Ritorno sulla Luna: l’agenzia spaziale indiana potrebbe essere la prima nel 2018
Mentre è aperto il dibattito sul ritorno alle missioni lunari per la NASA con rinvii sempre più frequenti, un’impresa esplorativa verso il satellite terrestre è ormai imminente. La sonda indiana Chandrayaan-2 sarà lanciata con ogni probabilità nel marzo del 2018.
Il lancio della missione dell’ISRO, Chandrayaan-2 potrebbe avvenire nel giro di quattro mesi e portare un orbiter, un lander e un rover sulla Luna, nove anni dopo la prima missione lunare indiana Chandrayaan-1. L’obiettivo di ISRO è estremamente ambizioso, sia perché costituirebbe il primo atterraggio morbido indiano su un altro corpo celeste, sia perché la missione sarebbe la prima a riportare un rover sulla Luna a quattro anni dalla missione cinese Chang’e 3 con Yutu. In ogni caso sarebbe anche la seconda missione ad atterrare sulla Luna dall’epopea delle missioni americane Apollo e sovietiche Luna negli anni ’70: un segno di come due ‘potenze spaziali’ emergenti siano in anticipo rispetto ai rinati piani della NASA per l’esplorazione lunare.
Il viaggio sulla Luna
Chandrayaan significa letteralmente ‘viaggio sulla Luna’ e a detta dei manager ISRO costituirà una pietra miliare per la futura esplorazione planetaria del sistema solare. Se tutto andrà secondo i piani, la sonda sarà lanciata tra quattro mesi dal centro spaziale di Sriharikota a bordo di un razzo GSLV Mk 2 (Geosynchronous Satellite Launch Vehicle Mark 2), che si configura come il più potente e recente lanciatore a disposizione dell’ISRO, dando così all’agenzia la possibilità di testarlo per la prima missione nello spazio oltre l’orbita bassa terrestre. La massa totale del payload sarà di 3250 kg, decisamente più elevata sia del predecessore Chandrayaan-1, sia del Mars Orbiter Mangalyaan, che totalizzavano una massa al lancio di circa 1300 kg, entrambi portati in orbita da un più modesto vettore PSLV (Polar Satellite Launch Vehicles). Il viaggio verso la Luna inizierà con il posizionamento della sonda su un’orbita ellittica, lungo la quale avverranno delle spinte progressive, applicate presso il pericentro dell’orbita per elevare gradualmente l’apogeo del veicolo spaziale. Quando quest’ultimo sarà sufficientemente distante dalla Terra, un’ulteriore spinta manderà Chandrayaan-2 lungo una traiettoria di inserzione lunare. Una spinta di inserimento in orbita sarà poi lo step con cui la missione si posizionerà in un’orbita ellittica intorno alla Luna, con riduzione progressiva del diametro a circa 100 km.
Tre missioni in una
Chandrayaan-2 includerà un orbiter, un lander e un rover. Anche se il maggiore investimento è stato fatto sull’orbiter, la cui missione durerà un anno, il lander e il rover dovranno dar prova di riuscire ad eseguire un atterraggio morbido e di condurre la loro missione, che sarà limitata a circa 14 giorni, ovvero la durata di un giorno lunare. Non è noto se, nel caso di successo, lander e rover potranno “risvegliarsi” nel giorno lunare successivo come accaduto a Chang’e 3 e al suo rover Yutu nel corso di diversi anni. Il luogo scelto per l’atterraggio del lander è vicino al polo sud lunare e avverrà in modalità totalmente automatica.
I sei strumenti imbarcati dall’orbiter sono pensati per una ricognizione scientifica orbitale ad ampio spettro.
- una doppia fotocamera per la mappatura in 3D della superficie lunare,
- uno spettrometro che avrà lo scopo di studiare le percentuali di elementi che popolano la superficie lunare, al quale è associato uno strumento di monitoraggio delle emissioni solari nei raggi X
- uno spettrometro che studierà la composizione della tenue atmosfera lunare
- un radar che eseguirà una mappatura della superficie lunare nelle bande S ed L dello spettro radio
- uno spettrometro all’infrarosso che cercherà di identificare la presenza di acqua allo stato molecolare nelle lunghezze d’onda tra 0.8 e 5 micron
- una fotocamera ad alta risoluzione che riprenderà il sito di atterraggio prima della discesa del lander
Il lander, di forma trapeizoidale (o meglio di piramide a base quadrata troncata) sarà dotato di un motore principale che erogherà una spinta di 800 newton e di otto razzi direzionali con la spinta di 50 newton ciascuno. Una volta atterrato sulla superficie lunare, estrarrà gli strumenti scientifici a sua disposizione:
- un sismometro per lo studio dei terremoti lunari
- un rilevatore per il rilevamento delle proprietà termiche del suolo lunare
- uno strumento per la misurazione della densità del plasma sulla superficie lunare e delle sue variazioni durante il giorno lunare.
