Il prossimo 28 luglio Paolo Nespoli volerà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per la missione VITA, che si concluderà nel novembre prossimo. Per l’astronauta milanese la Expedition 52/53 rappresenta la terza volta nello Spazio, dopo le permanenze sulla ISS nel 2007 e nel 2010.
Nell’attuale corpo astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), la “colonia” italiana è la più nutrita, con ben quattro nostri connazionali attivi. Oltre a Nespoli sono pronti al volo Samantha Cristoforetti – l’ultima italiana ad essere stata in orbita -, Roberto Vittori e Luca Parmitano. Quest’ultimo, in particolare, è tra i candidati dell’ESA per volare di nuovo nel 2019.
La storia degli astronauti italiani è però cominciata (quasi) esattamente 25 anni fa, il 31 luglio del 1992, quando Franco Malerba è volato in orbita per 8 giorni con lo Space Shuttle Atlantis nell’ambito della missione STS-46.
Uno dei payload della missione STS-46 era il Tethered Satellite System (TSS), un satellite dotato di un lungo cavo da 20 km che aveva l’obiettivo di studiare la possibilità di sfruttare il campo magnetico terrestre per ricavare energia.
Partorito da un’idea geniale di Bepi Colombo e realizzato dalla neonata (all’epoca) Agenzia Spaziale Italiana (ASI), il dispiegamento del filo non andò come previsto ma l’esperimento diede comunque risultati interessanti. Un secondo TSS fu poi lanciato nel 1996 insieme allo Space Shuttle Columbia e altri due astronauti italiani, Roberto Guidoni e Maurizio Cheli.
Dopo esser tornato sulla Terra Franco Malerba ha tolto la tuta d’astronauta, e ha indossato prima i panni del politico e poi quelli del coach aziendale e del divulgatore scientifico.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui per capire cosa è cambiato nel volo spaziale negli ultimi 25 anni.
Si sente il papà degli astronauti italiani o ognuno fa storia a se’?
Ogni astronauta ha la sua storia, il suo percorso e la sua esperienza. Quello che mi piace pensare però è che la mia missione era molto particolare, con una presenza importante dell’industria e della scienza italiana. Si trattava quasi del debutto dell’ASI e per tutti noi la STS-46 era una missione molto italiana. Oggi, per esempio, Nespoli è all’interno di un contesto internazionale completamente diverso e vola con il corpo astronauti dell’ESA. Ma ripeto, ognuno di noi ha il suo specifico percorso.
Dalla sua missione è cambiato il modo di essere astronauta?
Prima di tutto è cambiato il modo di andare nello Spazio. Io sono andato in orbita con lo Space Shuttle, mentre oggi si va con la Soyuz. Lo Shuttle era una macchina particolare, pericolosa ma allo stesso tempo strepitosa. Pericolosa perché i numeri purtroppo sono lì a dirlo, con quattordici vittime in trent’anni di missioni, tra le quali molte che conoscevo. La mia missione è arrivata quando i voli dello Shuttle erano ripresi da poco, a causa dello stop imposto dall’incidente del Challenger del 1986. All’epoca c’era un po’ di apprensione, più della comunità che degli astronauti però, che al rischio non ci pensano altrimenti non volerebbero.
C’è da dire allo stesso tempo che lo Shuttle era una macchina strepitosa in termini di manovra, di capacità e in grado di eseguire missioni molto complesse. Era quasi una piccola stazione orbitante, con il braccio meccanico e un’ampia stiva. Aveva però il limite della durata, non più lunga di venti giorni. Grazie agli Shuttle però abbiamo costruito la Stazione, che ha il vantaggio di permettere missioni molto più lunghe, l’altra grande differenza tra gli astronauti di “ieri” e di oggi.
Una terza differenza è la capacità di comunicazione. Noi eravamo isolati e usavamo con grande parsimonia il canale con il Missione Control. Oggi gli astronauti possono chiamare a casa e utilizzare internet per rimanere in contatto con i propri familiari. È quasi come essere in viaggio in mezzo al mare.
Paolo Nespoli ha 60 anni, si sta alzando l’età media degli astronauti?
Quando ho fatto l’addestramento, ci hanno spiegato che gli astronauti non devono essere dei campioni olimpici super allenati, perché questo cambia la loro normalità, il loro essere persona rappresentativa di quell’età. È per questo Paolo non è fuori tempo massimo.
Dopo il primo volo non ha mai pensato ad una seconda missione? Magari per un altro tethered?
