‘Oumuamua: l’asteroide extrasolare che sembra fantascienza
La scoperta del primo esoasteroide ha mobilitato la lingua hawaiana e la fantascienza di Arthur C. Clarke. Che cos’è veramente 1I/’Oumuamua? Da dove proviene, cosa ne sappiamo e potremo mai raggiungere ed esplorare oggetti simili? Molte domande e altrettante risposte dall’esito non sempre entusiasmante per uno storico ritrovamento.
Una scoperta senza precedenti
Lo scorso ottobre una scoperta senza precedenti ha dimostrato la capacità acquisita dagli astronomi di trovare e riconoscere asteroidi e comete provenienti dallo spazio interstellare. Rob Weryk, un membro del team di Pan-STARRS (un sistema esplorativo astronomico costituito da telescopi e fotocamere ad ampio campo per la rilevazione di corpi celesti) ha scoperto infatti quella che inizialmente sembrava una nuova cometa, subito designata C/2017 U1. Entro la fine del mese è però diventato chiaro chiaro come l’oggetto fosse qualcosa di ben diverso rispetto ad una delle svariate comete che si scoprono quasi ogni settimana. In primis è apparso evidente come non ci fosse traccia di emissioni di carattere cometario, per cui la designazione è stata variata in A/2017 U1, ma la vera sorpresa è arrivata quando gli astronomi hanno calcolato la sua orbita, che è risultata iperbolica.
Di per sé non è una sorpresa scoprire un oggetto con un’orbita iperbolica, dato che molte comete hanno questa caratteristica, tuttavia per queste si tratta di una definizione derivante dalla mancanza di sufficienti dati osservativi. Quando nel calcolo delle traiettorie si prende come riferimento il baricentro del sistema solare invece del centro della nostra stella, quasi tutte le orbite paraboliche spariscono, sostituite da orbite ellittiche a lunghissimo periodo. In altri casi invece si hanno effettive orbite iperboliche come nel caso della cometa C/1980 E1 Bowell, ma ancora, sono casi dovuti a perturbazioni causate da Giove.
A/2017 U1 invece, dopo le informazioni constrastanti dei primi giorni, si è confermato essere un oggetto con orbita parabolica e una velocità di 26 km/s, ovvero circa 94.000 km/h. In ogni caso A/2017 U1 sembrrebbe provenire da un punto situato nella costellazione della Lira situato a circa 6° dall’apice solare. L’apice solare è il punto verso cui apparentemente sembra dirigersi il sistema solare; si tratta in effetti del punto di tangenza del sistema solare rispetto al baricentro della nostra galassia ed è anche il punto da cui più probabilmente dovrebbero pervenire nel sistema solare corpi celesti estranei ad esso. È altamente significativo che A/2017 U1 provenga da una direzione a soli 6° di distanza da questo punto. La possibilità che questo fatto sia una coincidenza casuale è di solo 1 su 1800.
L’Unione Astronomica Internazionale si è trovata di fronte quindi alla necessità di “inventare” un nuovo catalogo e anche di dare un nome pertinente all’oggetto. L’asteroide è stato quindi denominato 1I-‘Oumuamua, in cui il numero 1 indica che si tratta del primo oggetto di questo tipo catalogato, la I proviene dall’indicazione Interstellare, mentre ‘Oumuamua è un nome mutuato dalla lingua hawaiana. Il significato è “messaggero che arriva per primo dal lontano passato” ed è una felice scelta che ha permesso di identificare con un solo termine tutto quello che al momento sappiamo di questo oggetto.
Un silenzioso viaggio osservato in lontananza
Nei giorni che hanno seguito la scoperta di ‘Oumuamua si sono moltiplicate le osservazioni con tutti gli strumenti disponibili per non perdere di vista l’oggetto mentre si allontanava dal Sistema Solare interno. Il primo esoasteroide mai scoperto, infatti, al momento della scoperta si trovava già oltre il suo perielio e nella fase di allontamento dal Sole. Sebbene l’esistenza di oggetti interstellari di passaggio nel nostro sistema solare siano stati teorizzati ormai da lungo tempo, e gli attuali modelli di formazione dei sistemi solari affermino che questi oggetti possano transitare in ragione di una decina all’anno nei nostri dintorni, l’occasione attuale era davvero più unica che rara ed è cominciata la rincorsa al puntamento dei telescopi verso ‘Oumuamua.