Il rover sarà poi lo strumento mobile del lander. Dal peso di circa 20 kg, che lo rende assimilabile a Sojourner, il piccolo esploratore inviato dalla NASA su Marte con la missione Pathfinder nel 1997, userà lo stesso tipo di sospensioni dei rover marziani attuali, denominato rocker-boogie per il comportamento basculante dei carrelli che lo compongono. Sarà dotato di sei ruote indipendentemente motorizzate, ma a differenza dei rover NASA non avrà la ruota anteriore e posteriore sterzante. Per sterzare utilizzerà infatti diverse velocità applicate alle diverse ruote.
Il rover avrà una strumentazione scientifica alquanto limitata, date le sue piccole dimensioni. Sarà dotato di due fotocamere anteriori di navigazione e imbarcherà due strumenti principali, montati sulla sua parte inferiore: un spettroscopio laser e uno spettrometro a particelle alfa e raggi X. Entrambi gli strumenti avranno lo scopo primario di studiare la composizione del suolo lunare.
La luna è sempre più vicina
Se tutte le agenzie spaziali e l’impresa privata stanno guardando con sempre più rinnovato interesse alla Luna, sono missioni come Chandrayaan-2 a confermarci che anche i programmi spaziali più recenti e outsider non possono prescindere dall’esplorazione del satellite naturale della Terra, anche come palestra per proseguire verso nuovi obiettivi nel Sistema Solare. Il paradigma cinese ci dà un’idea di quello che potrebbe seguire nel programma di esplorazione indiano se questa missione avrà successo: come Chang’e 3 e i suoi eredi attualmente in fase di sviluppo, anche Chandrayaan-2 prelude ad una missione di prelievo di campioni di suolo lunare. A differenza della Cina, però, il programma indiano guarda ad una fattiva collaborazione con partner internazionali. Il primo ministro indiano Narendra Modi, infatti, ha di recente firmato un accordo con il primo ministro giapponese Shinzo Abe per una collaborazione nello sviluppo della missione di prelievo dei campioni lunari. A conferma di questo, anche la JAXA ha in programma una missione propedeutica con atterraggio morbido, denominata SLIM (Smart Lander for Investigating Moon) che dovrebbe essere lanciata nel 2019. La collaborazione è mirata ad ottenere il massimo dalla condivisione di esperienze, per colmare le lacune che certamente derivano da finanziamenti meno imponenti di quelli dei programmi cinese e statunitense.
Facendo un confronto con la Cina, sono stati necessari dieci anni ad India e Giappone per arrivare ad una missione con atterraggio o impatto sulla Luna, mentre a Pechino sono bastati sette anni per arrivare ad un rover e ad una missione che ha già simulato il prelievo di campioni dal suolo lunare come Chang’e 5-T1 nel 2014. Il know-how che Tokio ha da fornire a New Delhi è senza dubbio notevole: alla base della collaborazione c’è infatti lo sviluppo di una rete di telecomunicazioni per la conduzione delle missioni spaziali. Al momento entrambe le agenzie dispongono di un’antenna ripetitore per le comunicazioni con le sonde robotiche: una è da 32 metri di diametro ed è a Karnataka in India e l’altra è da 64 metri di diametro, a Nagano, in Giappone. Mentre le missioni di entrambe le agenzie hanno dovuto sin qui dipendere quasi totalmente dalla Deep Space Network americana, lo sviluppo di una rete autonoma potrebbe rendere più snello ed efficiente lo sviluppo e il controllo di nuove iniziative. Così come il programma spaziale cinese ha acquisito una porzione di territorio in Patagonia per costruire l’antenna mancante nell’emisfero occidentale, così anche India e Giappone dovranno trovare un modo per triangolare le comunicazioni su scala planetaria.
Se la storia dell’esplorazione spaziale ci ha insegnato come la competizione tra missioni si traduca sempre in una corsa a chi arriva primo, tutti questi progetti sono tuttavia dei passaggi affinché ci sia un unico autentico vincitore, il genere umano, che potrà beneficiare di scoperte scientifiche e miglioramenti tecnologici provenienti da uno o dell’altro programma di ricerca.
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Ottimo! Meno male che ci sono anche altri “competitor”, se aspettiamo la NASA diventiamo vecchi.