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Lockheed Martin punta a un volo umano su Marte prima del 2030

Credit: NASA/JPL-Caltech

Il Journey to Mars della NASA è ormai archiviato? La capsula Orion è destinata a rimanere priva di un concreto programma di impiego nell’esplorazione dello spazio profondo? SLS è soltanto un costosissimo regalo del Congresso all’industria statunitense?

Dalle parti di Lockheed Martin la risposta a tutti questi interrogativi è convinta e negativa. La storica compagnia aerospaziale sta infatti continuando a mettere a punto una propria visione per l’esplorazione del pianeta rosso che si avvale proprio dei veicoli e delle ricerche tecnologiche messi in cantiere dalla NASA e che non risulta per nulla contraddetta dall’attuale revival di interesse per la Luna.

Per quanto, nei tempi e nei modi di divulgazione, i piani di Lockheed Martin stiano viaggiando in parallelo con quelli SpaceX, non si può dire che godano di una paragonabile risonanza. Nel 2016 la presentazione dell’idea del Mars Base Camp durante il congresso IAC di Guadalajara era stata quasi totalmente oscurata dalla contemporanea rivelazione da parte di Elon Musk dei suoi progetti per la colonizzazione di Marte. Anche quest’anno, ad Adelaide, i media hanno dato molto spazio al BFR di SpaceX e pressoché ignorato il MADV, il nuovo lander di Lockheed Martin che pure si prefigge lo stesso obiettivo: portare in pochi anni l’uomo su Marte.

I caposaldi del Mars Base Camp

Ma che cos’è questo Mars Base Camp (MBC)? Non dobbiamo pensare al progetto di un insediamento marziano o di un nuovo veicolo. Si tratta piuttosto dell’architettura di un complesso di missioni, che potrebbero permettere in tempi brevi di avviare l’esplorazione umana di Marte, facendo uso delle tecnologie già esistenti e senza richiedere enormi investimenti.

“Non abbiamo bisogno di inventare nulla. Abbiamo già la capacità di andare su Marte” ha sottolineato con enfasi Rob Chambers – uno dei designer di MBC – nel corso della presentazione ad Adelaide. È questo il primo dei caposaldi del programma: le tecnologie esistenti o con un alto TLR, ossia che possono diventare utilizzabili in breve tempo e con investimenti limitati, sono da preferire a quelle che assicurerebbero migliori performance, ma che richiederebbero un più lungo e costoso sviluppo. Quindi non si tratta – ad esempio – di costruire un nuovo razzo, come sta progettando di fare SpaceX; MBC intende basarsi sul lavoro che la NASA ha già compiuto con Orion (di cui Lockheed Martin è prime contractor) e lo Space Launch System, ma anche nello sviluppo di habitat per lo spazio profondo e della propulsione elettrica.

Un’impresa come questa non può essere condotta da un solo stato o da una sola organizzazione. Lockheed Martin guarda alla NASA come naturale punto di riferimento e di guida, ma il progetto punta alla più ampia collaborazione, sia dal punto di vista internazionale, aprendo anche ad agenzie spaziali che non hanno partecipato alla ISS, sia dal punto di vista del coinvolgimento di privati e di soggetti commerciali.

Porsi come obiettivo tempi brevi (si parla addirittura del 2028 per il primo viaggio orbitale) non significa però puntare al puro risultato di portare l’uomo su Marte. Non si vuole realizzare una spedizione “mordi e fuggi” che si esaurisca nel piantare una bandiera e lasciare qualche impronta sul pianeta rosso. Nessuna missione deve essere fine a se stessa; ciascuna deve costituire la pietra miliare di un cammino che permetterà di stabilire una presenza umana sostenibile a lungo termine.

In concreto, un tale progresso non sarà conseguibile senza ricorrere al riutilizzo dell’hardware: nella vision dei ricercatori di Lockheed Martin ogni elemento introdotto in una missione deve poter essere impiegato nelle successive, in modo che si giunga a disporre di un’infrastruttura capace di supportare stabilmente l’esplorazione futura. Vediamo come.

