambiente, dalla gravità estremamente ridotta, presenta anche nuove sfide per i sistemi di guida e di navigazione. Fortunatamente, possiamo contare sull’esperienza unica del team operativo di Rosetta dell’ESA, che è una risorsa incredibile per la missione Hera.

Una doppia missione

Se tutto andrà bene, AIDA si concretizzerà in due missioni. Prima di tutto partirà quella della NASA, denominata DART (Double Asteroid Redirection Test), che tra l’altro si trova in uno stadio più avanzato di sviluppo, avendo già superato la revisione preliminare del progetto.

Schema della missione DART. Credit: NASA

Il liftoff di DART avrà luogo tra il dicembre del 2020 e il maggio del 2021. La sonda, che implementerà varie tecnologie innovative (come il nuovo sistema di navigazione SMART Nav, sviluppato dal JHU/APL, e i pannelli solari avvolgibili ROSA già sperimentati sulla ISS) sarà dotata di una camera ad alta risoluzione (DRACO), basata sulla LORRI di New Horizons e spinta dal propulsore elettrico NEXT-C. DART raggiungerà Didymos nel momento del suo prossimo avvicinamento alla Terra (a 10,9 milioni di km), nell’ottobre del 2022, e impatterà sulla piccola luna ad una velocità di 6 km/s. L’urto modificherà l’orbita di Didymoon e la variazione, per quanto piccola (si prevede che il periodo orbitale cambierà di 200 secondi), potrà essere osservata dai telescopi sulla terra.

DART, prima di dirigersi su Didymoon, potrebbe rilasciare un cubesat in grado di documentare l’evento e fornire informazioni da vicino. Tuttavia precedenti esperienze dimostrano che, nell’immediato e per molto tempo, sarà impossibile ottenere immagini della piccola luna e del cratere di impatto. Il 4 luglio del 2005 il satellite NASA Deep Impact lanciò un impattatore da 370 kg sulla cometa Tempel-1, ma la sonda rimase accecata dall’emissione di polvere e ghiaccio che per giorni ne scaturì. Solo una successiva missione, quella di Stardust-NExT nel 2011, permise di individuare le tracce dell’urto sul corpo celeste.

Entra in scena Hera

Il compito di Hera sarà proprio quello di ritornare “sulla scena del delitto”, a distanza di anni, per effettuare, da vicino, osservazioni e misurazioni impossibili da milioni di chilometri.

Rappresentazione artistica di Hera e dell’asteroide binario Didymos. Credit: ESA

La sonda di ESA sarà piuttosto compatta, confinata nella forma di un cubo di 160 cm di lato che peserà, al lancio, circa 800 kg, costituti per oltre la metà da propellenti (450 kg).

L’Asteroid Framing Camera. Credit: DLR

Il principale strumento a bordo sarà la Asteroid Framing Camera realizzata dalla DLR. Si tratta della medesima camera che l’Agenzia tedesca ha fornito alla NASA come suo contributo alla missione Dawn, costituita da un sensore di 1024×1024 pixel connesso ad un telescopio e in grado di riprendere immagini pancromatiche e in sette differenti lunghezze d’onda (nel visibile e nel vicino infrarosso) scelte in modo da fornire informazioni sulla composizione e le proprietà fisiche di Didymoon.

Hera sarà inoltre equipaggiata con un lidar, per mappare l’altimetria dell’asteroide, ma anche per supportare la navigazione per le operazioni che si compiranno a breve distanza dalla superficie, un sensore iperspettrale, strumenti per esperimenti di radio science e almeno un cubesat, che sarà il primo nanosatellite europeo nello spazio profondo, per effettuare ulteriori rilevazioni e testare tecniche di comunicazione intersatellitare.

Hera potrebbe essere lanciata alla fine del 2023 e raggiungerebbe l’asteroide binario nel 2026. La sonda mapperà la superficie di entrambi gli asteroidi ad un risoluzione di pochi metri ed effettuerà flyby ravvicinati su Didymoon, arrivando per la zona circostante il cratere, ampio circa 20 metri, a riprendere immagini con un dettaglio di 10 cm per pixel.

Le conseguenze dell’impatto di DART saranno meglio valutabili anche grazie ad una precisa determinazione della massa della piccola luna. Date le modeste dimensioni di Didymos B e il “disturbo” creato dall’asteroide maggiore, risulterà in questo caso molto difficile misurare direttamente gli effetti del suo campo gravitazionale sulla traiettoria del veicolo. Dopo aver individuato alcuni punti di riferimento sulla superficie di Didymos A, Hera tenterà perciò di registrare le oscillazioni che il corpo più piccolo produce sul moto di quello più grande attorno al comune centro di gravitazione. Si ritiene che la misura ottenuta in questo modo potrò avere una precisione superiore al 90%.

Schema della missione Hera. Credit: ESA

In sostanza, se con l’impattatore DART l’umanità per la prima volta nella storia altererà il movimento di un corpo del sistema solare, solo grazie ad Hera, tale risultato diventerà realmente significativo. Le informazioni fornite dalla sonda europea, infatti, permetteranno di raffinare i modelli matematici che descrivono come un asteroide reagisce a questo tipo di sollecitazioni dinamiche, offrendo chiarimenti sul tipo di forza necessaria per spostare l’orbita di qualsiasi asteroide che minacciasse il nostro pianeta.

I dati chiave raccolti da Hera – ha osservato Ian Carnelli – trasformeranno un grande, ma unico, esperimento in una ben chiara tecnica di difesa planetaria: una tecnica che potrebbe in linea di principio essere ripetuta se avessimo mai la necessità di fermare un asteroide in arrivo.

In attesa di approvazione

Il futuro di Hera non è ancora definito con certezza; infatti, come abbiamo ricordato, la missione deve ancora essere approvata e finanziata dai paesi membri dell’Agenzia Spaziale Europea. Il consenso può apparire probabile, visto il carattere di collaborazione internazionale del progetto, l’interesse manifestato da tanti Stati e il grande lavoro di ricerca che l’ESA ha compiuto in questo settore da diversi anni, ma non è scontato. Proprio nel 2016 la Ministeriale ha bloccato, per motivi finanziari, una prima versione di partecipazione europea al programma AIDA attraverso la missione AIM (Asteroid Impact Mission), che prevedeva l’arrivo di una sonda su Didymos prima di DART, in modo da poter documentare “in diretta” l’impatto e le sue conseguenze, anche attraverso una più ricca dotazione di strumenti. Hera è, in concreto, una versione più economica di AIM, riprogrammata tenendo conto del fatto che la NASA nel frattempo ha continuato il suo lavoro di sviluppo, prescindendo delle incertezze europee.

Video ESA che riassume le principali fasi delle missioni DART e Hera

Fonte: ESA

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