Durante il silenzioso viaggio dell’asteroide verso il Sistema Solare esterno e oltre, le osservazioni hanno rivelato delle caratteristiche fisiche decisamente affascinanti. Si è visto come l’asteroide abbia una forma oblunga che ricorda quella di un sigaro, sia lungo circa 400 metri largo una quarantina. Un’altra particolarità è stata rivelata dall’analisi del suo spettro, che ha mostrato come la sua superficie sia simile a quella di molti oggetti transnettuniani e ad alcuni asteroidi di composizione metallica. L’oggetto è apparso in rotazione e il suo periodo è stimato di poco superiore alle 5 ore. Un altro indizio della sua forma allungata è la variazione rapida della sua luminosità, che poco si concilia con un oggetto di forma sferica. Sebbene una spiegazione alternativa possa essere una notevole variabilità dell’albedo, l’ipotesi di aver a che fare con un oggetto di forma allungata e in rapida rotazione è quella più probabile.
Qualche giorno fa lo European Southern Observatory ha rilasciato alcune illustrazioni artistiche di come potrebbe apparire ‘Oumuamua, alcune tanto evocative da fare in un lampo il giro del web dando il via alle immancabili speculazioni sulla natura “aliena” dell’oggetto. Ma è curioso notare come l’ipotesi che sembra aver ha riscosso il maggior successo provenga dalla fantascienza genuinamente d’autore: un oggetto oblungo proveniente dallo spazio interstellare, con uno spettro luminoso compatibile con una composizione metallica è la premessa di un famoso romanzo di Arthur C. Clarke, “Incontro con Rama”. Il riferimenti a questo romanzo del 1972 risultata essere la citazione più ricorrente dopo l’uscita di questi dati, persino in alcuni comunicati stampa delle agenzie spaziali.
‘Oumuamua potrebbe essere un oggetto artificiale?
Se la fantascienza d’autore ha permesso di fare un salto di qualità ai commenti non specialistici che spesso circondano le scoperte scientifiche, è pur vero che per smentire la natura artificiale di ‘Oumuamua è giusto ricorrere a un ragionamento basato sui fatti. In primo luogo se l’oggetto fosse artificiale dovremmo aspettarci l’emissione di onde radio o luminose con pattern riconoscibili, fenomeno che non è stato osservato. Sarebbe inoltre lecito attendersi una qualche forma di propulsione ed un’orbita diversa da quella che risultante dalla sola azione della gravità, ma ‘Oumuamua è stato osservato nel suo viaggio silenzioso mentre seguiva una traiettoria perfettamente aderente a quella calcolata sulla base della legge di gravitazione.
Ecco allora farsi avanti l’ipotesi di oggetto artificiale abbandonato. Potrebbe essere un reperto di qualche civiltà ormai perso e privo di energia? In realtà qualcosa del genere, ovvero osservare un oggetto artificiale nello spazio profondo, è già successo. Nel 2002 gli astronomi notarono un piccolo oggetto rotante in un’orbita inusuale simile a quella della Terra. Le osservazioni spettroscopiche rivelarono compatibilità della sua composizione con alluminio e ossido di titanio. L’oggetto era un terzo stadio di un Saturno V, molto probabilmente della missione Apollo 12 e l’ossido di titanio era quello della vernice del famoso bianco e nero che caratterizzava il grande razzo. In sostanza, gli oggetti artificiali tendono a rivelare questa caratteristica in maniera chiara quando studiati con la dovuta attenzione. E’ vero anche che l’orbita dell’oggetto osservato nel 2002 ha fornito un indizio decisivo quando si lavorava alla sua identificazione. Anche tenendo conto che un oggetto viaggiante nello spazio interstellare per milioni di anni venga alterato dalle radiazioni e dagli impatti da micro meteoroidi, non sono emersi indizi di alcun genere a sostegno di una natura artificiale di ‘Oumuamua.