La missione MBC-1

La prima missione MBC non prevede uno sbarco sulla superficie, ma solo il dispiegamento in orbita alta attorno a Marte di un veicolo modulare riutilizzabile, composto da un nodo centrale con una cupola simile a quella della ISS, un laboratorio e un modulo abitativo, disposti simmetricamente ai due lati del nodo, e – proseguendo dall’interno verso le estremità – due gruppi di serbatoi criogenici, due moduli a propulsione elettrica con pannelli solari, due capsule Orion e due stadi propulsivi criogenici. Connesso al nodo centrale è anche un modulo per escursioni, munito di un airlock che potrebbe essere utilizzato anche per spacewalk dedicate alla manutenzione del complesso. Il tutto è visibile in questa immagine postata su twitter da Lockheed Martin, poco prima della conferenza.

Il veicolo è pensato per ospitare sei persone per un viaggio di mille giorni. Le due capsule Orion garantirebbero il controllo dei sistemi di navigazione, comunicazione e supporto alla vita. Gli stadi propulsivi, alimentati a ossigeno e idrogeno liquidi, fornirebbero la spinta necessaria per i viaggi di andata e ritorno e per le eventuali escursioni sui satelliti di Marte.

La presenza di due stadi, come di altri elementi doppi, si spiega con ragioni di ridondanza; la filosofia del MBC vuole infatti evitare il verificarsi di situazioni in cui l’avaria di un singolo componente possa portare alla perdita dell’intero equipaggio. Non ci dovranno essere, in altri termini, componenti chiave che non possano essere rimpiazzati (si pensi al ruolo che avevano per il ritorno degli astronauti sulla Terra il motore del modulo di ascesa del LM oppure quello del modulo di servizio nel progetto Apollo).

I serbatoi degli stadi propulsivi non sono in grado di conservare a lungo i propellenti criogenici. Questo spiega la presenza di due tank farm, ossia gruppi di serbatoi dotati di sistemi attivi di raffreddamento. Gli stadi saranno riforniti solo poco prima del viaggio. I grandi serbatoi circonderanno, da una parte e dall’altra del veicolo, i moduli abitativi dove saranno alloggiati gli astronauti nei momenti di riposo e per gran parte della missione. Ciò garantirà all’equipaggio una schermatura che li proteggerà da una prolungata esposizione alle radiazioni.

L’astronave marziana, ovviamente, sarà composta nello spazio, attraverso un certo numero di lanci e non assumerà la configurazione completa se non in orbita attorno al pianeta rosso. Anche per risparmiare un po’ dell’energia necessaria per spostare l’intero complesso, si prevede che alcuni componenti, il laboratorio e il nodo con il modulo per escursioni, saranno trasferiti direttamente in orbita marziana, sia utilizzando la spinta dell’SLS, sia attraverso moduli a propulsione elettrica, che poi diventeranno parte del veicolo.

Il resto dell’insieme, denominato MBC transfer vehicle, sarà invece assemblato in orbita cislunare, dove sarà raggiunto dalle due capsule Orion con equipaggio, al momento dell’inizio del viaggio interplanetario.

Che fare in orbita attorno a Marte?

A differenza di quelli di Elon Musk i piani di Lockheed Martin puntano alla ricerca scientifica piuttosto che alla colonizzazione di Marte. Da questo punto di vista la missione orbitale non permetterà soltanto il test della tecnologia nel suo primo viaggio nello spazio profondo (un po’ come era stata, a suo tempo, la missione Apollo 8 attorno alla Luna), ma offrirà una occasione per accrescere le nostre conoscenze del sistema solare.

L’esplorazione robotica e quella umana, che spesso vengono contrapposte e messe in alternativa, possono invece integrarsi con grandi vantaggi. L’attività di rover marziani come Curiosity e Opportunity, guidata da team a terra, risulta essere decisamente limitata dal tempo necessario per le comunicazioni che, in base alla reciproca posizione dei due pianeti, può variare tra 380 e 2670 secondi. Non a caso, nel corso di anni, i due rover hanno percorso su Marte solo alcune decine di chilometri.

Strumenti per l’esplorazione della superficie controllati dall’orbita, e quindi pilotati in tempo reale, potrebbero invece consentire di raccogliere un più grande volume di dati. Non solo: nel caso di UAV (Unmanned Aerial Vehicle), ossia di droni, gli esploratori robotici potrebbero anche essere direttamente indirizzati dagli astronauti in zone del pianeta dove si sta verificando un fenomeno particolarmente interessante, anche al di là di quanto programmato nelle pianificazioni iniziali.

