New Horizons è uscita dall’ibernazione e si prepara all’incontro con Ultima Thule
Pochi giorni fa, il 4 giugno, New Horizons si è “risvegliata” dal suo ultimo periodo di ibernazione prima dell’incontro con l’oggetto della fascia di Kuiper MU 69 2014, recentemente ribattezzato Ultima Thule, che avverrà nel primo giorno del 2019.
I segnali che confermavano l’esecuzione da parte della sonda dei comandi del computer di bordo hanno raggiunto il centro di controllo presso il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL) di Laurel, nel Maryland, quando in Italia erano le 8:12 del 5 giugno. Alice Bowman dell’APL, responsabile operativo della missione, ha riferito che il veicolo spaziale è in buona salute, funziona normalmente e che tutti i sistemi sono tornati online come previsto.
News Horizons, che ora si trova 40,72 Unità Astronomiche dalla terra, pari a oltre 6 miliardi di chilometri, era entrata in ibernazione 165 giorni prima, il 21 dicembre 2017. Durante questa modalità operativa, che serve alla sonda per risparmiare energia, il veicolo è stabilizzato mediante rotazione (e quindi non consuma propellente per mantenere l’assetto) e quasi tutti gli strumenti scientifici sono spenti. Il computer di bordo continua però monitorare lo stato dei sistemi e a trasmettere alla Terra un “segnale di conferma” una volta alla settimana e, circa una volta al mese, dati più dettagliati sulla salute della sonda.
New Horizons dopo Plutone
Dopo il flyby di Plutone, nel luglio del 2015, New Horizons ha utilizzato questa modalità di viaggio due sole volte. Infatti, per quanto non ci fossero eventi di rilievo in grado di attirare sulla missione l’attenzione dei media, il lavoro attorno al veicolo spaziale non è mai mancato.
Per più di un anno, fino al 27 ottobre 2016, la sonda è stata impegnata a trasmettere gli oltre 50 GB dati raccolti durante l’incontro con il pianeta nano e il suo sistema; nel frattempo i suoi sensori raccoglievano informazioni, a distanza, su vari oggetti della fascia di Kuiper e su polveri, radiazioni e gas presenti in quell’ambiente, inesplorato, del sistema solare. Ai primi del febbraio 2017, il veicolo ha effettuato una correzione di rotta, accrescendo la propria velocità di 0,44 metri al secondo. Pochi giorni dopo il Mission Operations Center ha dovuto anche affrontare una piccola crisi, quando la sonda è stata per 24 ore in safe mode, a causa di un problema durante il caricamento di nuovi comandi.
Solo il 7 aprile, quando New Horizons era ormai giunta a metà della distanza di 1,564 miliardi di km che doveva percorrere tra Plutone e Ultima Thule, il team dell’APL le ha concesso il primo periodo di “riposo” dal 2014 (ossia dopo 852 giorni di attività ininterrotta) che è durato fino all’11 settembre 2017.
La pausa, ovviamente, ha riguardato la sonda, non i tecnici coinvolti nella missione che non solo hanno dovuto lavorare sui dati raccolti e sul programma del prossimo flyby, ma anche sullo stesso misterioso obiettivo di tale incontro ravvicinato. MU 69 2014 o “Ultima Thule”, come è stato ribattezzato a seguito di un concorso pubblico conclusosi nel marzo scorso, è infatti un oggetto molto meno conosciuto di quanto fosse Plutone prima delle spettacolari immagini offerte da New Horizons. Anche nelle foto di Hubble, che lo ha scoperto quattro anni fa, non si mostra che in pochi pixel confusi.
Tra il 3 giugno e il 17 luglio dell’anno scorso, i ricercatori dell’APL hanno tentato di ottenere qualche informazione in più sulla sua forma, sfruttando l’occasione di tre occultazioni stellari causate dal piccolo oggetto della fascia di Kuiper. Si è trattato di un tentativo molto ambizioso, dal momento che si doveva cogliere l’ombra proiettata sulla terra da un corpo celeste non più grande di 30-40.000 metri e distante 6 miliardi e mezzo di chilometri. Per portalo a termine con qualche probabilità di successo occorrevano dati molto precisi su dove compiere le osservazioni, che sono stati ottenuti grazie ad Hubble, ma anche alle più recenti misurazioni di GAIA, rese accessibili da ESA in anteprima.
Attraverso il dispiegamento di squadre dell’APL in varie parti del globo e l’impiego dell’ “osservatorio volante” SOFIA (“Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy”) si è riusciti ad ottenere risultati piuttosto interessanti. Sembra certo che MU 69 non abbia un normale profilo sferico. Potrebbe trattarsi di un oggetto piuttosto allungato – con una forma a patata (o ad arachide) molto diffusa nel sistema solare, ma non comune in un corpo così grande – o, più facilmente, di un sistema binario, costituito da due elementi del diametro di 15-20 km, orbitanti a breve distanza attorno ad un comune centro di gravità. Non si può escludere che i due corpi si trovino “a contatto”, ossia che formino un corpo unico, e che quindi Ultima Thule abbia un aspetto molto simile a quello della cometa 67P Churyumov-Gerasimenko visitata dalla sonda Rosetta, sebbene sia di maggiori dimensioni. Le osservazioni da terra renderebbero ipotizzabile anche la presenza di un piccolo satellite orbitante a poche centinaia di km dal sistema binario principale.