‘Oumuamua è solo l’inizio
Le considerazioni emerse in questi giorni grazie alla scoperta di ‘Oumuamua ci hanno aiutato a capire che l’allontanarsi di questo oggetto dal Sistema Solare non rappresenta la fine della storia, e che le opportunità di scoprire ulteriori esemplari di questa classe di oggetti sono molte. Se fosse vero, come previsto dai modelli matematici, che il numero di oggetti interstellari che attraversano il nostro Sistema Solare in un anno è mediamente elevato (da da uno a dieci), allora programmi di osservazione come Pan-STARRS o telescopi come il Large Synoptic Survey Telescope avranno nel breve periodo molte altre possibilità di identificare altri esoasteroidi. Potremo apprendere di più sulla loro composizione, sulla loro forma e sulle traiettorie che percorrono nella galassia. Si può essere ragionevolmente sicuri che se uno di questi oggetti fosse artificaile avremmo gli strumenti adeguati a scoprirlo.
Purtroppo, a fronte dell’affascinante prospettiva appena discussa, il passo successivo, ovvero raggiungere uno di questi oggetti, sembra decisamente difficile. Esiste, innanzitutto, una tecnologia che ci potrebbe permettere di raggiungere un oggetto come 1I/’Oumuamua? Al Marshall Space Flight Center della NASA hanno fatto i calcoli e la prima risposta è che quello che abbiamo è troppo lento. Anzi, quello che dovrebbe essere il più veloce dei veicoli pensati per l’esplorazione oltre l’orbita bassa terrestre, il razzo SLS, non è ancora nemmeno vicino al suo volo inaugurale e il suo primo lancio continua ad essere posticipato (ad oggi si parla già di 2020). Il delta-V necessario a raggiungere un oggetto che viaggiasse, come ‘Oumuamua, a 26 km al secondo è molto vicino a 60 km al secondo. La propulsione chimica di qualsiasi razzo ad oggi conosciuto semplicemente non basterebbe. E se la NASA avesse lavorato così velocemente da preparare una sonda subito dopo la scoperta di 1I/ ‘Oumuamua e l’avesse già lanciata? Il problema è che i razzi a propulsione chimica sono molto efficienti nel portare una massa al di fuori dell’orbita terrestre, ma una volta nello spazio profondo per accelerare ulteriormente necessitano di una massa di propellente davvero grande. A conti fatti la spinta per accelerare un razzo a propulsione chimica al delta-V di 60 km/s dovrebbe durare 450 secondi. Per garantire questa spinta, ci sarebbe bisogno di lanciare in orbita una massa di combustibile pari a quella di due Stazioni Spaziali Internazionali (circa 800 tonnellate). Inoltre con tale quantità di propellente si sarebbe in grado di spingere una sonda di 10 kg di massa, ben poco per accomodare strumenti scientifici significativi. SLS, nella sua prima versione, sarà in grado di portare in orbita circa 70 tonnellate di carico utile, mentre la sua versione successiva sarà in grado di lanciare 130 tonnellate, del tutto insufficiente rispetto a quanto necessario.
Per fortuna la propulsione di natura chimica non è l’unica soluzione e il futuro e nuove tecnologie come la propulsione elettrica, o la visione di un progetto come Breakthrough Starshot, potrebbero consentirci di fare il passo decisivo in vista di una missione di rendez-vous, se non con Rama, almeno con un autentico asteroide o cometa interstellare, questa volta sì, e arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.
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Scusate la pignoleria, c’è un refuso: Clarke e non Clark. Grazie per il bell’articolo, come sempre su AstronautiNEWS. Ciao, Andrea
Grazie Andrea, la tua pignoleria è sempre benvenuta. Abbiamo corretto.
Articolo semplicemente splendido, letto tutto d’un fiato!