Rappresentazione artistica di Prandtl-m, aliante che la NASA potrebbe sperimentare nella missione Mars 2022 Rover. Credits: NASA Illustration/Dennis Calaba

Anche senza effettuare uno sbarco, la prima missione MBC potrebbe inoltre permettere di riportare a terra campioni di suolo marziano. La raccolta di materiale, tra l’altro, è già stata pianificata per Mars 2020 Rover, senza che sia stato ancora esattamente definito come riportarli sul nostro pianeta.

Il momento più alto, sia dal punto di vista scientifico che da quello spettacolare, della prima missione MBC dovrebbe però essere l’esplorazione delle lune di Marte. Per questo scopo i ricercatori di Lockheed Martin hanno previsto che dall’intero complesso modulare si stacchi una Orion, unita allo stadio propulsivo, connessa ad un Excursion Module comprendente un’airlock per le EVA condotte con l’ausilio di particolari unità di manovra (una sorta di MMU dotate di “zampe”), che permettano agli astronauti di muoversi nell’ambiente a bassa gravità di satelliti come Phobos o Deimos, ove non sarebbe possibile camminare normalmente e raccogliere campioni della superficie.

MBC-S: i primi passi sul suolo di Marte

La presentazione di Lockheed Martin a IAC 2017 è stata dedicata a dare nuovi dettagli sulle ulteriori missioni dell’architettura MBC, denominate MBC-S, perché prevedono una o più “sorties”, ossia “uscite” sul suolo marziano.

È interessante notare che in questi  sviluppi si cominciano a vedere gli effetti dell’approccio, per passi, che costituisce la filosofia del progetto. Dopo la prima, le successive missioni non devono ricominciare da capo, ma possono far affidamento su gran parte dell’hardware che, dopo MBC-1, resta in attesa sia nei pressi di Marte che in orbita cislunare.

I piani del viaggio orbitale prevedono infatti che, al ritorno, si ricomponga il transfer vehicle, lasciando in orbita marziana gli elementi che in precedenza erano stati trasportati autonomamente. A sua volta il veicolo di trasferimento si arresterà in orbita cislunare e saranno le sole capsule Orion a ritornare sul nostro pianeta, grazie alla spinta dei rispettivi moduli di servizio. Le caratteristiche del MPCV permetterebbero anche un rientro alla velocità di 11,5 km/s, e quindi direttamente dall’orbita di trasferimento Marte-Terra, caratteristica che potrebbe essere preziosa qualora si verificasse un’emergenza.

A questo punto una nuova missione orbitale richiederebbe soltanto il rifornimento dei serbatoi del veicolo di trasferimento e il decollo di due nuove Orion. Nel caso della prima missione sulla superficie di Marte, il sistema dovrebbe essere integrato da uno (o due) lander, da recapitarsi, prima della partenza degli astronauti, in orbita marziana. Il viaggio dovrebbe essere assicurato dall’SLS, unitamente ad un modulo SEP, alimentato da pannelli solari, che permetta l’inserimento nell’orbita prescelta.

Il MADV

Ogni missione MBC prevede che l’equipaggio rimanga nei pressi di Marte per circa 11 mesi. Ciò tuttavia non significa che l’intero periodo debba essere trascorso sul suolo del pianeta rosso. L’ottica progressiva del progetto suppone che, almeno in una fase iniziale, le escursioni sulla superficie debbano limitarsi ad un tempo relativamente breve  – fino a 15 giorni – e possano ripetersi nel corso di una sola missione.

Il lander presentato da Lockheed Martin, o per l’esattezza il MADV (“Mars Ascent/Descent Vehicle” ossia “Veicolo per la discesa su e la risalita da Marte”) è disegnato proprio su questo modello. Si tratta di un sistema monostadio, riutilizzabile, in grado di portare del pianeta rosso 4 astronauti, con tutto il necessario per la loro sopravvivenza e la loro attività esplorativa nell’arco di due settimane.

Ad un’analisi più approfondita, quella che a tutta prima sembra una grossa limitazione si rivela ricca di vantaggi.

In primo luogo, infatti, si riducono i costi. Una lunga permanenza su Marte richiederebbe di far arrivare preventivamente sulla superficie moduli abitativi, rover, provviste, strumenti, ecc., attraverso vari voli dedicati. Nel caso del MCB, invece, non occorre nulla; tutto ciò che serve agli astronauti viaggerebbe con loro sul MADV.