Quando tornai dalla missione, fin dall’atterraggio si parlò di un secondo volo, ed eravamo soprattutto noi italiani a volerlo. La NASA, invece, non era così convinta. In ogni caso in Italia avevamo tutto pronto e volevamo andare avanti. Con il tethered “corto” avevamo ottenuto dei dati significativi, ma volevamo vedere cosa accadeva con il filo dispiegato con la lunghezza di progetto. Io – devo confessare senza crederci molto – avanzai la mia candidatura per la seconda missione, con l’idea che il miglior addestramento per lo Spazio è esserci stato. Il Presidente dell’ASI dell’epoca, Luciano Guerriero, mi disse però che per l’Agenzia era meglio avere due astronauti invece di uno, con Guidoni – che nella mia missione aveva fatto il backup – ormai pronto a volare. A me sembrava eticamente corretto e non feci la guerra per questa decisione.
In tutto questo si innescò anche la crisi politica italiana del 1992-93, una serie di eventi straordinari che sconvolsero anche l’ASI, che fu commissariata. Io fui richiamato dagli Stati Uniti, dove stavo molto bene, e a Roma non vissi in un clima molto sereno. In questo contesto mi fu offerta la candidatura per il Parlamento Europeo e, dopo aver già rifiutato quella per le elezioni nazionali, alla fine accettai. E da lì ho cambiato mestiere e non sarebbe stato più possibile tornare indietro. L’ASI in realtà mi richiamò qualche tempo dopo, per la missione di Guidoni, e mi chiese se era il caso nominare un backup per l’astronauta romano. Io credo che l’esperienza degli astronauti di backup sia frustante, con tutto l’addestramento da fare ma poi senza la missione vera e propria. Io gli dissi che potevo rimettermi la tuta e dividermi tra astronauta e parlamentare europeo. La NASA però voleva astronauti a tempo pieno e non se ne fece nulla. E in effetti Guidoni non ebbe un backup.
Poi nella seconda missione tethered volò Maurizio Cheli con Guidoni…
Si, Cheli volò però in un altro ruolo, quello di mission specialist e ingegnere di volo, e non come scienziato di bordo come Guidoni. Cheli fu selezionato soprattutto per le sue doti straordinarie di pilota in previsione dell’Hermes, il progetto europeo per una navetta riutilizzabile. Poi dell’Hermes non se ne fece nulla e Cheli, che non poteva più volare con gli aerei a cui era abituato, lasciò l’ESA per tornare a fare il collaudatore.
Proprio il modello del tethered sarà uno dei protagonisti del Festival dello Spazio, che sta organizzando a Busalla, la sua città natale. Come è nata l’idea della manifestazione?
Il Festival dello Spazio nasce in collaborazione con il Comune di Busalla come ricorrenza del mio volo del 1992, esattamente 25 anni fa. Il tutto avrà un’anteprima il 27 luglio, per partire ufficialmente il giorno successivo e concludersi il 30. Abbiamo scelto i giorni quando ancora non sapevamo la data della partenza di Paolo Nespoli per la ISS ed è stata una felice coincidenza quando abbiamo scoperto che sarebbe decollato proprio il 28. Per questo nella giornata dell’anteprima saremo in contatto con Paolo, che ci parlerà direttamente da Baikonur e ci racconterà la sua missione. Gli altri tre giorni saranno dedicati al mondo dello Spazio a 360°: grazie al supporto dell’ASI, di Thales Alenia Space e di ALTEC, infatti, verranno numerosi esperti a raccontarci i dettagli ISS, della missione Cassini, di Exomars. La sera invece ci sarà posto anche per il cinema, con i classici della fantascienza, e per l’osservazione diretta del cielo e dei passaggi della ISS (Il programma completo e tutte le informazioni il Festival dello Spazio sono disponibili a questo indirizzo).
Oggi lavora anche accanto alle start up “spaziali” europee. Cosa fa esattamente?
Faccio parte di un pool di esperti che la Commissione Europea mette a disposizione delle Piccole e Medie Imprese (PMI) e delle start up che hanno vinto dei progetti in ambito spaziale all’interno di Horizons 2020, il programma di ricerca europeo. La Commissione, per aumentare le possibilità che queste ricerche diventino un prodotto interessante sul mercato, mette al fianco delle società un “coach” esperto. Non si tratta di fare i consulenti e fare il lavoro degli altri, ma aiutare le aziende con i nostri contatti e l’esperienza. Io, in particolare, ho lavorato con soprattutto con progetti italiani e spagnoli.
El astronauta europeo Franco Malerba, visita @PLD_Space como asesor en nuestro proyecto con la @EU_Commission pic.twitter.com/xpqUCQUkcp
— PLD Space (@PLD_Space) April 10, 2017