SpaceX: debutto perfetto per il Falcon 9 Block 5
L’azienda di Elon Musk ha superato un importante traguardo con il primo volo della nuova versione del Falcon 9, nota con il nome di “Block 5”, che si è concluso con successo al secondo tentativo oggi, 11 maggio, con la messa in orbita di trasferimento geostazionaria del satellite bengalese Bangabandhu-1 e il recupero del primo stadio sulla piattaforma galleggiante OCISLY.
Il lancio, già più volte posticipato, era stato riprogrammato per le 23.47 (ora italiana) di giovedì 10, ma a T-58, appena due secondi dopo aver assunto controllo del lanciatore (il cosiddetto Startup), il computer di bordo bloccava il countdown. Gli ingegneri di SpaceX iniziavano il controllo dei dati per identificare il problema, riservandosi la possibilità di ridefinire un nuovo T-0, ma, dopo una ventina di minuti. l’avvicinarsi della chiusura della finestra di lancio imponeva lo scrub e il rinvio al giorno successivo.
Standing down today due to a standard ground system auto abort at T-1 min. Rocket and payload are in good health—teams are working towards tomorrow’s backup launch opportunity at 4:14 p.m. EDT, or 20:14 UTC.
— SpaceX (@SpaceX) May 10, 2018
Block 5: affidabilità e riusabilità
Nei piani di SpaceX il volo del Falcon 9 Block 5 rappresenta il coronamento di una lunga e continua fase di sviluppo, iniziata nel 2005. Il primo Falcon 9 v.1.0 è stato lanciato nel 2010 e da allora si sono succedute due principali versioni, la 1.1 (2013) e la 1.2, nota anche come “Full Thrust” (2016), ciascuna realizzata in differenti varianti (“block” in gergo) il cui esatto numero non è facile precisare. L’etichetta “Block 5”, comunque, dovrebbe identificare la quinta e definitiva forma della versione 1.2, anche se Musk – che evidentemente adotta un personale criterio di classificazione – insiste con il definirlo “Falcon 9 version 6”.
Il congelamento del “cavallo di battaglia” di SpaceX potrà permette alla casa Hawthorne di offrire sul mercato un prodotto stabile, esente dai rischi delle sperimentazioni del passato, di adempiere ai propri obblighi contrattuali con la NASA nell’ambito del programma Commercial Crew, (dal momento che questa versione potrà essere certificata per il volo umano) e soprattutto di dedicare le proprie risorse allo sviluppo del BFR (il “Big Falcon Rocket”) e alle connesse ambizioni interplanetarie.
Ma quali novità ha introdotto la nuova versione? Cosa la differenzia dalle precedenti? Nel corso di oltre un anno i rappresentanti di SpaceX ne hanno fornito varie anticipazioni e proprio alla vigilia del primo tentativo di lancio, nel corso di una teleconferenza per i media, lo stesso Elon Musk ne ha dato un quadro abbastanza completo. La chiave di lettura resta quella recentemente offerta da Hans Koenigsmann, vicepresidente del settore Build and Flight Reliability dell’azienda californiana: il nuovo Falcon è “un aggiornamento che combina affidabilità e riusabilità”.
Il Block 5 riassume sostanzialmente tutto ciò che abbiamo imparato sulla riusabilità. Ogni volta che recuperiamo un booster e procediamo a revisionarlo, troviamo cose che ci danno importanti lezioni per il prossimo “blocco”. Stiamo cercando di riunire tutti questi insegnamenti in un lanciatore che sia in grado di volare, essere recuperato, e volare di nuovo più volte senza bisogno di ricondizionamento.
SpaceX ha ampiamente dimostrato la possibilità di far tornare nello spazio primi stadi flight proven ma, al momento, ciò è avvenuto una sola volta per ogni booster e dopo aver impiegato un consistente lasso di tempo per revisionarli e rimetterli in condizioni di volo (l’intervallo più breve tra due missioni di un medesimo core, il B1029, conta 160 giorni). Il Falcon 9 Block 5 dovrebbe, poter tornare sulla rampa dopo sole 24 ore dall’atterraggio (è interessante notare come questo limite sia sceso rispetto ai 2 giorni delle precedenti dichiarazioni) e dovrebbe essere in grado di volare 10 volte o più senza bisogno di alcun ricondizionamento o con interventi minimi. Con opportune revisioni i singoli core dovrebbero poter essere riutilizzati anche un centinaio di volte.
Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi il nuovo Falcon 9 può contare su una serie di migliorie, a cominciare da varie protezioni in grado di salvaguardare il booster nelle delicate fasi di rientro e atterraggio, come un nuovo scudo termico nella base del primo stadio in cui il titanio ha sostituito il materiale composito e che viene anche raffreddato attivamente con acqua. L’octaweb, ossia la struttura che ospita i nove motori (ora fissata al razzo con bulloni e non più saldata, per facilitare ispezioni e manutenzione), è stata realizzata in materiale più resistente (lega di alluminio serie 7000) ed è in grado di proteggere i singoli propulsori da anomalie che interessino quelli vicini.
Ci poi sono nuovi elementi realizzati in fibra di carbonio, come l’interstadio, ossia la parte superiore del core, esposta agli esausti del motore del secondo stadio al momento dell’accensione di quest’ultimo, nuove zampe di atterraggio che potranno essere retratte automaticamente dopo il volo, senza bisogno di essere smontate, e naturalmente le nuove e più resistenti grid fins (le “pinne aerodinamiche” che aiutano a guidare il primo stadio durante il ritorno a terra) che sono già state sperimentate con successo sul Block 4. Realizzate in titanio sono capaci di resistere a temperature fino a 1.000° e non richiedono alcun intervento tra un volo e l’altro.
Concorrono a migliorare l’affidabilità del razzo anche nuovi serbatoi (COPV) dell’elio, realizzati in modo da evitare l’insinuarsi tra le fibre di carbonio dell’ossigeno liquido che, solidificandosi, ha causato l’esplosione del Falcon 9 destinato a lanciare Amos 6, nel settembre del 2016 (fino ad oggi incidenti di questo tipo sono stati evitati utilizzando un diversa procedura di carico dei propellenti) e modifiche alle turbopompe dei motori Merlin 1D+, nelle cui turbine, con l’uso, si è osservata la formazione di microfratture.
L’aggiornamento ha riguardato anche l’avionica. Il Falcon Block 5 dispone di un nuovo computer di volo, di un controllo più raffinato dei motori e di un più avanzato sistema di controllo inerziale.
Come avvenuto in occasione di tutti i precedenti aggiornamenti principali, anche in questo caso i propulsori hanno guadagnato un miglioramento nelle prestazioni. L’incremento di spinta è stimato attorno all’8%. Si sarebbe pertanto passati da 783 kN ad un thrust di circa 845 kN (a livello del mare) senza accrescere la massa del motore. Secondo Musk il Merlin sarebbe ormai il motore con il più alto rapporto thrust/peso esistente al mondo e a suo dire ci sarebbero margini per un ulteriore aumento della spinta.
Il Merlin 1D+ Vacuum del secondo stadio è stato invece potenziato del 5%, raggiungendo un thrust di 979 kN; questa capacità non è stata però impiegata nel volo di oggi, per evitare un aumento di vibrazioni.
Altre modifiche pertinenti i motori comprendono una nuova Merlin Throttle Valve (la valvola che permette di regolare la potenza dei Merlin) e il superamento della necessità di configurare in modo specifico il propulsore centrale del primo stadio. I motori possono ora essere integrati in due sole configurazioni, sulla base del fatto che siano destinati ad essere riaccesi (i propulsori che intervengono nelle fasi di rientro e di atterraggio) o meno (quelli utilizzati solo nella fase di ascesa). Si tratta evidentemente di dettagli, ma anche questi particolari possono contribuire a snellire le procedure di costruzione e manutenzione.
“La versione finale del Falcon 9 ha un sacco di piccoli miglioramenti che nell’insieme sono importanti” – possiamo riassumere con le parole di Elon Musk – “È incredibile come centinaia di piccole cose possono fare la differenza”. Molte di essi sono indispensabili per adempiere ai requisiti previsti dalla NASA per la certificazione al volo umano.