Inoltre aumenterebbero i fattori di sicurezza. Le sorti dell’equipaggio non dipenderebbero dalla precisione dell’atterraggio e gli astronauti non si troverebbero in grave difficoltà – e qui i nostri lettori ricorderanno probabilmente la miniserie Marte di National Geographic – qualora raggiungessero la superficie in un luogo piuttosto lontano da quello prefissato. Non solo: anche un eventuale Mark Watney non sarebbe costretto a sopravvivere per anni o a un lunghissimo viaggio verso il successivo punto di atterraggio: i suoi compagni potrebbero, una volta rifornito il MADV (riutilizzabile almeno per sei volte), ridiscendere per recuperarlo.

Anche un’avaria del veicolo non condannerebbe la crew: la disponibilità di un secondo MADV, in base al principio di ridondanza sopra ricordato, permetterebbe di organizzare una missione di salvataggio. Se i costi di questo raddoppio sembrano troppo elevati (occorre un intero SLS per portare un MADV in orbita marziana) si deve tener presente che il lander potrebbe comunque essere utilizzato in successive missioni, senza altri costi.

Infine, non dipendere da risorse e strumenti già collocati sulla superficie può garantire una maggiore flessibilità all’esplorazione. Il sito di atterraggio potrebbe persino essere selezionato in tempo reale, nei limiti raggiungibili dall’orbita in cui è collocato il veicolo principale (nel caso di un’orbita polare sarebbe disponibile l’intera superficie). Avendo la possibilità di rifornire il veicolo dopo l’“uscita” (nel modo che vedremo più sotto), si sarebbe poi in grado di effettuare più di un atterraggio nell’arco di una sola missione, in zone anche molto lontane e di diverso interesse esplorativo, accrescendo in misura significativa i risultati scientifici dell’intera spedizione.

Nell’immagine inclusa in questo tweet sono visibili due MADV (uno connesso ed un altro in fase di docking) alle due estremità del veicolo.

Il MADV effettuerà la sua discesa planando inizialmente come uno Shuttle; per questo la sua forma è disegnata per garantire un certo controllo aerodinamico del veicolo. L’ingresso nell’atmosfera marziana richiederà la presenza di protezioni termiche, realizzate in materiale composito, che non saranno ablative, permettendo il riutilizzo. Il veicolo raggiungerà la velocità di stallo intorno a Mach 2 (locali), dopo di che la frenata e il touch down saranno effettuati attraverso la propulsione.

I designer di MBC immaginano che il MADV possa essere dotato di sei motori di caratteristiche analoghe agli RL-10 di Rocketdyne (e quindi in grado di assicurare una spinta complessiva di circa 660 kN), alimentati da propellenti criogenici. Per rendere più facile il rifornimento in orbita e il riutilizzo del mezzo, ossigeno e idrogeno liquidi saranno  l’unico tipo di propellenti utilizzati dal veicolo, anche per i controlli di assetto. Gli stessi elementi garantiranno anche la produzione di acqua e di energia elettrica, a partire dai gas evaporati nei serbatoi.

Il MADV dovrebbe pesare poco più di 100 tonnellate, di cui 80 di propellenti, e trasportare 2.500 kg di materiale e strumenti per le attività di superficie. Lo spazio destinato all’equipaggio è diviso in tre piani: quello più alto ospita la cabina di pilotaggio (che utilizzerà sistemi di controllo e di comunicazione derivati da quelli di Orion), quello intermedio gli alloggi per gli astronauti (occorre non dimenticare che non sono previsti altri moduli abitativi) e quello più basso un laboratorio, i magazzini e l’airlock. Gli esploratori raggiungerebbero il suolo del pianeta attraverso un elevatore esterno, una piattaforma in movimento lungo la parete superiore del veicolo (ossia quella opposta allo “scudo termico”).

Al termine dei 10/15 giorni di esplorazione sul suolo marziano, gli astronauti ripartiranno a bordo del MADV, in grado di risalire fino alla nave madre, come un vero single stage to orbit (ossia senza lasciare stadi esausti dietro di sé), potenzialmente pronto per un nuovo viaggio, nella stessa missione o in quella successiva.

La “water-based space economy”

Uno degli aspetti chiave dell’intera architettura, fondamentale per garantire il riutilizzo dell’hardware, sarà il rifornimento in orbita. I grandi serbatoi delle due tank farm dovranno essere riempiti dopo la missione MBC-1 e, ugualmente, ci sarà bisogno di rifornimenti in orbita marziana, se ci si ripropone di effettuare più “sortite” sulla superficie (il propellente portato con sé dal MBC transfer veichle, infatti, è in grado di sostenere solo un viaggio del MADV durante una missione MBC-S, in alternativa alle escursioni su Phobos e Deimos di MBC-1).

