Nel marzo scorso il direttore della divisione NASA dedicata alla scienza planetaria, Jim Green, ha fatto una dichiarazione piuttosto importante per la programmazione e soprattutto la progettazione delle prossime missioni scientifiche del programma Discovery: ha annunciato la possibilità di utilizzare fonti di alimentazione nucleare.
Il programma Discovery è stato istituito nel 1992 con lo scopo di realizzare missioni a basso costo ma altamente specializzate e dallo sviluppo veloce secondo lo slogan del suo principale sostenitore, in quel momento amministratore NASA, Daniel Goldin: faster, better, cheaper che può essere interpretato con rapido, migliore ed economico. In quest’ottica e dovendo far fronte a una certa penuria di plutonio 238 (e quindi riservato all’alimentazione di missioni più delicate come Mars 2020, Dragonfly e alcune missioni lunari), l’agenzia aveva deciso di porre come requisito nel prossimo bando di selezione delle missioni da finanziare il non utilizzo di fonti nucleari (in pratica RTG alimentati a isotopi radioattivi e non certo reattori veri e propri) per l’alimentazione delle strumentazioni scientifiche e non delle sonde proposte.
Tutto ciò era stato reso ufficiale in un annuncio rilasciato il 12 dicembre relativo alla pianificazione a lungo termine del programma che ha confermato un indirizzo visto che sia la missione più recente InSight (lanciata da pochi giorni, il 5 maggio) sia le ultime missioni selezionate nel 2017 (Lucy e Psyche) sono e saranno alimentate da pannelli solari nonostante sia indirizzate in zone del sistema solare poco vantaggiose da questo punto di vista. Nell’annuncio si era lasciato aperto un piccolo spiraglio permettendo l’utilizzo di fonti radioattive per il riscaldamento delle componenti nel rigido ambiente spaziale.
Il requisito era stato confermato dallo stesso Green in febbraio in un intervento all’incontro del Planetary Science Advisory Gruop di NASA in cui aveva detto chiaramente che il vincolo sull’uso di alimentazione da radioisotopi era una scelta dettata dal buon senso dovendo destreggiarsi tra la scarsità di materiale e il suo uso in missioni più in alto nella scala delle priorità. Il tutto era stato messo bene in evidenza dall’affermazione “l’ultima cosa che vogliamo è scegliere una missione e poi non essere pronti a farla volare”, chiaramente riferita a un eventuale mancanza di plutonio. Ma anche in questo caso un piccolo spiraglio era stato lasciato aperto quando su richiesta dei partecipanti e confermando gli sforzi del Dipartimento dell’Energia di raggiungere l’obiettivo di produrre 1,5 chilogrammi all’anno dell’isotopo 238 entro il 2020, lo stesso Green aveva comunque confermato che il requisito era ancora in discussione e non ancora confermato.
Va ricordato infatti che la pianificazione e quindi la definizione dei requisiti per le prossime missioni è ancora in fase iniziale con l’agenzia che pensa di rilasciare una bozza preliminare di richiesta di interesse per settembre 2018 seguita a febbraio 2019 dall’annuncio ufficiale rivisto in base anche i suggerimenti inviati nel frattempo dai possibili partecipanti. La prima selezione dovrebbe quindi avvenire nel dicembre 2019 con la scelta definitiva programmata per giugno 2021 e una data di lancio prevista per non oltre la fine del 2026. C’è tutto il tempo quindi per valutare bene la situazione e la scelta migliore.
E infatti poco meno di un mese dopo, in marzo, lo stesso Green partecipando al 49th Lunar and Planetary Sciences Conference tenutosi a The Woodlands in Texas, aveva confermato i contatti tra NASA e Dipartimento dell’Energia per la verifica delle forniture attuali e future di plutonio 238. Nelle sue parole poi le considerazioni sulle scorte, gli approvvigionamenti e l’utilizzo previsto permetteva un certo ottimismo su un eventuale uso nelle future missioni Discovery in particolare per la possibilità di approntare probabilmente due generatori termoelettrici a radioisotopi multi-missione (multi-mission radioisotope thermoelectric generators, MMRTG). Ottimismo alimentato dal fatto che comunque le eventuali missioni sarebbero non immediate e dai progressi del Dipartimento dell’Energia, nonostante le preoccupazioni espresse dal GAO (Government Accountability Office, la Corte dei Conti degli Stati Uniti), nel raggiungimento dell’obiettivo di produzione annuale.
In questo stesso evento poi Green si era dimostrato piuttosto soddisfatto arrivando a dichiarare: “Complessivamente, la scienza planetaria sta andando incredibilmente bene”, elencando di seguito i progressi avuti in un gran numero di missioni ma anche e soprattutto commentando la proposta di bilancio di NASA per il 2019 che destina 2,2 miliardi di dollari alla scienza planetaria. “Questo è spettacolare. La scienza planetaria non ha mai avuto una disponibilità così alta.”
Punzecchiato sul fatto che questi fondi fossero il frutto di tagli ad altri programmi scientifici o comunque di qualcos’altro del governo federale, Green ha puntualizzato che negli anni passati la scienza planetaria aveva subito significativi tagli di bilancio a favore di altri uffici NASA. “Molti di noi hanno vissuto tempi molto austeri”, ha detto. “Ora è il nostro momento di stare alla luce del sole”.
A questo punto non resta che rimanere in attesa se questa rinnovata disponibilità di fondi e, probabilmente, di plutonio 238 si tradurrà in settembre e successivamente in febbraio 2019 in una richiesta di proposte che non abbia restrizioni sulle fonti energetiche cosa che darebbe più libertà ai progettisti e agli scienziati nell’ideazione delle missioni proposte.
Fonte: Spacenews.com