Prima che la Dragon V.2.0 propulsa dal Falcon 9 possa portare gli astronauti alla Stazione Spaziale, obiettivo che ufficialmente è ancora previsto per il 2019, occorreranno almeno 7 voli con successo della stessa versione, non modificata, del lanciatore. Al momento non risulta ancora del tutto chiaro se la missione che oggi è partita dal Kennedy Space Center potrà rientrare in tale novero, anche se Musk lo ha dichiarato possibile. Quello che è certo è che i “mille e mille e mille requisiti previsti” sono stati soddisfatti, in molti casi anche oltre i margini richiesti e lo stesso va detto anche rispetto alle esigenze di affidabilità per le missioni per conto dell’Air Force.
Per quanto l’aggiornamento del Falcon sia una questione di svariati piccoli dettagli, invisibili ai più, il razzo è apparso diverso sin dal suo primo apparire sul pad 39A, in occasione dello static fire, il test di accensione che si è svolto il 4 maggio scorso. Spiccava soprattutto la presenza di nuovi elementi di colore nero: l’interstadio e le più grandi zampe di atterraggio. Per certi versi il Block 5 ha un sapore antico, ricordando l’aspetto del Falcon 1 o i primi rendering dello stesso Falcon 9.
Altrettanto evidenti, anche se nascosti all’interno dei serbatoi, erano i nuovi contenitori pressurizzati per dell’elio; la procedura di rifornimento dei propellenti è diventata assai più veloce che nel passato recente (iniziando a T-35 minuti invece che a T-70 come nei voli precedenti). In pratica, SpaceX è tornata ad utilizzare la stessa timeline dei tempi di Amos-6, chiaro segno che non ci sono più timori che possano ripetersi esplosioni dei COPV.
Cronaca della missione
Il liftoff, al secondo tentativo dell’11 maggio, è avvenuto regolarmente alle 22.14. I nove motori del primo stadio, contraddistinto dall’identificativo B1046, hanno spinto il razzo per 2 minuti e mezzo, a cui ha fatto seguito, a pochi secondi dallo staging la prima accensione del Merlin 1D+ Vacuum del secondo stadio che è durata 5 minuti e 43 secondi.
Durante questo periodo si sono verificati la separazione del fairing (si trattava di uno dei nuovi fairing 2.0, progettati per il recupero che tuttavia non era programmato per questa missione) e le accensioni di rientro e di atterraggio del primo stadio, che si è posato regolarmente al centro della piattaforma “Of Course I Still Love You” a T+8 minuti e 10 secondi. La qualità video durante la diretta è stata inferiore a quella di altri lanci ma, nonostante varie interruzioni, è stato possibile cogliere la suggestiva immagine del nuovo booster dopo l’atterraggio.
Pochi istanti dopo si spegneva il motore del secondo stadio (SECO-1). Seguiva una ventina di minuti di volo balistico e una nuova accensione di 59 secondi. Trascorsi 5 minuti da SECO-2 si verificava puntualmente la separazione di Bangabandhu Satellite-1 nell’orbita prevista.
Successful deployment of Bangabandhu Satellite-1 to geostationary transfer orbit confirmed. pic.twitter.com/aX7kRQtBpZ
— SpaceX (@SpaceX) May 11, 2018
Il primo satellite bengalese
Con una massa di circa 3,6 tonnellate, il primo payload del Block 5, non ha rappresentato un carico particolarmente impegnativo dal punto di vista delle prestazioni del lanciatore. Bangabandhu-1 è il primo satellite per comunicazioni del Bangladesh; il nome, che suona piuttosto esotico, significa in lingua locale “amico del Bengala”, che è l’appellativo con cui i bengalesi ricordano Sheikh Mujibur Rahman, il principale fautore della secessione del paese dal Pakistan. Si tratta di una scelta simbolica perché con questa missione spaziale, molto sentita dall’opinione pubblica locale e un po’ colorita di accenti patriottici (come si è potuto vedere durante la diretta) il Bangladesh aspira, oltre a dimostrare il proprio avanzamento tecnologico, a conquistare l’autonomia nel campo dei servizi di telefonia mobile, televisione e internet, per i quali è stato fino ad oggi dipendente da operatori stranieri, e che ora potrà a sua volta rivendere ai paesi vicini, come Nepal, Myanmar e Bhutan.
