Addio a Stephen Hawking, lo scienziato divenuto icona alla cosmologica potenza
Nato nel giorno del trecentesimo anniversario della morte di Galileo, Stephen Hawking si è spento all’età di 76 anni, nel giorno in cui ricorreva il compleanno di Albert Einstein e il ‘Pi day’. Con lui, oltre allo scienziato, se ne va una fonte d’ispirazione per diverse generazioni di studiosi, appassionati di scienza e persone comuni, ma anche un grande sostenitore e avvocato dell’esplorazione dello spazio.
Non è mai stato facile parlare di Stephen Hawking e lo è ancora più adesso che è morto, specialmente dal punto di vista del semplice appassionato di scienza e di spazio. Spesso grandi divulgatori diventano grandi icone e le complessità delle loro storie personali si fondono con l’ancora più complessa ramificazione della loro presenza nella cultura popolare. Stephen Hawking è stato uno degli scienziati più autorevoli a cavallo di due secoli, i suoi contributi sono stati estremamente rilevanti per la cosmologia, ma è stato soprattutto un comunicatore della scienza e della scoperta dello spazio. La sua stessa vita, contraddistinta dall’immobilità causata da una forma a lenta progressione di sclerosi laterale amiotrofica, è stata l’immagine di un radicale compromesso con la scienza, che da un lato non è riuscita a guarirlo e dall’altra gli ha dato la possibilità di mantenere un contatto con il mondo: questa sorta di paradosso ha contribuito a farlo diventare una figura estremamente nota anche a livello popolare, trasformandolo in un’icona della scienza così conosciuta da rivaleggiare con quelle di Albert Einstein, di Newton e Galileo. Egli stesso ha attribuito la sua grandissima notorietà soprattutto alla sua immagine di “genio disabile” più che alle ricerche scientifiche condotte, ma la diffusione delle sue opere divulgative è alla base della capillarità con la quale Hawking è riconosciuto. Il libro alla quale è collegata la celebrità planetaria di Stephen Hawking prima di ogni altra sua opera, è un saggio di divulgazione cosmologica che si stima abbia venduto più di 10 milioni di copie in vent’anni. “Dal Big Bang ai buchi neri” è stato pubblicato per la prima volta nel 1988 (e quest’anno ne ricorre tra l’altro il trentennale) e da allora avuto altre tre edizioni in lingua originale, essendo nel frattempo tradotto in quaranta lingue diverse. Non si contano poi i documentari che ne hanno ripreso i contenuti, le trasmissioni televisive e i film che hanno divulgato quanto scritto e vissuto da Hawking. In molti casi i detrattori lo hanno accusato di reiterare continuamente nei testi pubblicati in seguito gli stessi concetti contenuti in questo libro, e questo è parzialmente vero, se si considera che specialmente in anni recenti, la tendenza delle case editrici è stata quella di monetizzare il più possibile su quanto proveniva da Hawking. Sono state poi gettate ombre importanti sulla sua figura di uomo: da pessimo marito a misogino, da narcisista a scrittore di massime banali, per le quali sarebbe bene aprire un discorso a parte per inquadrarle nell’appropriato contesto, evitando di leggerle stand alone come versioni scientifiche dei bigliettini dei Baci Perugina. Ma al di là della complessa figura di Hawking, per mettere a fuoco la quale non basteranno altri film biografici né saggi enciclopedici sulla sua attività di ricerca, il professore di Cambridge è stato un riferimento generazionale, specialmente per chi è nato negli anni sessanta e settanta e che ha incontrato Hawking nel momento della sua ascesa di popolarità e l’ha lasciato solo ieri. O meglio, è lui che ha lasciato loro, lasciando l’eredità di una preziosa ispirazione che vivrà a lungo.
Tra queste ispirazioni c’è senza dubbio quella dell’esplorazione dello spazio, che ha guidato in molti ad appassionarsi all’astronomia e all’astronautica. Anche quella sorta di cabala scientifica casuale che l’ha visto nascere 300 anni esatti dalla morte di Galileo e morire nel giorno del compleanno di Einstein e nel “Pi Day” ha contribuito in qualche modo. Egli stesso diceva: «sono nato l’8 gennaio del 1942, nel trecentesimo anniversario della morte di Galileo. Stimo che in quello stesso giorno siano nati nel mondo altri 200.000 bambini: mi chiedo quanti di loro hanno maturato un interesse per l’astronomia». Tutta la sua carriera è stato un continuo tentativo di prevedere il futuro e in quel futuro, Hawking ha sempre visto l’umanità finalmente capace di lasciare la Terra per esplorare lo spazio. In alcuni casi le previsioni di Hawking (va detto: nella maggioranza) son state a tinte fosche e la colonizzazione dello spazio è una conseguenza preminente del pessimo stato in cui la Terra versa, a causa dell’irresponsabilità umana, degli sconvolgimenti climatici in cui l’uomo l’ha cacciata o a seguito di guerre.
