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Addio a John Young, l’astronauta dei record

John Young ai tempi della missione Apollo 16. Credit: NASA

All’età di 87 anni è scomparso John Young, che nei suoi 42 anni di carriera, la più lunga come astronauta alla NASA e come astronauta in generale, ha contribuito a fondare la corsa allo spazio del ventesimo secolo, volando in ben tre storici programmi: Gemini, Apollo e Shuttle.

Nella giornata di sabato, la NASA ha diffuso la notizia della morte di John Watts Young, l’astronauta che forse più di ogni altro e senza distinzione di nazionalità, ha percorso in prima linea la storia dell’esplorazione spaziale. John Young è stato infatti a buon titolo una delle colonne portanti dell’epoca d’oro dell’era spaziale. La sua è stata una vita dedicata al volo, all’esplorazione e alla ricerca. Non è stato il primo uomo nello spazio né sulla Luna, l’uomo della strada forse non ricorda il suo nome, ma il suo operato ha attraversato tutta la storia del volo spaziale del secolo scorso, facendolo diventare senza mezzi termini l’uomo dei record, una leggenda a pieno titolo. Nessuno come lui ha totalizzato primati che si potrebbero giudicare minori, ma che ogni volta hanno richiesto coraggio e abnegazione, aprendo la strada a nuove frontiere.

È stato il primo uomo a volare nello spazio per sei volte (o sette, se si considera anche il decollo con il modulo lunare dalla superficie della Luna nel 1972 con l’Apollo 16) e l’unico astronauta a comandare quattro tipi diversi di veicoli spaziali (cinque includendo il rover lunare). Era stato scelto dall’agenzia spaziale americana nel 1962, nella seconda tornata di selezioni dopo i Mercury Seven, insieme a Neil Armstrong e a Jim Lovell. Da lì, John Young ha completato due missioni Gemini, due missioni Apollo e due missioni Shuttle, di cui una era il volo inaugurale nello spazio del nuovo sistema di trasporto nell’orbita bassa della NASA. È stato uno dei tre soli astronauti a lanciarsi due volte verso la Luna, il primo ad orbitarla da solo nel 1969 con l’Apollo 10 e il nono uomo a camminare su di essa nel 1972 con l’Apollo 16. In totale Young ha registrato 34 giorni, 19 ore e 39 minuti nello spazio, incluse 20 ore e 14 minuti passeggiando sulla Luna.

John Young testa la capsula Gemini III il 6 gennaio 1965

John Young ha completato la prima delle sue sei missioni nel volo inaugurale di un veicolo Gemini con equipaggio, la Gemini III nel 1965 insieme a Gus Grissom, membro dei Mercury Seven poi morto nell’incidente dell’Apollo 1 nel 1967. Insieme misero in orbita il primo veicolo Gemini in una missione di sole cinque ore, nella quale diede anche un morso o due al famigerato panino portato in orbita senza autorizzazione della NASA e che riempì di briciole l’abitacolo del veicolo. Il secondo volo di Young avvenne nel luglio del 1966 con la missione Gemini X: tre giorni a 760 km dalla superficie terrestre per valutare il rischio posto dalle radiazioni sugli astronauti. Insieme al collega Michael Collins completò anche il primo doppio rendezvous, con due veicoli Agena.

Nel maggio del 1969, a bordo dell’Apollo 10, divenne il primo uomo ad orbitare da solo intorno alla Luna, mentre Gene Cernan e Tom Stafford testavano il modulo lunare ad una distanza di 14 km dalla superficie dalla Luna. Una prova che sarebbe stata decisiva per il primo atterraggio dell’Apollo 11 di lì a due mesi. Durante il loro ritorno sulla Terra, Young, Cernan e Stafford stabilirono il record di velocità per una capsula spaziale: 39.897 km/h toccati il 26 maggio del 1969.

John Young e il rover lunare dell’Apollo 16 nell’aprile del 1972

Nel 1972 Young ebbe la sua chance per camminare sulla Luna, come comandante della missione Apollo 16.  «Alla partenza da Cape Kennedy» confessò Charlie Duke, che scese con lui sulla Luna, «io avevo 130 battiti al minuto. Jonh 75… Incredibile. La sua tranquillità in quei momenti ci diede sicurezza».  Durante la missione guidò anche il rover lunare nel famoso “Grand Prix” del 21 aprile 1972, dove stabilì il record di velocità a poco meno di 18 km/h (sarebbe stato superato di poco solo da Gene Cernan nel dicembre di quell’anno). Durante quei tre giorni sulla Luna, in cui esplorò 26 km di superficie, ricevette la comunicazione da Terra che il congresso aveva votato a favore del programma Shuttle. Di lì a nove anni, Young avrebbe fatto ancora una volta la storia, comandando proprio la prima missione nello spazio nel nuovo veicolo di trasporto per l’orbita bassa terrestre.