Nell’intervallo di tempo tra il primo risveglio e la seconda ibernazione (settembre-dicembre 2017) New Horizons ha effettuato una seconda correzione di rotta, il 9 dicembre, con un’accensione dei thruster di 152 secondi che ha accresciuto la sua velocità di 1,51 metri al secondo, e ha infranto un primato del Voyager-1 che durava da 27 anni. L’immagine dell’ammasso aperto NGC 3532, inquadrata dalla camera LORRI il 5 dicembre a 6,12 miliardi di chilometri dalla terra, per quanto poco significativa come soggetto, costituisce la più lontana ripresa fotografica mai effettuata da una sonda automatica. Quando il Voyager-1 scattò la famosa foto in cui il nostro pianeta appariva come un “pallido puntino azzurro”, il 14 febbraio 1990, il veicolo si trovava a “soli” 6,06 miliardi di chilometri. Subito dopo Voyager-1 spense per sempre le sue camere.
Il programma del prossimo flyby
Ma quali sono i programmi per New Horizons dopo l’uscita dall’ultima ibernazione? Proprio in questi giorni stanno iniziando i preparativi per il flyby di Ultima Thule, che dureranno circa due mesi. Tra giugno e luglio saranno effettuati aggiornamenti del software di bordo, verranno recuperati gli ultimi dati scientifici sulla fascia di Kuiper raccolti dalla sonda anche durante il periodo di ibernazione, e si svolgerà una serie di controlli sui sottosistemi e sugli strumenti.
A metà agosto, il team invierà a New Horizons i comandi che attiveranno il sistema di stabilizzazione a tre assi, indispensabile per le osservazioni ottiche. Verranno effettuate riprese a distanza degli oggetti della fascia di Kuiper e, ai primi di settembre, potremmo disporre delle prime foto di MU 69 (probabilmente apparirà ancora come un puntino). Queste immagini, insieme ai dati di tracking raccolti dal Deep Space Network, aiuteranno i tecnici a perfezionare la rotta del veicolo, attraverso una serie di manovre (“Trajectory Correction Maneuver” o TCM), che potranno aver luogo in sette momenti, già prestabiliti, tra ottobre e dicembre.
Tra novembre e dicembre saranno anche svolte specifiche osservazioni relative all’ambiente che circonda Ultima Thule, al fine di comprendere i rischi insiti nell’avvicinamento all’oggetto (“Hazard avoidance observations”). Sulla base di questi dati, nella seconda metà di dicembre, sarà effettuata la scelta tra due possibili scenari di flyby (“Flyby distance decision”). Quello auspicato prevede un avvicinamento a Nord di Ultima, fino a 3.500 km dalla superficie, ma, qualora le osservazioni rivelassero la presenza di detriti o di altri piccoli satelliti, si sceglierà di tenersi ad una distanza di sicurezza di 10.000 km. In entrambi i casi si tratterebbe di un passaggio più ravvicinato rispetto a quello di Plutone, sorvolato a 12.500 km, e le immagini riprese potranno avere una maggiore risoluzione (nell’eventualità del flyby ravvicinato si potranno raggiungere i 70 metri per pixel a fronte dei 183 delle più dettagliate immagini scattate di Plutone).
Dopo appena una settimana, tra il 26 dicembre 2018 e il 3 gennaio 2019, inizierà la fase di flyby, culminante nel massimo avvicinamento a Ultima Thule, che sarà presumibilmente raggiunto alle 18.33 (ora italiana) del 1° gennaio, anche se sulla terra ne riceveremo conferma solo dopo le sei ore abbondanti necessarie ai segnali della sonda per raggiungere le antenne del DNS.
New Horizons restituirà parte dei dati raccolti sia prima che dopo il 1° gennaio, ma una “sfavorevole configurazione astrale” rallenterà di qualche giorno l’arrivo delle immagini più interessanti. Proprio a conclusione della fase di 9 giorni del flyby, tra 4 e 9 gennaio, la congiunzione con il Sole (ossia l’allineamento sonda-Sole-Terra) renderà impossibile la comunicazione con il veicolo che, comunque, continuerà a raccogliere dati. Trascorso questo periodo New Horizons sarà disposta in “spin mode”, ossia in una modalità di volo in cui l’assetto del veicolo è controllato attraverso la rotazione e la parabola puntata verso la terra, per iniziare il trasferimento dei dati memorizzati. Come già avvenuto per Plutone, questa operazione sarà piuttosto lunga e impegnerà sonda e team di terra fino al 2020.
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