Per affrontare questo aspetto, i ricercatori di Lockheed Martin hanno ragionato in analogia con quanto già avviene in orbita bassa: la Stazione Spaziale Internazionale viene rifornita periodicamente (anche di propellenti) e il compito di condurre questo trasporto è stato appaltato dalla NASA a soggetti terzi. La stessa cosa potrebbe avvenire nello spazio profondo: potrebbero essere i veicoli di compagnie private a rifornire i serbatoi del MBC, avviando una nuova attività commerciale basata sull’acqua.

Il trasporto dei propellenti criogenici, infatti, non può avvenire senza sprechi, dovuti all’evaporazione, o senza consumo di energia, se si vuole evitarla. I designer di MBC ritengono perciò che ossigeno e idrogeno possano essere più facilmente trasferiti in forma di H2O e poi separati, attraverso l’elettrolisi, in orbita marziana.

I piani di Lockheed Martin prevedono anche il modello di un Water Delivery Vehicle (WDV), una vera e propria piccola stazione di rifornimento mobile, capace di trasportare 50 tonnellate d’acqua, attraverso propulsione elettrica. L’elettricità prodotta da grandi panelli solari, dovrebbe essere utilizzata anche per il processo di elettrolisi da effettuarsi una volta giunti a destinazione. Il tutto richiederà una precisa valutazione dei tempi: per riempire i serbatoi di un MADV occorrerebbero due WDV operanti in parallelo per un periodo di due mesi e mezzo.

Inizialmente l’acqua sarà trasportata dalla terra, ma, probabilmente, sul lungo periodo, le compagnie impegnate nella “water economy” spaziale potrebbero trovare più conveniente produrla direttamente nello spazio, utilizzando il ghiaccio o i minerali che contengono acqua, presenti sui poli lunari, sugli asteroidi, sulla superficie di Marte e così via.

E la Luna?

A detta degli esperti di Lockheed Martin i piani del Mars Base Camp non sono in contraddizione con l’attuale ritorno di interesse per la Luna, emerso nel corso di quest’ultimo anno, con il progetto del deep space gateway della NASA o con il recente discorso del Vicepresidente Pence al National Space Council.

Al contrario: lo spazio cislunare ove dovrebbero operare le missioni del deep space gateway costituisce il luogo ideale per dimostrare molte delle capacità e delle tecnologie che dovranno essere utilizzate per MBC, dalle operazioni telerobotiche al recupero di campioni dalla superficie, alla stampa in 3D di pezzi di ricambio, ecc. Anche il Power Propulsion Element (PPE), che sarà sviluppato nell’ambito del gateway, permetterà di sperimentare l’impiego di propulsori elettrici di potenza assai superiore rispetto quelli fino ad oggi comunemente impiegati, strumenti che, nei piani di Lockheed Martin, avranno un ruolo chiave nel preposizionamento di vari componenti del sistema in orbita marziana.

Elementi del Deep Space Gateway. Credit: NASA

D’altra parte un ritorno sulla superficie del nostro satellite richiederà lo sviluppo di un lander. Per quanto la discesa sulla Luna imponga un profilo di volo piuttosto diverso, Il MADV potrebbe essere impiegato anche per questo scopo. Alla Lockheed Martin stanno già studiando una nuova versione, alleggerita dagli elementi aerodinamici, che potrebbe permettere il trasporto di un maggiore carico utile sulla superficie.

La Luna è da sempre il punto di ingresso nella strada che porta a Marte – ha concluso Rob Chambers, parlando alla stampa a margine della presentazione di Adelaide – il nostro solo problema sarà non perdere di vista il pianeta rosso, mentre lavoriamo ai dettagli per l’esplorazione lunare.

 

Il materiale multimediale con cui Lockheed Martin illustra il suo concept è coperto da rigidissimi vincoli di copyright, che non ci permettono di pubblicarlo in questo articolo. I nostri lettori potranno trovarlo, insieme ad ulteriori informazioni in inglese, sul sito dedicato al progetto.

Immagini artistiche dei vari moduli del Mars Base Camp e di diverse fasi delle missioni sono raccolte in questo album Flickr.

La registrazione completa della presentazione a IAC 2017 è  stata pubblicata da Australia Science Channel.

Su Youtube si trova invece il video della presentazione a IAC 2016.

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