Esperimenti scientifici cruciali per l’esplorazione spaziale a bordo della missione Cygnus OA-7
Al lancio oggi, la missione di rifornimento Cygnus OA-7 verso la Stazione Spaziale, battezzata SS John Glenn in memoria del leggendario astronauta recentemente scomparso, trasporterà equipaggiamento ed esperimenti scientifici fondamentali per il progresso dell’esplorazione spaziale dei prossimi anni.
Quella lanciata oggi dal complesso 41 al Kennedy Space Center sarà la settima missione di rifornimento verso la Stazione Spaziale gestita dalla Orbital ATK con la capsula Cygnus (ma solo la sesta a raggiungere con successo l’avamposto). Il vettore sarà un Atlas V della United Launch Alliance e non un Antares della Orbital, a causa dei frequenti problemi che questo lanciatore ha sperimentato in passato, in testa ai quali spicca l’incidente dell’ottobre 2014, in cui un’esplosione distrusse l’intera missione di rifornimento denominata ORB-3. Tuttavia anche il vettore ULA ha avuto dei problemi tecnici che hanno determinato un ritardo nel lancio della missione OA-7: un guasto idraulico scoperto nel sistema di lancio, ha infatti determinato due spostamenti di data e un ritardo di quasi tre settimane nella partenza. La capsula Cygnus è costituita da una sezione pressurizzata che ospita rifornimenti per l’equipaggio ed esperimenti scientifici e da una sezione non pressurizzata che come per tutte le capsule del genere è costituita dal modulo di servizio che provvede alla propulsione e alla generazione di energia mediante i pannelli solari. Al momento dell’attracco, così come per tutte le missioni che non hanno un sistema di ormeggio robotico/automatico come il KURS delle Progress, sarà necessaria la cattura manuale mediante il braccio robotico Canadarm 2. Saranno quindi Peggy Whitson e Thomas Pesquet ad eseguire questa delicata operazione, dopo la quale il controllo missione comanderà il braccio robotico fino all’ormeggio della capsula presso il Nodo 1 Unity della stazione.
Quanto l’equipaggio della Stazione troverà a bordo, è di primaria importanza per una serie di ricerche cruciali per il volo spaziale del futuro. Vediamo nel dettaglio alcuni degli esperimenti e dell’equipaggiamento trasportato.
Genes in Space II
È ormai noto che il volo spaziale causa importanti effetti sull’organismo umano. L’esperimento Genes in Space II mira a studiare questi effetti alla radice ed in particolare l’effetto della micro-gravità e dell’aumentata esposizione alle radiazioni sui telomeri, le protezioni alle estremità dei cromosomi che hanno un ruolo chiave in processi come l’invecchiamento e la degenerazione cellulare. Un cromosoma è una struttura organizzata che contiene la gran parte del DNA umano e le istruzioni che ogni cellula vivente necessita per la vita. L’accorciamento dei telomeri è un processo naturale che avviene con l’invecchiamento, ma è anche vero che lo stress come quello sostenuto da un astronauta può condurre ad importanti deviazioni nella regolazione della lunghezza dei telomeri, che è peraltro stata correlata ad una svariata serie di patologie degenerative. Ecco quindi che l’investigazione riveste un’importanza chiave per comprendere se il DNA dei telomeri possa essere misurato durante un volo spaziale, con tutte le preziose indicazioni che ne possono derivare.
Biomolecule Sequencer
L’esperimento è pensato per determinare se sia possibile stabilire l’ordine di una coppia base in una sezione di DNA in orbita terrestre. Un sequenziatore di DNA che funzioni nello spazio potrebbe identificare microbi, agenti patogeni, diagnosticare malattie e controllare la salute degli astronauti. Non solo: potrebbe spingersi anche a identificare vita basata sul DNA potenzialmente ovunque nel Sistema Solare. Una parte di questo esperimento è già stata condotta nell’agosto del 2016 e conclusa con successo da Kate Rubins durante la Expedition 48. In quel frangente, del DNA era stata sequenziato in micro-gravità e questa nuova parte di esperimento potrebbe affinare la tecnica al punto da consentire agli astronauti di diagnosticare malattie o identificare microbi che si sviluppano in moduli spaziali (come la stessa Stazione), potendo determinare se questi costituiscono o meno un rischio per la salute.
Saffire III
La capsula Cygnus stazionerà per circa quattro mesi nello spazio. Sarà attraccata alla Stazione Spaziale fino al 21 giugno, quando partirà per un rientro distruttivo nell’atmosfera terrestre. A differenza di altre missioni, il rientro distruttivo sarà controllato e avverrà qualche giorno dopo la partenza dalla Stazione, il 28 giugno. Durante la traiettoria che la condurrà verso l’oceano Pacifico, la capsula avrà l’opportunità per un’ulteriore ricerca scientifica, conducendo la terza parte dell’esperimento Saffire, che consentirà di costruire un ambiente unico per la valutazione dello sviluppo di una combustione in micro-gravità. Non appena Cygnus avrà lasciato la Stazione, sarà avviata l’accensione artificiale di una fiamma. La combustione sarà controllata dal controllo missione, che la avvierà con un filo incandescente, avviando l’esperimento che durerà circa due ore e mezza. L’esperimento sarà cruciale per l’avanzamento delle tecnologie di identificazione dell’infiammabilità dei materiali e aprirà la strada per lo sviluppo di dispositivi in grado di identificare gas e particolati di un processo di combustione e verificare lo stato e la sicurezza dell’atmosfera dopo un eventuale incendio.
Questi esperimenti sono esempi di un percorso scientifico e tecnologico lanciato oggi nello spazio con il fine di comprendere il più a fondo possibile fenomeni, cause ed effetti assolutamente imprescindibili per supportare l’esplorazione spaziale nel prossimi 2-3 decenni, specialmente per i voli che si prefiggono l’esplorazione oltre l’orbita lunare e verso Marte.
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