La sua ultima dichiarazione in merito all’esplorazione spaziale è stata in una conferenza tenuta in Norvegia nel giugno dello scorso anno, in cui Hawking ha detto: «Stiamo esaurendo il tempo a nostra disposizione e gli unici luoghi che ci rimangono sono altri pianeti. E’ giunto il tempo di esplorare altri sistemi solari. Espanderci nello spazio potrebbe essere l’unica salvezza che abbiamo da noi stessi. Sono profondamente convinto che l’umanità deve lasciare la Terra». Ma i toni non sono sempre stati questi. Hawking è stato capace anche di impulsi estremamente positivi. Per esempio, è stato nel consiglio di amministrazione di Breaktrough Starshot, il progetto da 100 milioni di dollari che mira a lanciare una flotta di piccole sonde spinte da raggi laser e vele solari verso il sistema planetario extrasolare più vicino. Ha così contribuito ad annunciare il progetto nell’aprile del 2016 e in quella sede la visione del futuro di Hawking è apparsa essere molto più luminosa ed incentrata sul fatto che, sì, le sonde di Breaktrough Starshot non trasportano equipaggio, ma un domani potrebbero arrivare a farlo, mirando a raggiungere Marte in poche settimane di viaggio.
Hawking ha sempre avuto un desiderio profondo di raggiungere lo spazio e sebbene non sia mai riuscito a concretizzare questo suo sogno, ha avuto l’opportunità di volare su un Boeing 727 della Zero Gravity Corporation nel 2007 che gli ha fatto sperimentare l’assenza di gravità mediante le traiettorie paraboliche. A quell’epoca Hawking disse che vedeva quell’esperienza come un passo preparatorio verso il volo nello spazio. Richard Branson è stato infatti un convinto sostenitore della causa e avrebbe voluto poter aiutare Hawking a sperimentare almeno un volo sub-orbitale sul suo SpaceShipTwo. Branson aveva offerto il volo a Hawking nel febbraio del 2016 e ovviamente il professore aveva accettato. Il messaggio di risposta di Hawking era servito così a Virgin Galactic per promuovere il battesimo dello spazio-plano con il nome di VSS Unity. Il professore è stato l’unica persona a ricevere un posto gratis per un viaggio nello spazio: sfortunatamente i tempi di sviluppo e di prova dello SpaceShipTwo non hanno consentito ad Hawking di prendere parte al volo inaugurale. Il sogno di Hawking di viaggiare nello spazio è è ben visibile anche nella serie postuma realizzata per Curiosity Stream, una casa di produzione di documentari basata nel Maryland che ha realizzato con Hawking gli episodi dei suoi “Favorite places” e che in occasione della sua morte è stata distribuita in chiaro fino al 23 marzo.
Anche le sue posizione sulla vita extraterrestre sono sempre state aperte, ma non del tutto positive. In questo senso Stephen Hawking ha sostenuto che possano esistere quasi sicuramente forme di vita intelligente extraterrestre nell’universo, adducendo come spiegazione di base le dimensioni dell’universo stesso. Tuttavia la sua posizione è stata quella secondo cui l’uomo farebbe meglio a non cercare un contatto diretto, perché se questi alieni esseri fossero ostili e riuscissero ad arrivare fino a noi, significherebbe che sono in possesso di una tecnologia così avanzata da poter distruggere la Terra e l’umanità in poco tempo.
Ma tra il chiaro e lo scuro delle sue visioni, Hawking è stato un brillante ispiratore per la passione di molti ad osservare il cielo e rimanere sempre aperti all’apprendimento. «Io sono come un bambino che non è mai cresciuto», ha detto una volta, «continuo a farmi domande sul come e sul perché e qualche volta ottengo le risposte». Ha incassato la diagnosi che gli fu fatta all’età di 21 anni, nel 1963, che diceva che gli sarebbero rimasti non più di due anni di vita e ha sopportato quanto la malattia gli ha inflitto, testimoniando in prima persona la fragilità umana. Ma mentre il suo corpo si ritirava, la sua mente avanzava se possibile sempre di più e l’intermediazione della tecnologia gli ha permesso di rimanere nel mondo senza rinunciare alla sua ironia. Alla fine, di anni se n’è presi più di 50 e ha fatto della sua vita qualcosa di esemplare per come ha saputo diffondere la scienza e l’impulso ad esplorare. La morte è stata qualcosa che ovviamente ha sempre considerato, dato che non c’era anno in cui non si annunciava un suo peggioramento di salute e tutti i media cominciavano ad esprimere la preoccupazione che quelli fossero gli ultimi momenti della sua vita. «Non ho paura della morte» ha detto più volte, «ma non ho fretta, ho ancora molto che voglio fare prima di morire». La sua ironia finale è stata quella di andarsene in un momento in cui nessuno se lo aspettava, dopo appena più di un anno dal suo settantacinquesimo compleanno, quando il mondo aveva celebrato la sua longevità nonostante tutte le quasi-morti che aveva sperimentato. Una delle sue massime più note e più criticate per la loro presunta banalità, recita: «Per quanto possa sembrare brutta la vita c’è sempre qualcosa che si può fare e con successo. Perché finché c’è vita, c’è speranza». A scapito delle fosche previsioni fatte con il pessimismo della ragione, in queste parole si legge l’ottimismo della sua volontà di ferro, un’autentica, grande fiducia nei confronti dell’umanità e nella continuità del suo futuro. Non solo perché dette dalla sua posizione, sono echi potenti di chi ha sperimentato la speranza e la sua assenza, ma anche perché da ateo, parlano di una visione estremamente positiva della vita, capace di aprirsi una via nonostante le avversità. Che tutti noi possiamo sempre guardare al cielo, all’umanità e al futuro con gli stessi occhi.
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Impariamo anche noi, nella vita non arrendersi mai e guardare sempre al futuro
da oggi siamo tutti un po piu’ soli
buon viaggio Stephen
Tutti dobbiamo imparare da una persona così geniale. Indubbiamente l’umanità ha perso una delle sue migliori menti.
Ottimo articolo.