Voyager 1 riaccende i propulsori dopo 37 anni
Gli esperti della missione Voyager 1 al NASA JPL hanno inviato un comando di accensione dei propulsori alla sonda che si trova nello spazio interstellare da cinque anni. Mercoledì scorso la Voyager 1, da una distanza di 21 miliardi di chilometri, ha obbedito alla perfezione.
Per gli appassionati di esplorazione spaziale, ogni notizia che giunge a proposito delle missioni Voyager ha sempre un retrogusto dolce-amaro. Si tratta delle missioni spaziali ancora attive più longeve e chi ha seguito tutta o parte della loro storia, torna sempre con una certa nostalgia alle pietre miliari del loro viaggio nel Sistema Solare, fino a quella tarda estate di 40 anni fa quando entrambe furono lanciate cariche di tecnologia oggi ormai obsoleta, eppure apparentemente robustissima. Sebbene il momento in cui verrà decretata la perdita di segnale si avvicini sempre più, le notizie a proposito delle Voyager portano con sé sorprese scientifiche ancora oggi estremamente interessanti. Quella diffusa dalla NASA nella serata di ieri è di quelle che fanno pensare a quando si ritrovano vecchi giochi della nostra infanzia e con sorpresa si scopre che sono ancora funzionanti, le batterie non si sono deteriorate e quasi magicamente ripartono a distanza di così tanti anni. La Voyager 1 è la sonda robotica più lontana e più veloce ancora funzionante ed è l’unica a trovarsi nello spazio interstellare con la possibilità di inviare segnali da esso. Per questo è un po’ come il giocattolo più caro di quelli che abbiamo dispersi nello spazio, perché è l’apripista dell’umanità e in qualche modo (con materia, hardware e un intero disco di suoni ed immagini, non solo con segnale radio) porta la seppur flebile fiaccola della nostra presenza in un universo silenzioso.
La Voyager 1 si orienta nello spazio a mezzo di piccoli propulsori e in questo modo può raggiungere l’assetto necessario per disporre la sua antenna in modo da comunicare con la Terra. Questi propulsori si accendono a piccoli impulsi emettendo quelli che possono essere assimilati a “soffi” o “spruzzi” della durata di pochi millisecondi. Sotto l’azione di questi impulsi, la sonda è in grado di ruotare e orientarsi come richiesto. La notizia di ieri è che il team del programma Voyager ha ora a disposizione quattro propulsori di backup che non funzionavano dal 1980.
I propulsori di assetto della Voyager 1 sono 16, sono disposti intorno al corpo principale alla base dell’antenna e utilizzano idrazina come propellente. Tutti i propulsori delle Voyager sono stati realizzati dalla Aerojet Rocketdyne. Lo stesso tipo di propulsori, detti MR-103, hanno equipaggiato anche altre sonde della NASA come Cassini e Dawn. La NASA stima che la Voyager 1 abbia a disposizione abbastanza idrazina sino al 2040, mentre la sonda gemella, Voyager 2, a causa del tipo diverso di missione compiuta sino a qui, ne avrebbe solo fino al 2034. Discorso diverso per l’alimentazione elettrica di bordo, che come per ogni sonda robotica al lavoro nello spazio profondo e lontano dal Sole, è fornita da RTG (Radioisotope Thermoelectric Generator), generatori elettrici che funzionano con plutonio-238. Alla data del lancio, le RTG delle Voyager erogavano 470 watt di potenza, mentre ora ne erogano meno di 280 e si stima che tra il 2020 e il 2025 non forniranno più energia per alimentare la strumentazione di bordo.
Al di là dell’idrazina disponibile, il problema maggiore riguarda l’efficienza dei propulsori di assetto, che si sta rapidamente riducendo. Dal 2014 è chiaro come i propulsori di orientamento si stiano ormai degradando: nel tempo ciascuno di loro necessita di più impulsi per ottenere la variazione di assetto desiderata e a 21 miliardi di chilometri di distanza non c’è alcuna possibilità di eseguire una manutenzione su qualsiasi parte della sonda, inclusi i propulsori. Questo potrebbe generare un termine anticipato della missione, prima ancora che si esaurisca l’alimentazione elettrica. Di conseguenza la NASA ha creato un gruppo di lavoro per risolvere il problema e la soluzione che ne è emersa è stata piuttosto inusuale: tentare di assegnare le manovre di assetto ad un gruppo di propulsori inutilizzato dal 1980. Fare questo non è così semplice come premere un pulsante su un quadro comandi e vedere se si accende una spia. È stato necessario andare a ripescare dati vecchi di decenni, esaminare il software scritto in un linguaggio non utilizzato da anni e verificare che l’accensione dei propulsori, se mai fosse avvenuta, non creasse danni irreparabili alla sonda. Nei primi anni del programma, la Voyager 1 ha esplorato Giove, Saturno e le principali lune dei due giganti gassosi: per condurre queste esplorazioni e puntare i sensori e la fotocamera verso gli obiettivi nel modo più accurato possibile, i team hanno utilizzato la cosiddetta TCM (Trajectory Correction Maneuver), ovvero una manovra di correzione della traiettoria che faceva uso dei propulsori posti nella parte bassa del corpo della sonda, analoghi in dimensione e funzione a quelli di assetto. Siccome l’ultima destinazione planetaria della Voyager 1 è stata Saturno, non c’è stato alcun bisogno di utilizzare i propulsori TCM a partire dall’8 novembre del 1980.
Ebbene, martedì 28 novembre, gli ingegneri del team della Voyager hanno riacceso i quattro propulsori TCM per la prima volta dopo 37 anni e hanno testato la possibilità di utilizzarli per orientare l’assetto della sonda usando impulsi della durata di 10 millisecondi ciascuno. L’attesa per avere un responso è stata lunga: il segnale ha impiegato 19 ore e 35 minuti per raggiungere l’antenna di Goldstone, in California, ma l’esito è stato positivo. Mercoledì 29 novembre i team hanno avuto conferma del perfetto funzionamento dei propulsori TCM impiegati con funzione di correzione dell’assetto.
«Con questi propulsori in funzione sarà possibile estendere la vita di Voyager 1 di due o tre anni» ha riferito Suzanne Dodd, responsabile del programma Voyager al NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. Ora il piano è di iniziare ad utilizzare i propulsori TCM a partire da gennaio. Per farlo sarà necessario accendere un iniettore per ogni propulsore, azione che richiede energia elettrica, che come detto è una risorsa oramai estremamente limitata a bordo.
In ogni caso il test ha avuto esito così chiaramente positivo che ora l’intenzione è quella di provare a riattivare i propulsori TCM anche sulla Voyager 2, sebbene i propulsori di assetto della sonda gemella non siano così compromessi come quelli della Voyager 1. Questo aumenterà le chance di estensione di vita della sonda, insieme alle probabilità di poter seguire con successo la Voyager 2 nella sua entrata nello spazio interstellare attesa tra pochi anni. Questa storia è un’ulteriore conferma che la tecnologia a bordo delle Voyager è estremamente robusta e capace di estrarre assi dalla manica anche a distanza di decenni. Con questo viatico per la prosecuzione delle due missioni, l’auspicio è quello di continuare ad avere notizie dalle Voyager ancora per anni, con la possibilità di confermare i dati di transizione allo spazio interstellare di Voyager 1 con analoghi risultati da parte di Voyager 2.
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Mamma mia, complimenti a quelli che hanno progettato questa sonda 40 anni fa! A sto punto non oso pensare cosa si possa fare spedendo una sonda di questo genere progettata nei giorni nostri!