Space Communications (Spacecom) ha ancora fiducia in SpaceX. L’operatore satellitare basato in Israele, che ha avuto il proprio satellite Amos-6 distrutto a causa dell’esplosione a terra di un Falcon 9 nel settembre dell’anno scorso, ha reso noto in questi giorni di essersi rivolto all’azienda di Elon Musk per la messa in orbita nel 2019 di Amos-17, un nuovo satellite indispensabile per potenziare e rilanciare l’offerta dei propri servizi di comunicazione.
I guai di Spacecom
Già prima dell’“anomalia del 1° settembre” Spacecom non navigava in ottime acque e la perdita Amos-6 apparve a molti una sorta di colpo di grazia. In effetti la compagnia si trovava in difficoltà a garantire la continuità dei propri servizi a causa dell’avaria del satellite Amos-5, con il quale si erano inspiegabilmente persi i contatti nel novembre del 2015, dopo solo quattro dei quindici anni di operatività programmati.
La società israeliana tentò di conservare i clienti che si servivano di quel satellite, principalmente piccole emittenti televisive africane, rivolgendosi ad altri operatori, ma si dovette scontrare, come ebbe a lamentare il CEO David Pollack, con la “scarsa empatia” di molti concorrenti, pronti a trarre vantaggio dall’empasse altrui.
In seguito, il 24 agosto del 2016, i principali azionisti della società israeliana avevano annunciato un accordo per la vendita dell’attività ad un gruppo cinese, Beijing Xinwei, per 285 milioni di dollari, contratto che aveva come condizione l’entrata in servizio di Amos-6. L’esplosione del Falcon 9 mise in discussione la transazione e provocò un tracollo delle azioni di Spacecom, che persero in due giorni il 50% del loro valore, innescando una tendenza al ribasso che dura fino ad oggi (Il titolo di Spacecom, che era quotato 4.217 Shekel alla borsa di Telaviv il 25 agosto del 2016, al momento della pubblicazione di questo articolo ha raggiunto i 1.869).
E’ vero che la controparte cinese non interruppe il dialogo per l’acquisto, ma la cifra proposta scese a 190 milioni, ben al di sotto delle attese degli investitori di Spacecom.
Tentativi di rilancio
In realtà sia per l’incidente del 2015 che per quello del 2016 le conseguenze finanziarie hanno pesato più sugli assicuratori che sulla compagnia israeliana. La perdita di Amos-5 fu compensata con 158 milioni di dollari, mentre per quella di Amos-6, il costruttore del satellite, Israel Aerospace Industries (IAI), sulla base degli accordi contrattuali, ha dovuto restituire al committente tutte le somme già ricevute. I veri problemi riguardavano gli impegni presi con i clienti che Spacecom, con tre soli satelliti attivi, di cui uno giunto al limite dell’operatività, non era più in grado di soddisfare.
Come soluzione tampone, nel dicembre scorso, si è trovato un accordo con l’operatore cinese AsiaSat, che ha messo a disposizione, per la sola banda Ku, il suo satellite AsiaSat-8, lanciato nel 2014, per un periodo di quattro anni (con opzione per un quinto) per la somma di 88 milioni di dollari. AsiaSat-8, che si trovava in orbita geostazionaria a 105,5° Est, ossia sopra la Cina, è stato ricollocato a 4° Ovest (lo slot orbitale previsto per Amos-6) in modo da poter coprire Europa, Medio Oriente e Africa. Il satellite, ribattezzato Amos-7, ha iniziato il suo nuovo servizio quest’anno, alla fine di febbraio.
Sempre a dicembre 2016 Spacecom ha dichiarato di aver ordinato a Boeing la costruzione di un nuovo satellite, destinato a rimpiazzare Amos 5, che prenderà il nome di Amos-17, dalla posizione orbitale di 17° Est. Il contratto, del valore di 162 milioni di dollari, prevede l’impiego della piattaforma 702 e l’implementazione di transponder in banda Ka, Ku e C, che anche in questo caso saranno sfruttati per coprire Europa, Medio Oriente e Africa.
Per la messa in orbita di Amos-17, nel secondo quadrimestre del 2019, la compagnia israeliana ha deciso in questi giorni di sfruttare l’offerta, messa sul piatto da SpaceX all’indomani del disastro di Amos-6, per un nuovo lancio alle medesime condizioni del precedente. Spacecom potrà perciò avvalersi del credito di 50 milioni di dollari, già anticipati nel 2016, limitandosi a pagare alla compagnia di Elon Musk, a volo completato, un saldo la cui entità non è stata resa nota. Si può supporre che si tratterà di una somma inferiore ai 12 milioni che mancherebbero al “prezzo di listino” di un Falcon 9, anche perché l’operatore di Amos-17 ha dichiarato – ulteriore segno della propria fiducia in SpaceX – che si servirà di un lanciatore con primo stadio usato.
Dopo la messa in orbita di Amos-17 la piccola flotta di Spacecom sarà composta da quattro satelliti: Amos-3, lanciato nel 2008 con uno Zenit-3SLB e collocato a 4° Ovest; Amos-4, messo in orbita dal medesimo lanciatore leggero nel 2013 e posizionato a 65° Est; Amos-7, ovvero, come si è e detto, AsiaSat-8, anch’esso a 4° Ovest; e Amos-17 a 17° Est.
A quel punto si tratterà di superare l’onerosa dipendenza dal satellite cinese che ha preso il posto di Amos-6, sostituendolo con un proprio mezzo. Il nuovo satellite ha già un nome, Amos-8, ma non è stato ancora individuato un costruttore. La compagnia israeliana si è invece già riservata l’opzione per un secondo lancio SpaceX, nella seconda metà del 2020.