Bangabandhu-1 è stato costruito, sulla base di un contratto firmato nel 2015 con la Bangladesh Telecommunication Regulatory Commission, da Thales Alenia Space sulla sua piattaforma Spacebus-4000B2 ed è dotato di 14 transponder in banda C e di 26 in banda Ku. Una volta giunto nell’orbita definitiva, grazie alla propulsione a motori liquidi di cui dispone, sarà collocato alla longitudine 119,1° Est.
Ecco alcune immagini della preparazione del satellite, diffuse qualche giorno prima del lancio da Thales Alenia Space
#Bangladesh’s first communications #satellite on track https://t.co/668wiNyd2q #Bangabandhu Satellite-1 to be launched in the upcoming days from #capecanaveral , using a @SpaceX ’s #Falcon9 #rocket. #Florida #digitaldivide #Employment #economicdevelopment @telespazio pic.twitter.com/1THSV8me1b
— Thales Alenia Space (@Thales_Alenia_S) May 4, 2018
Il futuro del Falcon 9
Il volo di oggi sarà seguito nelle prossime missioni da un breve ritorno al Block 4. Infatti, sia Iridium NEXT 6/GRACE-FO, in programma da Vandenberg il 19 maggio, sia SES-12, che invece dovrebbe partire da SLC 40 di Cape Canaveral il 24, voleranno con vettori con primo stadio usato. Poi si inizierà ad utilizzare (e riutilizzare) stabilmente il Block 5.
Secondo il fondatore di SpaceX il Falcon 9, che potrà ancora subire piccoli ritocchi, ma nessun ulteriore aggiornamento (non ci sarà nessun Block 6), sarà in grado di effettuare 300 voli prima di essere ritirato. Probabilmente non ci sarà il tempo per sfruttare a fondo tutte le sue potenzialità di riutilizzo, perché sarà presto soppiantato dal BFR, su cui saranno presto concentrati gli sforzi di sviluppo.
Elon Musk ha però ancora in mente ancora un paio di sfide che riguarderanno il suo “cavallo di battaglia”. Nella conferenza di giovedì ha rivelato che intende portare avanti i piani per il recupero del secondo stadio, iniziando già con il volo del Bangabandhu-1 a raccogliere dati sul suo rientro, dopo l’accensione di disimpegno che lo ha portato a cadere sul Pacifico. In seguito, già nel corso di quest’anno, si proverà gradualmente a dotare l’upperstage di protezioni termiche, per verificare quanto potrà costare in termini di massa, farlo giungere a terra in condizioni che gli permettano di tornare nello spazio.
Questo sforzo, insieme a quello per il recupero del fairing (componente che incide per circa il 10% sul valore del razzo) dovrebbe portare, nel tempo, a ridurre il costo di un Falcon 9 a cinque-sei milioni di dollari. Ovviamente la riduzione del prezzo per i clienti non sarà così importante (attualmente il lancio su un Falcon 9 usato viene venduto a 50 milioni a fronte dei 60 per un vettore nuovo), perché SpaceX deve ancora recuperare le risorse già investite nello sviluppo della riusabilità e trovarne per i nuovi progetti (BFR e satelliti Starlink). Musk, tuttavia, si dichiara soddisfatto nel notare che le sue iniziative hanno già portato altre aziende ed altri paesi a ridurre i prezzi e a studiare soluzioni per il riutilizzo dei veicoli spaziali. In fondo lo scopo della sua azienda è quello di facilitare all’umanità l’accesso allo spazio e ciò non si potrà ottenere se non abbattendo i costi.
La seconda sfida, che il fondatore di SpaceX ha in mente di affrontare entro l’anno prossimo, sarà quella dei due voli in 24 ore, ossia la dimostrazione dell’effettiva possibilità di riutilizzare il Falcon 9 in tempi minimi, senza ricondizionamento.
Ci vorrà un po’ di tempo, saremo molto attenti e prudenti, ma penso che sarà davvero notevole lanciare un razzo di classe orbitale – lo stesso razzo! – due volte in un giorno. Perché c’è tanto lavoro da fare in un giorno solo, come trasportare il razzo dal luogo di atterraggio al sito di lancio, montare un nuovo satellite, caricare il propellente e partire. Tutto questo dovrà essere fatto in 24 ore e mantenendo un livello molto alto di sicurezza per la missione. Sarà straordinariamente difficile, ma penso che sarà un risultato molto eccitante.
Video della diretta del lancio
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