John Young a bordo dello Shuttle Columbia, aprile 1981

Young partì insieme a Bob Crippen sul Columbia il 12 aprile del 1981 per il volo inaugurale dello Shuttle, che per come era stato progettato, a differenza del Buran sovietico, non poteva essere testato nello spazio senza un equipaggio. Volare su un veicolo riutilizzabile per la prima volta nello spazio e condurre un rientro planato senza alcun test “automatico” precedente, fu una delle prove più coraggiose dell’intero programma spaziale americano. Anche questo potrebbe essere considerato un fatto scontato, ma appena cinque anni dopo, quando il Challenger esplose qualche secondo dopo il decollo, fu chiaro che lo Shuttle non era un mezzo così sicuro, e lo stesso Young arrivò a dichiarare che tutti gli astronauti che avevano volato prima di quella fatale missione STS-51L, erano stati estremamente fortunati a tornare vivi sulla Terra, lui compreso.

John Young comanda la missione STS-9

John Young concluse la sua serie di voli nello spazio comandando la missione STS-9, condotta sempre a bordo del Columbia, nel 1983. Anche quella fu una missione con una “prima volta”. In essa furono completati 73 esperimenti scientifici sul modulo di sperimentazione costruito in Europa e denominato Spacelab, per la prima volta appunto nello spazio.

Young era stato nominato a capo dell’ufficio astronauti della NASA nel 1974. Sotto la sua direzione, vennero completati l’Apollo-Sojuz Test Program, lo sviluppo dello Shuttle con il collaudo dell’Enterprise e i suoi test di atterraggio, e i primi 25 voli dello Shuttle. Occupò quella carica fino al 1987, quando fu nominato assistente speciale del direttore del Johnson Space Center, carica che ricoprì fino al 1996 per poi diventare direttore associato per gli affari tecnici per altri otto anni, fino al pensionamento definitivo dalla NASA nel 2004.

John Young era nato il 24 settembre 1930 a San Francisco, ma era cresciuto in Florida, dove i suoi genitori si erano spostati quando lui aveva 18 mesi. Laureatosi in ingegneria aeronautica nel 1952, entrò subito nella Marina Militare combattendo nella guerra di Corea. Si diplomò poi nel 1959 alla U.S. Navy Test Pilot School, dove divenne collaudatore iniziando i test sui sistemi di armamento dei caccia bombardieri Crusader e Phantom. Nel 1962 ebbe modo di infrangere dei record anche in quest’ambito, stabilendo i migliori tempi di ascesa da 3000 a 25000 metri a bordo dell’F-4 Phantom. Nel corso della sua intera carriera di volo, Young ha totalizzato più di 15000 ore a bordo di veicoli ad elica, jet, elicotteri e razzi.

Nel corso della sua carriera nella Marina e poi nei suoi 42 anni alla NASA, Young ha percorso la storia tecnologica e scientifica di un intero secolo. Ha assistito alla nascita del volo spaziale e ne è diventato un protagonista assoluto. Ha contribuito a risolvere i maggiori problemi e le sfide incontrate nello sviluppo di quasi ogni singolo veicolo che ha portato la NASA nello spazio e sulla Luna, raccogliendo tutti gli onori del caso, tra cui una medaglia d’oro del Congresso, sei lauree ad honorem e persino il nome di una strada: un tratto della Florida State Road 423 che passa per Orlando è nota come John Young Parkway, in suo onore.

John Young lascia la moglie Susy, due figli e tre nipoti, ma anche una schiera di ammiratori che senza ombra di dubbio hanno riconosciuto in lui un modello di dedizione, eroismo ed umiltà. Mentre il numero degli astronauti che hanno camminato sulla Luna scende a cinque ancora viventi, e mentre l’esplorazione spaziale fatica ad eguagliare le grandi imprese dell’epopea lunare, la vita di John Young ci ricorda che l’uomo può spingersi lontano nello spazio contro ogni limite ,e quel suo sguardo nelle foto sembra quasi dirci che tornerà a farlo.

 

 

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