Un satellite europeo per la rilevazione della plastica negli oceani

Credit J. Veiga

L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha avviato il programma “Remote Sensing for Marine Litter” per monitorare dallo spazio la concentrazione di inquinanti plastici presenti nei mari ed oceani del pianeta.

Ogni qualvolta un rifiuto plastico viene gettato a terra, se non raccolto inizia un lungo percorso che prima in strada, poi in canali di scolo o fossi e quindi in corsi d’acqua sempre maggiori, lo porta a raggiungere un mare o un oceano. Con il passare del tempo l’azione congiunta delle onde, raggi UV e salinità dell’acqua lo disgrega in pezzi sempre più piccoli, diventando un problema per la fauna marina, entrando nella catena alimentare e potenzialmente tornando a noi che l’abbiamo creato.

Accumulo di plastiche su scala globale. Credit http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0121762

Ogni anno almeno 10 milioni di tonnellate di rifiuti plastici si riversano in mare e portati dalle correnti oceaniche, si concentrano in determinate aree del globo, soprattutto al centro dell’oceano Pacifico, ma la presenza è stata ormai rilevata anche ai poli.

Lo scorso settembre due team europei, Argans Limited in Francia e Plymouth Marine Laboratory in Gran Bretagna, hanno iniziato a studiare, in collaborazione con esperti in campo marino, come poter monitorare la presenza della plastica tramite tecnologie all’infrarosso.

Credit ESA

“Misure indirette dallo spazio sono già in uso per avere un’idea del problema della plastica marina”, ha affermato Paolo Corradi, manager del progetto ESA.
“Grazie ai satelliti siamo in grado di avere mappe dettagliate delle correnti oceaniche e quindi simulare i percorsi e le zone di accumulo della plastica, soprattutto nel Pacifico, Atlantico ed oceano Indiano.

Questo nuovo progetto verificherà la possibilità di tracciare otticamente le concentrazioni della plastica dai satelliti. Sembra una missione impossibile, ma sopra una certa concentrazione abbiamo ragione di credere che sia una cosa fattibile.
Non stiamo parlando di fotografare la plastica galleggiante, bensì di identificare una distinta firma spettrale della plastica nel campo dell’infrarosso, nello stesso modo in cui attualmente siamo in grado di identificare le concentrazioni del fitoplancton, sedimenti sospesi e vari inquinanti marini.

La plastica ha una specifica impronta nell’infrarosso e questa sua caratteristica viene già sfruttata dall’industria del riciclo per separarla da altri rifiuti direttamente sui nastri trasportatori.
Con questo progetto sperimentale, usando tecnologie esistenti, speriamo di farci un’idea della concentrazione che sarà rilevabile dall’orbita. Se questo non ci soddisferà potremmo optare per effettuare le rilevazioni da aerei ad alta quota o migliorare la tecnologia.
Il nostro obbiettivo è quello di realizzare una mappa globale che mostri la concentrazione della plastica, le simulazioni vanno bene ma un riscontro visivo generato da dati reali avrà sicuramente un maggior impatto sugli scienziati, pubblico e politici.
Il solo monitoraggio certo non risolverà la situazione, ma darà un’idea della gravità del problema per iniziare a risolverlo”.

Fonte, ESA.

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Commenti

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Simone Montrasio

Appassionato di astronautica fin da bambino. Dopo studi e lavoro nel settore chimico industriale, per un decennio mi sono dedicato ad altro, per inserirmi infine nel settore dei materiali compositi anche per applicazioni aerospaziali. Collaboro felicemente con AstronautiNEWS dalla sua fondazione.

Una risposta

  1. MayuriK ha detto:

    Mi sembra un’ottima idea!